IL GIUDICE ISTRUTTORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento vertente tra "I.L.L. Sud s.r.l." e "Eurolegno s.r.l.". Nel corso di una udienza istruttoria, l'opponente ha chiesto la revoca della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo emesso dal presidente del tribunale di Benevento. L'art. 649 c.p.c., come e' noto, prevede che il giudice istruttore, su istanza dell'opponente, quando ricorrono gravi motivi, puo', con ordinanza non impugnabile, sospendere la provvisoria esecuzione del decreto, concessa a norma dell'art. 642 c.p.c. La questione di legittimita' costituzionale della suddetta norma appare rilevante ai fini della decisione spettante a questo giudice, in quanto la stessa e' di applicazione indispensabile per giudicare sul processo in concreto, limitatamente all'emanazione della richiesta ordinanza. In proposito, non puo' essere condiviso l'orientamente espresso dalla giurisprudenza di merito, che ha ritenuto possibile, per il g.i., disporre la revoca della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, qualora risulti, a seguito dell'instaurazione del contraddittorio tra le parti, l'insussitenza dei presupposti di legge sui quali si fonda la provvisoria esecuzione o delle condizioni legittimanti la stessa emanazione del decreto, (tribunale Vercelli, 17 marzo 1993, in Foro It., 1993, pag. 1223 e segg.; tribunale Alessandria, 23 dicembre 1994; pretura Latina, 9 febbraio 1994, in Giust. civ., 1995, pag. 1099). Invero, tale orientamento si e' fondato, in sostanza, sull'applicazione analogica delle norme previste dagli artt. 282, 283 e 351 c.p.c. previgente, al fine di pervenire ad una pronuncia, quale la revoca della provvisoria esecuzione, con efficacia ex tunc, che, invece, la mera sospensione non avrebbe potuto produrre, operando essa con effetto ex nunc. Giova rilevare, in proposito, che la suprema Corte, con la sentenza n. 4866 del 3 maggio 1991 (in Giur. It., 92, I, 744), muovendo dalla distinzione teorica tra sospensione e revoca della provvisoria esecuzione, ha escluso, per ragioni di interpretazione sistematica, che alla sospensione ex art. 649 possa ricollegarsi la revoca, esaltando il tenore letterale della detta norma, che e' stato rapportato, a contrariis, alle altre disposizioni del codice di rito in cui, invece, si e' distinto tra i due istituti (v. il testo dell'art. 351 del codice previgente). Tuttavia, a seguito della nuova formulazione degli artt. 282 e 283 c.p.c., e' cambiato il quadro di riferimento sul quale, in passato, ha posto le sue basi l'orientamento ammissivo della revoca della clausola di esecutorieta' del decreto ingiuntivo, ex art. 649. Alla luce del novellato art. 283, infatti, il giudice d'appello, su istanza di parte, quando ricorrono gravi motivi, puo' solo sospendere l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata. Orbene, la scomparsa dal testo dell'art. 283 dell'istituto della revoca ha reso impraticabile la suddetta interpretazione, fondata sull'applicazione analogica di un principio generale di revoca della provvisoria esecuzione concessa contra legem, la cui emersione avrebbe avuto luogo da tali norme. In proposito, appare significativo che la Corte costituzionale, pronunciatasi sul punto, seppure in via di obiter dictum, abbia dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649, dando atto di un diritto vivente in ordine a tale norma, allorche' ha affermato che "invero non si rinvengono ostacoli di rilievo all'applicazione, anche nel processo di opposizione al decreto ingiuntivo, ed in via analogica, della disposizione del citato art. 351, ai fini di una delibazione anticipata, rispetto all'udienza, delle questioni concernenti la provvisoria esecuzione del decreto", (v. Corte cost., ord. 28 luglio 1988, n. 936, in Foro It., 89, I, 2670-m.). Appare, dunque, evidente che l'argomentazione adottata dalla Corte per ritenere legittimo l'art. 649 presupponeva la vigenza dell'art. 351-vecchio testo. Va osservato, altresi', che, come sostiene autorevole dottrina, la mancata previsione della revoca non puo' considerarsi una lacuna, da colmare con l'analogia, ma il frutto di una precisa volonta' di escludere la stessa; cio' appare desumersi, oltre che dal citato argumentum a contrario, anche da una riflessione circa le finalita' che hanno informato la struttura del processo monitorio, che appresta una disciplina di privilegio per certi tipi di obbligazioni. Alla stregua di quanto esposto, la norma di cui all'art. 649 appare in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. Essa e' confligente con il principio dell'eguaglianza, nella parte in cui non prevede che il g.i. possa, altresi', revocare la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, qualora ritenga l'inosservanza dei presupposti di legge sui quali essa si fonda, o delle condizioni legittimanti la stessa emanazione del decreto. Invero, nel processo civile deve ritenersi operante il principio della cd. "parita' delle armi", consistente nella necessaria titolarita' in capo alle parti di poteri, doveri, facolta' ed oneri funzionalmente e contenutisticamente corrispondenti a quelli riconosciuti all'altra parte (v. Corte cost., 23 giugno 1994, n. 253). Orbene, l'art. 649, non prevedendo la revoca della provvisoria esecuzione, si pone in contrasto con il suddetto principio, precludendo alla parte nei cui confronti sia stato emesso il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo la possibilita' di rimuovere, con efficacia retroattiva ogni effetto conseguito alla provvisoria esecuzione e, dunque, impedendo la possibilita' di rimettere le parti nella medesima condizione in cui esse si trovavano prima della concessione della clausola, qualora il giudice si convinca dell'insussistenza dei richiesti presupposti. L'art. 649 si pone, altresi', in contrasto con l'art. 24 Cost. per le stesse suesposte argomentazioni. Invero, l'impossibilita' per l'opponente di ottenere la revoca si traduce in una ingiusta compressione del diritto di difesa, che si ridurrebbe ad un mero nomen se non potesse correlarsi a rimedi giudiziari idonei a neutralizzare gli effetti conseguiti alla concessione contra legem della provvisoria esecuzione. Giova rilevare, in proposito, che la mera sospensione non sarebbe utile ad ottenere la cancellazione di un'ipoteca giudiziale concessa in base alla clausola in questione, effetto non realizzabile neppure attraverso il ricorso ex art. 700 c.p.c. Non ignora questo giudice il consolidato orientamento secondo cui, in caso di dubbio interpretativo, occorre adottare l'interpretazione che adegui la norma da applicare ai principi costituzionali. Tale soluzione, pero', nella fattispecie, non appare possibile, e cio' per ragioni attinenti alla struttura e alla funzione della cd. interpretazione adeguatrice. Invero, se s'intende tale interpretazione quale operazione ermeneutica di carattere estensivo, volta, cioe', a dilatare il concetto di sospensione per farvi ricomprendere quello di revoca, non puo' non obiettarsi che essa non appare corretta a causa della profonda diversita' dei due istituti; tale diversita' e' suffragata dalle norme del codice di rito che li distinguono espressamente, e a cui connettono effetti diversi. Non a caso, anche le norme introdotte dalla legge di riforma del 1990 contemplano sia la sospensione che la revoca, per esempio, in materia di misure cautelari, inserendosi nell'ambito di un consolidato orientamento. Ne' appare persuasiva la tesi sviluppata, seppure con sottili argomenti, da recente dottrina secondo cui l'interpretazione estensiva in questione sarebbe possibile, argomentanto dal fatto che la sospensione dell'esecuzione puo' essere applicata anche prima dell'inizio della stessa esecuzione, e desumendo da cio' che l'espressione "sospensione" e' usata non in senso stretto, ma ricomprensiva della rimozione della vis executiva del titolo. Tale tesi, invero, fondata su meri dati empirici, non spiega efficacemente perche' un legislatore tecnicamente attento, quale quello del 1942, abbia distinto espressamente la revoca dalla sospensione collegando, con cio', l'efficacia caducatoria degli atti esecutivi compiuti alla sola revoca, prevedendo la sospensione nel procedimento monitorio che, come detto, appresta una disciplina privilegiata per certe obbligazioni. Se, invece, s'intende l'interpretazione adeguatrice quale operazione analogica, va osservato che non sussiste l'eadem ratio che, sola, potrebbe legittimarla. Invero, la ratio che ha informato il legislatore e' stata proprio quella di evitare che si verificasse una caducazione degli atti esecutivi compiuti, prima dell'emanazione della sentenza che definisce il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, ricollegandosi cio' alla disciplina di privilegio di cui si e' detto. Ne' e' condivisibile l'opinione di chi ha ritenuto applicabile per analogia l'istituto della revoca previsto in tema di misure cautelari dalle novellate norme del codice; infatti, il procedimento monitorio appare ben distinto da quello cautelare, strutturalmente e funzionalmente, specie se si considera che la legge n. 353 ha puntualmente distinto la revoca (artt. 669-decies e terdecies) dalla sospensione (art. 669-terdecies, ultimo comma), confermando, in sostanza, l'orientamento tradizionale. In altri termini, questo giudice non intende investire la Corte della soluzione di un contrasto interpretativo insorto nella giurisprudenza, ma solo rilevare che il testo dell'art. 649 non si presta ad alcuna intepretazione adeguatrice e che, per le argomentazioni suesposte, appare incostituzionale.