IL VICE PRETORE
   In  relazione  al  procedimento civile iscritto al n. 17075/94 r.g.
 della pretura circondariale di Firenze, sezione distaccata di  Empoli
 rileva quanto segue.
   Con  ricorso depositato in cancelleria il giorno 22 gennaio 1994 la
 signora Alda Cappellini, asserendo di essere la  proprietaria  di  un
 terreno  sul  quale  il  comune  di  Cerreto  Guidi  ha  stabilito di
 realizzare il depuratore  comunale,  ha  chiesto  l'emissione  di  un
 provvedimento  cautelare  ai  sensi  degli artt. 1171 e 1172 del cod.
 civ.,  perche',  a  suo   dire,   avrebbe   potuto   ricevere   danno
 dall'immissione  dei  reflui  del  depuratore  in  un  fosso  di  sua
 proprieta';  ha  altresi'  chiesto  l'adozione  di  un  provvedimento
 d'urgenza  ai sensi dell'art. 1170 cod. civ., in quanto la progettata
 immissione  dei  reflui  del  depuratore   nel   rio   in   questione
 costituirebbe una illegittima turbativa nel possesso del medesimo.
   L'amministrazione  comunale si e' costituita in giudizio, deducendo
 la carenza di giurisdizione del giudice adito; la piena  legittimita'
 dei  provvedimenti  amministrativi  adottati  in merito dal comune di
 Cerreto Guidi; l'assenza di un concreto pericolo  di  esondazione  o,
 comunque,   di   danneggiamento   al   terreno  di  proprieta'  della
 ricorrente,   in   conseguenza   dell'attivazione   del   depuratore;
 l'infondatezza   anche   dell'azione   possessoria,   in  conseguenza
 dell'entrata in vigore dell'art.  1 della legge 5 gennaio 1994, n. 35
 che ha reso pubbliche "tutte le acque superficiali e sotterranee".
   Nel  corso  del  giudizio e' stata ammessa   ed espletata la C.T.U.
 richiesta con l'atto introduttivo. Il perito  nominato  ha  accertato
 l'esistenza  di  un  progetto in variante adottato in corso di causa,
 che ha comportato il cambiamento del sito in cui verra' collocato  lo
 scarico  del depuratore nel corpo idrico in questione. In conseguenza
 della  variazione,  e  tenuto  conto  delle  caratteristiche  fisiche
 dell'alveo  a  valle  del  nuovo  punto  di immissione, il tecnico ha
 ritenuto di dover escludere la possibilita' che si verifichino  danni
 alla proprieta' della ricorrente.
   La  sig.ra Cappellini ha contestato le resultanze della C.T.U. e ha
 eccepito l'incostituzionalita' dell'art. 1 della legge n.  36  del  5
 gennaio 1994, per violazione dell'art. 42 della Costituzione, poiche'
 avrebbe  disposto la espropriazione di un bene di proprieta' privata,
 senza tuttavia prevedere un "serio ristoro che  compensi  il  privato
 per  la  perdita subita". In proposito, il comune ha affermato che la
 questione  di  legittimita'  costituzionale   sarebbe   inammissibile
 poiche'  generica  e,  comunque,  non  rilevante nei termini in cui e
 stata prospettata; questo perche' in  sede  di  tutela  del  possesso
 sarebbe   irrilevante   l'avvenuta   espropriazione  del  diritto  di
 proprieta', perche' la sussistenza  di  un  diritto  a  percepire  un
 eventuale  indennizzo  sarebbe  irrilevante  nel  presente  giudizio;
 perche' lo scarico attuale del depuratore sarebbe ubicato su  terreno
 gia' di proprieta' demaniale.
   All'udienza  del  27 maggio 1994 il sottoscritto si e' riservato di
 provvedere.
   In primo luogo va respinta la domanda di denuncia  di  nuova  opera
 e/o  danno  temuto:  in  proposito le resultanze della C.T.U. in atti
 sono univoche nell'escludere, a seguito della variante  del  progetto
 intervenuta  medio  tempore, la possibilita' di danni alla proprieta'
 del  ricorrente.  La  perizia   appare   logicamente   articolata   e
 congruamente   motivata:  ad  essa  si  puo'  pertanto  integralmente
 rinviare. In ordine  alla  domanda  di  manutenzione,  appare  invece
 rilevante  e  non  manifestamente  infondata  (anche  se  in  termini
 parzialmente diversi  da  quelli  prospettati  dalla  ricorrente)  la
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art.  1 della legge 5
 gennaio 1994 n. 36.
   La  questione  appare  rilevante,  in  quanto  l'acqua  reflua  del
 depuratore,  in conseguenza della variante al progetto e prescindendo
 dalla demanialita' del sito  del  nuovo  scarico,  si  troverebbe  ad
 attraversare   comunque   terreni  di  proprieta'  della  ricorrente,
 rispetto ai quali la signora Cappellini ha il possesso  incontestato:
 si  tratta  dei terreni sui quali scorre il fosso (o rio) delle acque
 chiare, che pacificamente e' un fosso di bonifica con la funzione  di
 raccogliere  le  acque meteoriche drenate dal terreno, da quando esso
 cessa di essere parallelo all'argine del torrente Vincio.
   La norma in questione appare applicabile al caso di  specie  e,  in
 quanto  ha  stabilito  la  natura  pubblica del fosso (o almeno delle
 acque in esso contenute), ha reso inammissibile la tutela anche  solo
 in sede possessoria del rio delle acque chiare.
   Poiche',  ai  sensi  dell'art. 1145, primo comma c.c., "il possesso
 delle cose di cui non si  puo'  acquistare  la  proprieta'  e'  senza
 effetto", l'inserimento - disposto dall'art. 1 della legge n. 36/1994
 -  del  rio  nella  categorie  delle acque necessariamente pubbliche,
 impedisce l'accoglimento del ricorso.
   La   questione   di   legittimita'   costituzionale  e'  anche  non
 manifestamente  infondata,  come  risulta  dalle  considerazioni  che
 seguono.
   In  primo luogo si deve osservare il primo comma, dell'art. 1 della
 legge n. 36 del 1994, secondo il quale "tutte le acque superficiali e
 sotterranee, ancorche' non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche  e
 costituiscono. una risorsa che e' salvaguardata ed utilizzata secondo
 criteri di solidarieta'", deve essere coordinato con i commi 2, 3 e 4
 della  medesima  disposizione, secondo cui "qualsiasi uso delle acque
 e' effettuato  salvaguardando  le  aspettative  ed  i  diritti  delle
 generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.  Gli
 usi  delle  acque  sono  indirizzati  al risparmio e al rinnovo delle
 risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico,  alla  vivibilita'
 dell'ambiente,  l'agricoltura,  la  fauna  e  la  flora acquatiche, i
 processi geomorfologicie gli equilibri idrologici. Le acque  termali,
 minerali  e  per  uso geotermico sono disciplinate da leggi speciali,
 nonche' con i commi 3 e 4 dell'art. 28, secondo i quali "la  raccolta
 di  acque  piovane in vasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o
 di singoli edifici e' libera. La raccolta di cui al terzo comma,  non
 richiede licenza o concessione di derivazione di acque".
   Sembra  possibile dubitare della ragionevolezza dell'espropriazione
 generalizzata delle acque superficiali, e  quindi  della  conformita'
 della  disposizione in esame, con l'art. 3 della Costituzione, per la
 parte in cui, prescindendo dalle finalita' della  legge  (chiaramente
 rivolta  a  preservare  le  risorse  idriche  quale  bene anche delle
 generazioni future) e senza tener conto della permanenza del  diritto
 di  raccolta  e  di utilizzazione dell'acqua piovana a fini agricoli,
 non e' stata prevista la possibilita' della  proprieta'  privata  sui
 corpi  idrici  ricettori  dell'acqua  drenata  dai  terreni  agricoli
 bonificati, per consentirne l'utilizzazione agricola (fattispecie non
 sostanzialmente diversa dall'ipotesi di raccolta delle acque  piovane
 in  cisterne  ed  in vasi espressamente consentite dall'art. 28 della
 legge n. 36/94).
   Sotto questo profilo, la norma in esame appare anche  in  contrasto
 con  l'art.  42  della  Costituzione.  Se  e'  vero  infatti  che  e'
 riconosciuta la possibilita' di individuare limiti  generalizzati  al
 diritto  di proprieta' al fine di assicurarne la funzione sociale, e'
 d'altro canto incontestabile che deve essere indennizzata  ogni  piu'
 grave conseguenza economica che si faccia derivare sul patrimonio del
 privato,  quando essa non colpisca tutti in egual misura, ma soltanto
 alcuni dei componenti della collettivita' destinataria  della  legge.
 Nel  caso  di  specie,  determinando  l'espropriazione dell'acqua, il
 legislatore ha dato luogo ad un pregiudizio  per  i  proprietari  dei
 fondi  finitimi all'alveo del corso d'acqua che, per l'impossibilita'
 di  disporne,  si  trovano  nella  situazione  di  dover  subire  una
 ingiustificata  compressione  del  diritto  di  proprieta'  dei  loro
 terreni se, come nel caso  di  specie,  il  loro  valore  e  la  loro
 utilizzabilita'  ai  fini commerciali sono condizionate dal drenaggio
 delle  acque   meteoriche   o   affioranti,   rispetto   alle   quali
 l'utilizzabilita' del corso d'acqua si rivela indispensabile.
   L'espropriazione di un corso d'acqua (ovvero dell'acqua che in esso
 scorre)  si  rivela non un limite generalizzato alla proprieta' - che
 di per se' non darebbe luogo al diritto ad indennizzo - ma  una  piu'
 grave   conseguenza   sul   patrimonio   giuridico  dell'interessato,
 nell'ipotesi (analoghe a quella oggetto  del  presente  giudizio)  in
 cui,  in conseguenza dell'avvenuta espropriazione, il privato risulti
 pregiudicato nell'utilizzazione econanica dei  beni  rimasti  di  sua
 proprieta'.  La  norma in esame, che pacificamente non ha previsto la
 corresponsione  di  alcun  "serio  ristoro"  per  la  perdita   della
 proprieta',  e  la  compressione  del  diritto dominicale sui terreni
 adiacenti al corso d'acqua appare quindi in contrasto con  l'art.  42
 della Costituzione.
   La  norma  in esame appare, infine, incostituzionale, in quanto non
 risultano  esplicitati  ne'   emergono   a   seguito   dell'attivita'
 ermeneutica,  i  profili di "interesse generale" (ovvero di "funzione
 sociale") che la norma  costituzionale  impone  come  condizione  per
 qualunque limitazione alla proprieta' privata.