IL GIUDICE DELL'ESECUZIONE
   Letti gli atti, a scioglimento della riserva, osserva quanto segue.
                               F a t t o
   Con  atto di pignoramento presso terzi i creditori Porpora Gennaro,
 Porpora Raffaele, Porpora Rosario, Porpora Patrizio e Porpora Strato,
 quali eredi di Caruso  Lucia,  pignoravano,  in  danno  del  debitore
 Ministero  dell'interno e presso il terzo Banca d'Italia, servizio di
 Tesoreria provinciale di Avellino,  quanto  dovutogli  in  virtu'  di
 sentenza esecutiva.
   Il  debitore  si  opponeva  all'esecuzione  e non si costituiva, il
 terzo per rendere la prescritta dichiarazione.
   Stante la pregiudizialita'  della  questione  di  Costituzionalita'
 anche  in  ordine  alla  mancata  comparizione  del  terzo (legata ad
 interpretazione del d.-l. n. 313/1994 in virtu' del quale si vorrebbe
 la nullita' del pignoramento non proposto con  le  modalita'  di  cui
 alla   legge   stessa)   ed   al   procedimento   per  l'accertamento
 dell'obbligo, il  creditore  procedente  sollevava  la  questione  di
 costituzionalita' della legge 460/1994. Il v.p.o.g.e. si riservava.
                             D i r i t t o
   Sostiene  il  creditore  che la legge 22 luglio 1994, n. 460 per la
 conversione in legge con modificazioni del d.-l. 25 maggio  1994,  n.
 313   recante  la  disciplina  dei  pignoramenti  sulla  contabilita'
 speciale delle prefetture, delle direzioni di  amministrazioni  delle
 Forze  Armate  e della Guardia di Finanza, in relazione agli articoli
 3, 24, 25, 28 e 113 della Costituzione sia incostituzionale.
   La questione non e'  manifestamente  infondata  per  i  motivi  che
 seguono.
   Con  la  legge  n.  460  del  1994, il legislatore ripropone tesi e
 principi gia' superati dalla Consulta.
   La  norma  vorrebbe  infatti  introdurre  nuovamente  il   superato
 principio  della  impignorabilita' delle somme di denaro e di crediti
 pecuniari dello Stato e degli Enti  Pubblici  in  base  al  principio
 della divisione dei poteri.
   Argomentavano  i  sostenitori  di  quell'orientamento che la tutela
 dell'indipendenza dell'amministrazione esigeva che il g.o. non avesse
 ingerenza nella condotta degli affari amministrativi ne' influenzasse
 i tempi ed i modi necessari a soddisfare gli interessi pubblici.
   La discrezionalita'  della  p.a.  nell'uso  delle  proprie  risorse
 patrimoniali   doveva   restare  integra,  con  la  conseguenza  che,
 nell'eventualita'  di  condanna  pecuniaria,  la  soddisfazione   del
 credito  con  l'azione  esecutiva  incontrava il duplice limite nello
 stanziamento in bilancio della relativa spesa  e  dell'emissione  del
 titolo,  ad ottenere il quale non vi sarebbe stato diritto soggettivo
 stante la  discrezionalita'  dell'amministrazione  nella  scelta  dei
 crediti da soddisfare.
   Corollario  di  questa impostazione era che bastava l'iscrizione di
 somme o di crediti nei bilanci preventivi dello Stato  o  degli  enti
 pubblici  per  farli  qualificare  "beni ... destinati ad un pubblico
 servizio" ex art. 828,  ultimo  comma,  C.C.  quindi  inalienabili  e
 correlativamente  inespropriabili:  sostenendosi, in particolare, che
 la legge di approvazione del bilancio non vincolava soltanto la  p.a.
 ma operava anche nei confronti dei terzi.
   Senonche'  questa giurisprudenza e' stata modificata dalla Consulta
 che, con le sentenze  nn.  32/70  e  161/71  avevano  negato  che  la
 intangibilita' dell'atto amministrativo traesse origine dal principio
 della  divisione  dei  poteri  perche' l'art. 113 della Costituzione,
 ultimo comma, lascia al legislatore ordinario  di  determinare  quali
 organi di giurisdizione possano annullare gli atti amministrativi.
   Su  questo  presupposto la dottrina ha sostenuto che la p.a. ha una
 posizione di preminenza non in quanto soggetto, ma in quanto esercita
 una potesta'  specificamente  ed  esclusivamente  attribuitale  nelle
 forme loro proprie.
   In  altre  parole  e'  protetto non il soggetto, ma la funzione, ed
 alle singole manifestazioni della p.a. che  e'  assicurata  efficacia
 per il raggiungimento di fini ad essa assegnate.
   Di  contro,  fuori dall'esercizio delle predette funzioni, l'azione
 della p.a. rientra nella disciplina di diritto comune e, ove venga  a
 ledere  quello  di  altro  soggetto,  e' completa la potenzialita' di
 tutela del g.o., incontrando il solo limite  di  non  avere  egli  il
 potere  di  sostituirsi  all'amministrazione nell'emanare un atto ne'
 condannarla ad emanarlo.
   Su  questa  piattaforma  logica  la  giurisprudenza  e'   pervenuta
 all'affermazione  che  l'ammissibilita'  della condanna della p.a. al
 pagamento   di   somme   di   denaro   comporta   come    conseguenza
 l'ammissibilita' dell'esecuzione per espropriazione.
   E'  vero  che  gli  artt.  826,  828 ed 830 del c.c. definiscono la
 condizione giuridica dei  beni  del  patrimonio  indisponibile  dello
 Stato e degli enti pubblici; pero' la individuazione dei beni diversi
 da  quelli  che  per  loro  natura  sono  destinati  a  far parte del
 patrimonio indisponiblie  necessita  l'accertamento  del  vincolo  di
 destinazione al pubblico servizio.
   La   sentenza  n.138/81  della  Consulta  affronta  il  tema  della
 individuazione delle modalita' per  l'apposizione  del  vincolo  alle
 somme di denaro, attesa la loro natura fungibile e strumentale.
   Quei  Giudici, in quell'occasione, affermarono i pregressi principi
 e  chiarirono  che  i  limiti  di  pignorabilita'  vanno  individuati
 correttamente  in  relazione  alla  natura ed alla destinazione degli
 specifici beni dei quali, di volta in, volta chiede l'espropriazione.
   Nel caso in esame la verifica da effettuare e'  se  sia  legittimo,
 sotto  il  profito  costituzionale, il vincolo imposto dalla legge n.
 460/1994  sulle  somme  che  destinerebbe   al   soddisfacimento   di
 specifiche finalita' pubbliche.
   La  prima  osservazione che si impone e' che l'art. 1, comma primo,
 recita: "I fondi di contabilita' speciale delle Prefetture, delle
  ..., non sono soggetti ad esecuzione forzata".
   Un principio questo che tende  a  realizzare  una  impignorabilita'
 generalizzata,  con il solo limite - a contrario - del reperimento di
 somme non destinate: ovvero un'impignorabilita' che puo'  trovare  il
 suo  presupposto  solo  nella superata dottrina della separazione dei
 poteri,   facendo   peraltro    paradossalmente    rientrare    nella
 impignorabilita'  anche quei cespiti destinati al soddisfacimento del
 creditore procedente.
   Precetti in sostanza, lo si ribadisce, che  ci  riportano  indietro
 nel tempo e cioe' alla tutela del soggetto e non della funzione.
   Senza  contare  l'integralista cancellazione in favore del prefetto
 del  precetto  in   virtu'   del   quale:   "il   debitore   risponde
 dell'adempimento con tutti i suoi beni presenti e futuri".
   Un  venir  meno,  peraltro, della par condicio creditorum proprio a
 danno di un creditore, il portatore di handicap, sul  soddisfacimento
 del quale poggia la funzione istituzionale che giustifica l'Ente.
   Clamorosa  e'  poi  la  violazione  degli  artt.  3,  24 e 25 della
 Costituzione  realizzata  attraverso  la   inspiegata   deroga   alla
 competenza  territoriale,  o  al  divieto  di  utilizzare consolidati
 strumenti processuali di  cui  all'art.  1  della  legge:  deroghe  e
 divieti  che  confliggono  nella  maniera  cosi'  decisa con principi
 attentare  ai  quali  significherebbe  incrinare   significativamente
 l'intero assetto normativo.