IL TRIBUNALE
   Ha  letto la seguente ordinanza all'udienza del 3 gennaio 1995, nel
 processo contro Tria Pietro + 15.
   Preliminare ad ogni decisione, sia pure solo processuale e relativa
 agli atti introduttivi al dibattimento, e' la valutazione  in  ordine
 alla  compatibilita' dei magistrati componenti il collegio a svolgere
 funzioni giudicanti nel presente processo. Rileva a tale proposito la
 circostanza che tutti i magistrati oggi componenti  il  tribunale  si
 sono   occupati,   espletando  funzioni  giudicanti  in  procedimenti
 instaurati ex artt. 309 e 310 c.p.p. della ricorrenza di gravi indizi
 di reita' nei confronti degli imputati detenuti Tria  Pietro  (procc.
 nn. 893 e 1226 RTL), Limone Damiano (proc. n. 1146 RTL), Maxia Cosimo
 (proc.  n.  1106  RTL),  Oliva  Domenico  (procc. nn. 980 e 1243 RTL)
 Bianco Enrico (procc. nn. 977 e 1255 RTL), di Donna  Domenico  (proc.
 n. 1019 RTL).
   Ai sensi dell'art. 34, comma secondo c.p.p., tanto non da' luogo ad
 alcuna  situazione  di  incompatibilita',  sicche' tutti i magistrati
 oggi costituenti il collegio, pur avendo gia' espresso - nei  termini
 di  elevata probabilita' richiesti dall'art. 273 c.p.p. - un giudizio
 di colpevolezza nei confronti dei succitati imputati, ne'  potrebbero
 astenersi, ne' potrebbero essere ricusati.
   Peraltro,  gia'  con  le  sentenze  nn. 124 e 186 del 1992 la Corte
 costituzionale ha ritenuto in contrasto con gli artt. 3  e  24  della
 Costituzione  il  predetto art. 34, comma secondo c.p.p., laddove non
 prevedeva la incompatibilita' al giudizio  del  magistrato  che  gia'
 avesse  espresso  alcune  valutazioni  nel  merito  del  giudizio  di
 responsabilita', sebbene in grado meno penetrante di  quello  proprio
 delle valutazioni compiute ai sendi dell'art. 273 c.p.p.
   Da  ultimo,  con  la  sentenza  n. 432 del 1995, mutando la propria
 precedente giurisprudenza espressa con la sentenza n. 502  del  1991,
 la  Corte costituzionale ha ritenuto il conflitto dell'art. 34, comma
 secondo c.p.p., con gli artt. 3 e 24 della Costituzione  anche  nella
 parte  in  cui  non  prevede  che  non  possa partecipare al giudizio
 dibattimentale il magistrato che,  esercitando  funzioni  di  g.i.p.,
 abbia   applicato   una  misura  cautelare  personale  nei  confronti
 dell'imputato, in relazione agli stessi fatti  per  cui  questi  deve
 essere   sottoposto   al   giudizio;   cio'  perche',  esprimendo  la
 valutazione in ordine alla ricorrenza dei gravi indizi di  reita'  un
 giudizio  di merito sulla colpevolezza dell'imputato, questi verrebbe
 ad essere giudicato da un magistrato soggetto ad un possibile effetto
 di prevenzione, che invece le altre ipotesi disciplinate dall'art. 34
 c.p.p. mirano appositamente ad escludere.
   Le medesime osservazioni appaiono formulabili anche  nel  caso  che
 interessa;  ed  invero,  la valutazione in ordine alla ricorrenza dei
 gravi indizi di reita' non e' meno penetrante allorche' viene compita
 dal giudice dell'impugnazione nelle sedi di cui agli artt. 309 e  310
 c.p.p.;  ed  anzi  puo' ritenersi che in tali ipotesi, trattandosi di
 impugnazioni e quindi di valutazioni espresse nel contraddittorio  di
 entrambe  le  parti,  ed  a risposta e confutazione di censure spesso
 specifiche  in  ordine  al  grado  ed  al  valore  degli  indizi,  le
 valutazione  espresse  dai  componenti  del  tribunale nelle funzioni
 predette sono spesso assai piu' penetranti - in ordine al merito  del
 giudizio di responsabilita' - di quelle espresse dal g.i.p.: il tutto
 con  una  chiara compromissione non solo del principio di eguaglianza
 (venendo diversamente disciplinate situazioni del tutto simili quanto
 al predetto pericolo di  "prevenzione"),  ma  anche  del  diritto  di
 difesa,  che e' anche diritto ad un giudice sereno ed imparziale, non
 influenzabile da giudizi gia' da egli stesso espressi.
   Ne consegue che non appare manifestamente infondata la questione di
 costituzionalita' dell'art. 34, comma secondo c.p.p., nella parte  in
 cui  non  prevede  l'incompatibilita'  all'esercizio  delle  funzioni
 giudicanti da parte del magistrato che abbia fatto parte del collegio
 costituito ex artt. 309 o 310 c.p.p.
   Per  certo,  una  eventuale  pronunzia di incostituzionalita' della
 norma in  oggetto  porrebbe  non  pochi  problemi  organizzativi  nei
 tribunali  di  piccole  dimensioni;  non  spetta  tuttavia  a  questo
 tribunale,  ma  al  legislatore,  il   compito   di   assicurare   la
 realizzazione   dei   principi   di  buona  amministrazione;  ne'  il
 bene-interesse di cui all'art. 97 Cost.  appare  di  tale  preminente
 valore   rispetto  a  quelli  della  liberta'  personale,  del  pieno
 esercizio  del  diritto  di  difesa,  della  serena   ed   imparziale
 attuazione  della  giurisdizione,  da  potersi  risolvere l'apparente
 conflitto tra tali opposti interessi in via interpretativa  da  parte
 di  questo  giudice,  vincolato,  nelle  pronunzie di rimessione alla
 Corte costituzionale, dal canone  della  non  manifesta  infondatezza
 della questione di illegittimita'.
   La   questione   e'   evidentemente   rilevante,   attesto  che  ad
 un'eventuale pronunzia di incostituzionalita' conseguirebbe, ex artt.
 36 lett.  g) e 37 c.p.p., il dovere per i  magistrati  componenti  il
 presente collegio di astenersi, o la possibilita' per gli imputati di
 ricusarli ove all'astensione non procedessero; ne' la rilevanza della
 questione  puo'  essere  esclusa  ipotizzando,  per  i magistrati, la
 facolta' di ricorrere all'astensione per gravi motivi di opportunita'
 ex art.  36, lett. h), c.p.p.: ed infatti, tale ipotesi di astensione
 e' oggetto non gia' di un obbligo, ma di una mera facolta' rimessa al
 piu' lato e discrezionale apprezzamento del singolo magistrato, senza
 che l'imputato o il suo difensore possano farne motivo  -  stante  la
 chiarezza del rinvio operato dall'art. 37 c.p.p. alle sole ipotesi di
 cui alle lettere da a) e g) dell'art. 36 c.p.p. - di una richiesta di
 ricusazione,  nel  caso in cui l'apprezzamento del singolo magistrato
 non coincida  con  quello  della  difesa,  il  cui  diritto  verrebbe
 pertanto gravemente compromesso.
   Ne  consegue  che,  come  si  accennava in premessa, la risoluzione
 della questione di costituzionalita' e' pregiudizievole ad ogni altra
 decisione da parte di questo collegio.