IL TRIBUNALE
   Ha  deliberato  la  seguente ordinanza nel procedimento iscritto al
 numero 413 del registro delle  impugnazioni  delle  misure  cautelari
 personali dell'anno 1995;
   In  sede  di rinvio dalla Corte suprema di cassazione e sul riesame
 proposto da Lupinacci Goffredo, avverso la ordinanza 7 ottobre  1994,
 di  applicazione  della  misura  cautelare della custodia in carcere,
 emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
 Catanzaro;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                               Premette
   Con ordinanza in data 7 ottobre 1994 il  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  questo  tribunale  emetteva, in fase processuale
 (per l'intervenuto esercizio della azione penale  mediante  richiesta
 di rinvio a giudizio), ordinanza di custodia cautelare in carcere nei
 confronti  di  108  imputati,  tra  i  quali  Lupinacci  Goffredo, in
 relazione, quanto a costui, ai reati di cui agli artt. 416-bis  c.p.,
 575 e 577 c.p., 628 cpv c.p. e 10-12-14 legge n. 497/1974.
   Con  ordinanza  26  ottobre 1994, questo tribunale, in accoglimento
 del proposto riesame, revocava il provvedimento restrittivo.
   La Corte suprema, adita dal  p.m.,  con  sentenza  14  marzo  1995,
 annullava la citata ordinanza, con rinvio per nuovo esame.
   Ha  evidenziato  la  Corte  "carenza  e manifesta illogicita' della
 motivazione", perche' erroneamente era stato assunto che:
     la prognosi di probabilita' colpevolistica imponeva la  "identica
 modulazione valutativa" ex art. 192 c.p.p.;
     la  chiamata in correita' era affetta da "genetica presunzione di
 inattendibilita'";
   e perche':
     era  stato omesso il vaglio dei riscontri contenuti nei fascicoli
 allegati;
   mentre, in relazione alla specifica posizione del Lupinacci:
     non  era  stata  verificata  la  attendibilita'  intrinseca   del
 racconto dei collaboranti;
     non   si   era   tenuto  conto  dei  riscontri  costituiti  dalle
 dichiarazioni  "incrociate"   e   dagli   accertamenti   di   polizia
 giudiziaria;
     non  si  era tenuto conto della presunzione cautelare, nonostante
 il lungo tempo decorso dalla consumazione degli illeciti specifici.
   In proposito, aveva puntualizzato questo giudice:
     che gli indizi richiesti dall'art. 273, ai fini della adozione di
 una misura cautelare, divergevano da quelli indicati dall'art.    192
 c.p.p.,  risolvendosi  in "qualsiasi elemento di prova acquisito agli
 atti";
     che  la  prognosi  di  probabilita'  colpevolistica  imponeva  la
 medesima  modulazione  valutativa,  qualunque  fosse  lo  stato della
 indagine (e non invece,  rispetto  alla  prova  di  responsabilita'),
 fermo il fatto che, nel caso in esame, le indagini erano concluse con
 la avvenuta formulazione dell'accusa;
     che  la  (mera) chiamata in correita' non era idonea a sorreggere
 il quadro di gravita' indiziaria, occorrendo  anche  la  presenza  di
 necessari riscontri;
     che  le  fonti dichiarative difettavano di "contenuti espositivi"
 essendosi, tutte (e peraltro, due su quattro collaboratori), limitate
 ad indicare tra una  serie  di  elenchi,  nemmeno  coincidenti  nelle
 rispettive  dichiarazioni)  "il  nome"  del  Lupinacci,  senza  nulla
 aggiungere sul "fatto partecipativo";
     che, di conseguenza, era  parso  inutile  ogni  ulteriore  vaglio
 sulla attendibilita' dei collaboratori e sulla ricerca dei riscontri,
 limitandosi,  peraltro, le allegazioni di polizia, a dati informativi
 di tipo prevenzionale.
   Occorre, ora, prendere atto che, con  decreto  4  maggio  1995,  il
 giudice  per le indagini preliminari ha disposto il rinvio a giudizio
 del Lupinacci per i delitti ascrittigli.
   Tanto premesso, e senza alcuna necessita' di rifissazione di udenza
 camerale, per evidenti ragioni di economia processuale;
                                Rileva
   E' noto l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale: "Attesa
 l'intervenuta modifica dell'art.  425  c.p.p.,  dal  cui  testo,  per
 effetto  della  legge  8  aprile  1993  n. 105, e' stata eliminata la
 parola "evidente"  (riferita  alla  presenza  delle  condizioni  che,
 all'esito    dell'udienza   preliminare,   debbono   dar   luogo   al
 proscioglimento dell'imputato), deve ritenersi nuovamente vigente  il
 principio,  gia' affermato nella vigenza del codice abrogato, secondo
 il quale, in tema di provvedimenti riguardanti la liberta'  personale
 dell'imputato,  l'avvenuto  rinvio  a giudizio di costui si pone come
 motivo di preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni
 questione  attinente   alla   sussistenza   dei   gravi   indizi   di
 colpevolezza"  (cfr.,  da ultimo, Cass. sez. V, 5 maggio 1994 n.1652,
 Bonifati ed altri, a conferma di  un  orientamento  prevalente  della
 Cassazione,   in  specie  dopo  la  abolizione  del  requisito  della
 "evidenza"  probatoria  ai  fini  del  rinvio   a   giudizio;   cfr.,
 anteriormente  e  tra  le piu' recenti, Cass., sez. V, 17 marzo 1994,
 Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994 n. 5196, Russo).
   In  linea  con il citato indirizzo (ed in relazione a casi diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     A) "Detto principio non soffre deroga nemmeno nel  caso  in  cui,
 intervenuta  sentenza  di  condanna, questa, in sede di legittimita',
 sia stata annullata  con  rinvio  per  difetto  di  motivazione,  non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo);
     B)  "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio a
 giudizio, rimettere in discussione il principio, allorquando  si  sia
 in  presenza  di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio' stesso, non
 vengono ad essere in contrasto con la intervenuta decisione"  (Cass.,
 sez. I, 4 febbraio 1994 n. 5257, Mancion).
   La  forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1) la introduzione della  modifica  legislativa  alla  regola  di
 giudizio  per  le emissione del decreto dispositivo del giudizio, con
 la conseguenza che la soppressione dell'inciso  "evidente"  (dopo  il
 verbo  "risulta")  postulando "la insussistenza di elementi denotanti
 una  situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita'  dell'imputato"
 comporta  che  "gli  elementi di colpevolezza, la cui sussistenza per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo  di  legittimazione  del
 provvedimento  di rinvio a giudizio, si rendono valutabili nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2) la rivalutazione della disciplina del rinvio  a  giudizio  nei
 termini   fissati   dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,  laddove  la
 giurisprudenza era consolidata nell'escludere, una volta  emanata  la
 ordinanza  di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul fondamento
 dell'accusa,  sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e   sulla
 sufficienza   degli   indizi:   conseguentemente,   le  contestazioni
 contenute in tale ordinanza non  erano  modificabili  ai  fini  della
 pronuncia  sulla liberta' personale e quindi non erano sindacabili in
 sede processuale dibattimentale.
   La forza del principio rende necessitato il ricorso  alla  verifica
 di costituzionalita'.
   La  questione  e'  rilevante  poiche' la norma di cui si segnala la
 incostituzionalita' (il disposto degli artt. 311 e 309  in  relazione
 al  comb. disp. degli artt. 425 e 429 c.p.p. nella parte in cui, alla
 stregua  dell'orientamento  esaminato,  e'  consentito  omettere   la
 motivazione sul requisito di "gravita' indiziaria di colpevolezza" e,
 correlativamente,   e'  precluso  ogni  controllo,  sia  formale  che
 sostanziale, sul punto, in sede di riesame e  di  rinvio,  per  nuovo
 esame) e' di immediata e diretta applicazione nel procedimento.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto
 dall'art.  425  c.p.p., non ha, in effetti, delineato alcun parametro
 sui  poteri  valutativi  del  giudice  a   conclusione   della   fase
 processuale preliminare.
   Non   solo   nessun   dato  normativo  puo'  avallare  la  asserita
 coincidenza del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini  del
 rinvio  a  giudizio,  quanto vi ostano precisi, e contrari, argomenti
 sistematici, all'interno del nuovo codice  e  nel  raffronto  con  il
 vecchio regime.
   1.  -  Incontroverso  che  la  valutazione del giudice dell'udienza
 preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi parametri delibativi alla
 stregua dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a  decidere
 se  pronunciare  sentenza  di  proscioglimento o di condanna"; (cfr.,
 testualmente, C. cost. sent. n. 82/93), ne consegue che  il  criterio
 decisorio preliminare non puo' individuarsi nella "probabile condanna
 dell'imputato",  poiche'  la  prova  "idonea  a  sostenere una futura
 condanna" e' soltanto quella che si presenti "non insufficiente"  (in
 relazione alla completezza investigativa) e "non contraddittoria" (in
 relazione   al  profilo  valutativo),  imponendo,  al  contrario,  al
 suddetto giudice, nel primo caso (di  prova  "non  sufficiente"),  la
 sollecitazione  ad  integrazione probatoria ex art. 422 c.p.p. e, nel
 secondo (di "prova contraddittoria"), la emanazione  di  sentenza  di
 non luogo a procedere.
   Invece,  la armonizzazione del sistema, nella combinata valutazione
 dei criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429, 425,
 409 c.p.p. e 125 disp. att. stesso codice, imporrebbe di ritenere che
 il rinvio a giudizio sia legittimato dalla "idoneita' degli  elementi
 acquisiti  nelle  indagini  preliminari  a  sostenere  la  accusa nel
 giudizio", con la esclusione di una prognosi di colpevolezza.
   2. - Non puo' reggere,  parallelamente,  la  assimilazione  con  il
 vecchio  "proscioglimento  istruttorio",  sia  perche'  la istruzione
 "doveva" essere completa, sia perche', nel dubbio,  era  privilegiata
 la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un
 superato modello inquisitorio.
   Oltretutto,  la  "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza" impone un
 vaglio  probatorio  critico  di  tasso  piu'  elevato  rispetto  alla
 "sufficienza  probatoria",  all'epoca reputata idonea per il rinvio a
 giudizio.
   3. - Il  procedimento  in  materia  cautelare  personale  e'  stato
 concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la
 privilegiata  garanzia  del bene compresso (della liberta', o meglio,
 delle liberta' della persona) e per la specificita' valutativa.
   Nulla esclude che, nel  rispetto  della  separazione  dei  giudizi,
 l'imputato sia rinviato a giudizio in stato di liberta'.
   La  questione  si  prospetta,  come  parametro  costituzionale,  in
 relazione:
     a) al disposto dell'art.  13,  comma  2,  Cost.,  che  pone  come
 imprescindibile   la   presenza   di  "atto  motivato  dell'autorita'
 giudiziaria",  quale  titolo  idoneo  per  la  costituzione   ed   il
 mantenimento  dello  stato  detentivo,  mentre, nel caso in esame, la
 motivazione sul fondante requisito (della verifica) della sussistenza
 della  "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza"   sarebbe   ex   lege
 superflua;
     b)  al disposto dell'art. 111, comma 2, Cost., che salvaguarda la
 tutela  di  legittimita',  contro  i  provvedimenti  sulla   liberta'
 personale,   per  "violazione  di  legge",  violazione  riscontrabile
 vieppiu' nel preliminare controllo di merito,  eppure  preclusa,  nel
 caso  in  esame,  in virtu' di una presunzione assoluta di "probabile
 colpevolezza" insita nel decretato rinvio a giudizio;
     c) al disposto dell'art. 3 Cost., per una evidente disparita'  di
 trattamento,   in   contrasto   con   ogni   coerenza  sistematica  e
 ragionevolezza normativa, sul tema primario di tutela del diritto  di
 liberta',  tra  indagati ed imputati e, per quel che interessa, anche
 tra  imputati,  avuto  riguardo  alla  fase processuale precedente la
 decisione finale  di  udienza  preliminare  e  quella  immediatamente
 successiva,  fino alla emissione della sentenza conclusiva del grado,
 in specie, laddove:
      la scelta operata dal p.m., del momento procedimentale nel quale
 azionare la pretesa cautelare, e' insindacabile e non e' motivata  da
 specifiche  ragioni  o  dalla sopravvenienza di elementi nuovi che ne
 sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto cogente;
      detta scelta si coordina con una decisione preliminare, a  tasso
 garantistico non ben definito (perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'   del   dibattimento   si   ripercuote  inevitabilmente  sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,  ne'  sul  decreto  di  rinvio   a   giudizio,   notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza  dell'abrogato  regime  processuale),  ne'  sulla
 ordinanza   cautelare,   come   si   e'   gia'   notato,  altrettanto
 insindacabile  nel  primario  e  fondante  requisito  sostanziale  di
 "probabile colpevolezza";
     d)  al  disposto  dell'art.  24,  comma 2, Cost., perche', per le
 ragioni gia' dette, restringendosi la sfera di tutela  sulle  censure
 proponibili  avverso  il  provvedimento cautelare impugnato, ne resta
 ingiustificatamente  ed  aleatoriamente  sacrificato  il  diritto  di
 difesa  in  relazione  al  bene  primario  della liberta', tanto piu'
 tutelabile,  quanto  piu'  il  sacrificio  di  esso  si   ponga   con
 predominante    efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo   sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.