LA CORTE DI APPELLO Ha emessa la seguente ordinanza nel procedimento di ricusazione del giudice per l'udienza preliminare, dott. Rosario Caiazzo, presso il tribunale di Benevento per incompatibilita' ai sensi dell'art. 34, secondo comma del codice procedura penale a partecipare a detta udienza, avendo in precedenza applicato una misura cautelare coercitiva. F a t t o Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Benevento faceva richiesta di rinvio a giudizio di Pennella Antonio (piu' 27) per i reati previsti: 1) dagli artt. 40 c.p.v., 61 n. 7, 81 c.p.v., 110, 324, 323, comma secondo, come modificato dalla legge n. 86 del 1990, 640 e 640-bis codice penale; 2) dagli artt. 40 c.p.v., 61 n. 7, 81 c.p.v., 110, 324, 323, comma secondo, come modificato dalla legge n. 86 del 1990, 640, 640-bis codice penale. Pennella Antonio, avvistato della fissazione dell'udienza preliminare, proponeva, tramite il suo difensore, dichiarazione di ricusazione, tempestiva ed ammissibile, del giudice udienza preliminare per essere la stessa persona fisica che aveva in precedenza emesso a suo carico un'ordinanza applicativa della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere. Eccepiva l'incompatibilita' del giudice a partecipare all'udienza preliminare, ai sensi dell'art. 34, secondo comma codice procedura penale quale ipotesi analoga a quella decisa con la sentenza della Corte costituzionale n. 423 del 6-15 settembre 1995, dichiarativa della incompatibilita' a partecipare al dibattimento del giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale. D i r i t t o Il carattere tassativo delle cause di incompatibilita' previste dallo art. 34 codice procedura penale, rende la norma insuscettibile di interpretazione estensiva ed analogica. Neppure puo' derivarsi la prospettata causa di incompatibilita' dall'indicata sentenza della Corte costituzionale n. 432/1995 - ex art. 27 leggittimita' costituzionale 11 marzo 1953 n. 87 - in quanto priva di disposizioni che consentano di estendere la dichiarata illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma codice procedura penale, a fattispecie diverse da quella esaminata. Ritiene, pero', la Corte di sollevare, di ufficio, questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma codice procedura penale nella parte in cui non prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare il giudice per le indagini preliminari che abbia adottato una misura cautelare personale di natura coercitiva nei confronti dell'imputato. A prevenire il pericolo di una sospetta reiterazione di interventi dello stesso magistrato sulla stessa materia nei confronti dello stesso imputato nello stesso procedimento la legge prescrive requisiti particolari contemplati agli artt. 34-37 codice proceura penale. Il combinato delle norme indicate ha gia' subito reiterati interventi da parte della Corte costituzionale con le sentenze n. 496/90, n. 401/91, n. 502/91, n. 124/92, n. 186/92, n. 399/92, n. 439/93. Nella sua evoluzione la Corte costituzionale ha avuto cura di differenziare la posizione di chi e' chiamato ad una "valutazione di contenuto" da quella dei giudici chiamati ad una valutazione meramente processuale, pervenendo ad una definizione complessiva dell'incompatibilita' quale "volta ad assicurare la genuita' e la corretteza del processo formativo del convincimento del giudice" che "si ricollega alla garanzia costituzionale del giusto processo" e che "e' ragionevolmente circoscritta ai casi di duplicita' del giudizio di merito sullo stesso oggetto" (sent. n. 124/92) specificando opportunamente che "non la mera conoscenza degli atti, ma una valutazione di merito circa l'idoneita' delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio di responsabilita' dell'imputato, vale a radicare l'incompatibilita'" (sent. n. 186/92). Ed ulteriormente precisando che ogni qual volta e' investito di una richiesta cautelare l'attivita' del giudice comporta la formulazione di un giudizio non di mera legittimita' ma di merito (sia pure prognostico e allo stato degli atti) sulla colpevolezza dell'imputato. Il mutamento del quadro normativo per effetto della legge 8 agosto 1995 n. 332 da un lato conferma l'effettuazione da parte del giudice dell'udienza preliminare di un vaglio critico e di merito delle prove e delle fonti di prova gia' in atti, sfociato in un giudizio di idoneita' a consentire una decisione allo stato degli atti e, dell'altro lato, e' preordinato a portare all'esame del giudice dell'udienza preliminare un quadro degli elementi probatori, quanto piu' completo possibile prima della pronuncia del provvedimento previsto sul merito della regiudicanda dall'art. 424 codice procedura penale n. 88/1994. L'originaria impostazione dell'udienza preliminare presupponeva l'attribuzione al giudice di limitatissimi poteri valutativi sul materiale di causa, cio' che valeva a differenziarlo dal giudice dibattimentale. A seguito dell'intervento legislativo (8 aprile 1993 n. 105) e della Corte costituzionale (sent. n. 41/1993) i poteri valutativi del giudice - prima limitati ad una valutazione di merito dell'imputazione con esclusivo riferimento ad un parametro di non evidente infondatezza dell'accusa, con limitazione dei poteri ad un mero controllo di legittimita' e correttezza delle fonti di prova - si sono rafforzati divenendo tanto penetranti nel merito dell'accusa, da poter essere assimilati a quelli attribuiti al giudice del dibattimento, allorche' rimanga immutato il quadro probatorio, con la conseguenza che la sentenza di non luogo a procedere non e' piu' di solo controllo di legittimita' degli elementi probatori ma di pieno merito. Il proscioglimento ex art. 425 codice procedura penale comporta un giudizio di merito pieno (sent. n. 82/1993), conclusione questa che non viene scalfita ne' dal mantenimento della qualificazione come "sentenza di non luogo a procedere" ne' dal carattere di non definitivita' di tale sentenza in quanto soggetto a revoca nei casi previsti dall'art. 434 codice procedura penale. Posto che l'alternativa decisoria offerta al giudice per l'udienza preliminare, investito della richeista del pubblico ministero di rinvio a giudizio, e' la sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato; ritenuto che e' l'intero merito a dover essere valutato ai fini del proscioglimento ex art. 425 codice procedura penale; rilevato che solo la negativita' di tale valutazione puo' dare ingresso al giusto processo, e' chiara, anzitutto, la unitarieta' dei poteri valutativi di merito che presiedono all'opzione da parte del giudice per l'udienza preliminare per l'una o per l'altra soluzione. Deve, pertanto, logicamente dedursi che l'attivita' di valutazione che compie il giudice per l'udienza preliminare a seguito della richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato, e' identica a quella che deve compiere nell'applicare una misura cautelare personale, anche sotto il profilo quantitativo, allorche' si presenti al giudice dell'udienza preliminare una quadro probatorio imputato. V'e' ragione di ritenere, quindi, che la precedente decisione assunta dal giudice per le indagini preliminari nell'emettere un provvedimento cautelare, possa influenzare quella del giudice per l'udienza preliminare, stessa persona fisica. Cioe' se il giudice dell'udienza preliminare ha gia' espresso il suo apprezzamento sulla storicita' di determinati accadimenti ritenuti indizianti e che sono sostanzialmente gli stessi portati al suo esame in altri momenti decisionali dello stesso procedimento resta per cio' solo integrata una situazione che accredita il rischio dell'elusione di quella esigenza di autonomia di giudizio cui, per principio e per sua natura deve uniformarsi ogni provvedimento giudiziario. La concentrazione in capo allo stesso giudice, come persona fisica di poteri che spaziano dall'adozione di provvedimenti cautelari fino all'adozione del provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare, puo' creare, per le esposte ragioni, caso di incompatibilita', per cui l'art. 34, secondo comma codice procedura penale nella parte in cui non prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare il giudice per le indagini preliminari che abbia adottato una misura cautelare coercitiva, contrasta con le norme costituzionale di cui agli artt. 3, 24 e 25. La diversita' di trattamento e' rilevabile nei confronti di un coimputato dello stesso reato nel medesimo procedimento, non raggiunto da misure cautelari personali, rispetto al quale la decisione del giudice per l'udienza preliminare e' frutto di un approccio valutativo non pregiudicato. E', altresi', rilevabile rispetto a situazioni analoghe, gia' esaminate dalla Corte costituzionale (sent. 401/1991 e n. 439/1993). L'affermata assimilabilita' dell'attivita' valutativa del giudice per l'udienza preliminare con quella del giudice del dibattimento e la quasi omogeneita' delle formule conclusive previste dall'art. 425 codice procedura penale con quelle di cui all'art. 430 codice procedura penale, consentono di ravvisare un'analogia di situazioni anche tra il caso in esame e quello verificato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 432/95, dichiarativa della incompatibilita' del giudice per le indagini preliminari che abbia disposto una misura cautelare personale, a partecipare al giudizio dibattimentale. E' da rilevare, anzi, che il giudice per l'udienza preliminare, in quanto non coinvolto nella dialettica della collegialita', e' ancor piu' esposto agli effetti trascinanti di un giudizio sulla fondatezza dell'accusa. La lesione del diritto di difesa, costituzionalmente protetto (art. 24) e' conseguenza inevitabile della possibile prevenzione che puo' inquinare il convincimento del giudice, per la ridotta valenza che assumono le argomentazoni difensive di fronte alla naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso. L'identita' soggettiva tra il giudice per le indagini preliminari che ha disposto l'applicazione di una misura cautelare personale, esprimendosi in termini di valutazione di alta probabilita' del fondamento della accusa, e il giudice per l'udienza preliminare chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, e' idonea a determinare (o far apparire) un pregiudizio che mina la garanzia costituzionale di imparzialita' del giudice (art. 25), la cui esigenza e' particolarmente avvertita dalla coscienza collettiva.