IL PRETORE
   Rilevato  che  con  ricorso  in  data  28 aprile 1995 la sig. Maria
 Merlino ha esposto di essere titolare di pensione I.N.P.S. cat. VO n.
 10074880 (con decorrenza 1 gennaio 1994 e con importo mensile pari  a
 L.   122.480)   e  di  aver  inutilmente  richiesto  all'Istituto  il
 riconoscimento  dell'integrazione  al  minimo,   vedendosi   respinta
 l'istanza  in  applicazione dell'art.  11, comma trentottesimo, legge
 24 dicembre 1993, n. 537;
    che la ricorrente ha chiesto quindi che,  previa  rimessione  alla
 Corte  costituzionale  della  questione  di legittimita' dell'art. 3,
 comma 1, lettera s) legge 23 dicembre  1991,  n.  421,  dell'art.  4,
 comma  1,  lett.  b)  d.lgs.  30 dicembre 1992, n. 503, dell'art. 11,
 comma trentottesimo, legge 24 dicembre 1993, n.  537  in  riferimento
 agli artt. 2, 3, commi 1 e 2, 4, 29 comma 2, 31, comma 1, 36 comma 1,
 38  comma  2  e  76 della Costituzione, l'I.N.P.S. venga condannato a
 corrisponderle l'integrazione al minimo sulla  pensione  di  cui  era
 titolare;
     che  l'Istituto,  costituendosi  in  giudizio,  ha  contestato la
 fondatezza della domanda;
                             O s s e r v a
      Che la ricorrente dubita della legittimita'  costituzionale  del
 combinato  disposto  dell'art.  6,  comma  1,  lett.  b) del d.-l. 12
 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre  1983,  n.
 638  e  dell'art.    4, comma 1, lett. b) d.lgs. 30 dicembre 1992, n.
 503, come modificato dall'art. 11, comma 38, della legge 24  dicembre
 1993,  n. 537 e dall'art.  2, comma 14, della legge 8 agosto 1995, n.
 335, nonche' dell'art.   3, comma 1, lettera  s)  legge  23  dicembre
 1991,  n. 421, nella parte in cui tali norme escludono l'integrazione
 al  minimo  del  trattamento  pensionistico  nel  caso   di   persona
 coniugata,   non  legalmente  ed  effettivamente  separata,  che  sia
 titolare di redditi propri per  un  importo  inferiore  a  due  volte
 l'ammontare   annuo   del   trattamento  minimo  del  Fondo  pensioni
 lavoratori dipendenti, ma che sia invece titolare di redditi cumulati
 con quelli del coniuge per un importo superiore a  quattro  volte  il
 trattamento  minimo  (con  elevazione  del  limite  a cinque volte il
 trattamento   minimo   per   i   lavoratori   andati   in    pensione
 successivamente al 31 dicembre 1993 e fino al 31 dicembre 1994);
     che  del  disposto  dell'art.  6,  comma 1, lett. b) del d.-l. 12
 settembre 1983, n. 463, come modificato dalle  norme  appena  citate,
 viene  in  rilievo  nella  fattispecie  l'ultima  parte, in quanto la
 ricorrente e' titolare di pensione con decorrenza dal gennaio 1994;
     che   la   prospettata   questione   di   costituzionalita'    e'
 indubbiamente  rilevante, emergendo dalla documentazione acquisita in
 giudizio relativamente ai redditi della ricorrente  che  quest'ultima
 negli  anni  1992, 1993 e 1994 non e' stata titolare di altri redditi
 se non la pensione VO per cui e' causa  (circostanza  del  resto  non
 contestata dall'istituto);
     che  pertanto,  ove  la  normativa  impugnata  venisse dichiarata
 costituzionalmente illegittima, la ricorrente  avrebbe  diritto  alla
 richiesta integrazione al trattamento minimo;
     che  la  questione  appare anche, ad avviso di questo giudicante,
 non manifestamente infondata quantomeno con  riferimento  agli  artt.
 3, 31 comma 1, 36 comma 1 e 38, comma 2, della Costituzione;
     che    infatti,    secondo    la   giurisprudenza   della   Corte
 costituzionale, al pari della retribuzione percepita in costanza  del
 rapporto   di   lavoro,   il  trattamento  pensionistico,  che  della
 retribuzione  costituisce  un  prolungamento  a  fini  previdenziali,
 dev'essere   proporzionato  alla  qualita'  e  quantita'  del  lavoro
 prestato;
     che, infatti, per il tramite e nella misura di  cui  all'art.  38
 della  Costituzione,  si  rende  applicabile  anche  alle prestazioni
 previdenziali l'art. 36, comma 1, della Costituzione, quale parametro
 delle "esigenze di vita"  del  lavoratore  (Corte  costituzionale  n.
 156/1991);
     che  pertanto  i  "mezzi" che le prestazioni previdenziali devono
 garantire  non  sono  soltanto  "quelli  che  soddisfano  i   bisogni
 elementari e vitali, ma anche quelli che siano idonei a realizzare le
 esigenze   relative   al  tenore  di  vita  conseguito  dallo  stesso
 lavoratore in rapporto al reddito e alla posizione sociale  raggiunta
 in  seno  alla  categoria  di appartenenza per effetto dell'attivita'
 lavorativa svolta" (Corte costituzionale, n. 173/1986);
     che, ancorche' la commisurazione del trattamento pensionistico al
 reddito percepito in costanza di lavoro sia rimessa alle  valutazioni
 discrezionali  del  legislatore, che, nel contemperare i valori e gli
 interessi   coinvolti   nell'attuazione   graduale    dei    principi
 costituzionali,   tengono  conto  anche  della  concreta  ed  attuale
 disponibilita' delle risorse finanziarie e dei  mezzi  necessari  per
 far fronte ai relativi impegni di spesa, le prestazioni previdenziali
 devono  assicurare  in  ogni  caso  al lavoratore e alla sua famiglia
 mezzi adeguati alle  esigenze  di  vita  per  un'esistenza  libera  e
 dignitosa (Corte costituzione n. 119/1991);
     che,  in  particolare,  l'istituto  dell'integrazione  al minimo,
 essendo  rivolto  a  garantire  ai  "lavoratori"  (e  non   gia'   ai
 "cittadini"),  ai  sensi  dell'art.  38, comma 2, della Costituzione,
 "mezzi  adeguati  alle  loro  esigenze  di  vita",  non   ha   natura
 assistenziale,  ma essenzialmente previdenziale (Corte costituzionale
 n. 31/1986);
     che, infatti, funzione  del  trattamento  minimo  e'  quella  "di
 integrare  la  pensione  quando  dal  calcolo  in  base ai contributi
 accreditati al lavoratore risulti un importo inferiore  a  un  minimo
 ritenuto  necessario,  in  mancanza  di  altri  redditi  di una certa
 consistenza, ad assicurargli mezzi adeguati alle  esigenze  di  vita,
 giusta  il  precetto dell'art.   38, comma 2, della Costituzione. Tal
 funzione   qualifica   l'integrazione   al   minimo   come   istituto
 previdenziale   fondato   sul   principio   di  solidarieta'"  (Corte
 costituzionale n. 24/1994);
     che  la  garanzia  prevista  dall'art.   38,   comma   2,   viene
 specificatamente  riferita  al  singolo  quale lavoratore e non quale
 elemento di un nucleo del quale occorra  eventualmente  accertare  lo
 stato di bisogno o di non abbienza;
     che   se   le   prestazioni   previdenziali,   secondo  la  Corte
 costituzionale, devono essere adeguate alle esigenze  di  vita  anche
 della  famiglia  del soggetto protetto, giusta l'innegabile relazione
 intercorrente tra l'art. 38, comma 2 e  l'art.  36,  comma  1,  della
 Costituzione,  cio'  significa  che  la  garanzia costituzionale deve
 "estendersi" anche alla  famiglia  del  lavoratore  e  non  che  deve
 "venire limitata" dall'esistenza di una famiglia;
     che  invero soltanto in materia di prestazioni assistenziali puo'
 essere giustificato il ricorso al criterio  del  cumulo  dei  redditi
 dell'interessato  con  quelli  del  coniuge  ai  fini di accertare la
 sussistenza di un effettivo stato di bisogno;
     che  inoltre  la  normativa  impugnata   introduce   una   palese
 irrazionalita'  e  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento,  a
 seconda del reddito percepito dal coniuge, tra titolari  di  pensione
 diretta   con  identica  situazione  contributiva,  per  i  quali  il
 trattamento costituisce comunque corrispettivo differito nel tempo di
 una prolungata  prestazione  lavorativa  svolta  durante  il  cessato
 rapporto di lavoro;
     che  in  tal  modo  la disciplina viola anche l'art. 31, comma 1,
 della Costituzione, che  impone  alla  Repubblica  di  agevolare  con
 misure  economiche  la  formazione  della  famiglia,  mentre le norme
 impugnate favoriscono ed incoraggiano  le  famiglie  di  fatto  e  le
 separazioni tra coniugi;
     che  la normativa viola il precetto costituzionale di uguaglianza
 anche sotto altro profilo, ignorando che le condizioni economiche del
 singolo e della famiglia dipendono non soltanto dai redditi  dei  due
 coniugi,  ma  da  quelli dell'intero nucleo familiare in relazione al
 numero delle persone che compongono tale nucleo;
     che in tal modo al pensionato  il  cui  coniuge  e'  titolare  di
 redditi  superiore al limite di cui all'art. 6, comma 1, lett. b) del
 d.l.  12 settembre 1983, n. 463 (e successive  modifiche)  non  viene
 riconosciuto  il  diritto  all'integrazione  al  trattamento  minimo,
 mentre,  a  parita'  delle  altre  condizioni,  tale  diritto   viene
 mantenuto  per  l'assicurato  i  cui redditi, cumulati con quelli del
 coniuge non superino tale limite, ma che pero' conviva ad esempio con
 uno o piu' figli titolari di propri redditi, magari  anche  rilevanti
 (ed  in  tal  senso, ad esempio, l'art. 1, comma 3, legge 23 dicembre
 1994, n. 724, che modifica l'art.  8, comma 16, della medesima  legge
 24  dicembre  1993,  n.  537, fa riferimento ai fini del godimento di
 buona parte delle prestazioni del  servizio  sanitario  nazionale  al
 "reddito complessivo del nucleo familiare";
     che  pertanto appare non manifestamente infondata la questione di
 illegittimita' costituzionale  delle  disposizioni  sopra  richiamate
 nella   parte   in   cui   tali  norme  danno  rilievo  ai  fini  del
 riconoscimento dell'integrazione della pensione al trattamento minimo
 al reddito del coniuge dell'assicurato, escludendo l'integrazione  al
 minimo  del  trattamento pensionistico nel caso di persona coniugata,
 non legalmente  ed  effettivamente  separata,  che  sia  titolare  di
 redditi propri per un importo inferiore a due volte l'ammontare annuo
 del  trattamento  minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, ma
 che sia invece titolare di redditi cumulati con  quelli  del  coniuge
 per  un  importo superiore a quattro volte il trattamento minimo (con
 elevazione del limite a cinque volte  il  trattamento  minimo  per  i
 lavoratori  andati  in pensione successivamente al 31 dicembre 1993 e
 fino al 31 dicembre 1994).