IL PRETORE
   Visti  gli  atti  del  proc.  pen. n. 1046/94 r.g.n.r. e n. 1753/95
 r.gip. contro Gennuso Vincenza, nata in Modica il 27 settembre 1956 e
 sciogliendo la riserva adottata all'udienza del 19 dicembre 1995;
                      Rilevato in punto di fatto
     Che con nota n. 603 in data 23 maggio 1994 del  presidente  della
 commissione  ettorale  circoscrizionale di Modica, trasmessa ai sensi
 dell'art. 331 codice procedura penale al procuratore della Repubblica
 in sede, Gennuso Vincenza veniva denunciata per aver sottoscritto  le
 presentazioni  di  candidatura  per  le  elezioni  del Consigio della
 provincia  regionale  di  Ragusa,  sia  per   il   Centro   Cristiano
 Democratico, sia per il Partito Popolare Italiano;
     che  in  esito  all'apertura  del  relativo procedimento penale a
 carico della Gennuso,  imputata del reato p. e p. dall'art.  933  del
 d.P.R.  16  maggio  1960,  n.  570, veniva emesso nei confronti della
 stessa decreto penale di condanna, opposto con contestuale  richiesta
 di  definizione  anticipata  del giudizio mediante applicazione della
 pena;
     che all'udienza camerale all'uopo fissata l'imputata  iterava  la
 richiesta    di    patteggiamento   e   contestualmente   prospettava
 l'incostituzionalita' dell'art. 93 del d.P.R. n. 570/1960.
                          Osserva in diritto
   1. - La norma in esame punisce con la reclusione fino a due anni  e
 con la multa fino a L. 100.000 (cosi' aumentata per effetto dell'art.
 113, secondo comma, della legge n. 689/91) "chiunque, essendo privato
 o  sospeso dall'esercizio del diritto elettorale, o assumendo il nome
 altrui, firma una dichiarazione di presentazione di candidatura o  si
 presenta  a  dare  il  voto  in  una  sezione  elettorale, ovvero chi
 sottoscrive piu' di una dichiarazione di presentazione di candidatura
 o da' il voto in piu' sezioni  elettorali".   Appare chiaro  come  la
 norma in parola preveda la stessa pena in relazione a diverse ipotesi
 crituinose.
   Cosi'   le   cose,   non   puo'   che   condividersi   il  sospetto
 d'incostituzionalita' prospettato dall'imputata sotto vari profili.
   2. - Anzittuto sotto il profilo dell'irragionevolezza  (e,  quindi,
 della  violazione  degli  artt. 3 e 27 della Carta), laddove la norma
 punitiva commina la stessa pena,  sia:  a)  a  chi  sottoscrive  (col
 proprio nome) piu' dichiarazioni di presentazione di candidature; sia
 b)  a  chi,  assumendo  il  nome  altrui,  firma una dichiarazione di
 presentazione di candidatura o si presenta a dare il voto, ovvero da'
 il voto in piu' sezioni elettorali.
   L'irragionevolezza  dell'equiparazione  appare  prima  facie  dalla
 differente  gravita'  delle  ipotesi  sopra considerate e dal diverso
 disvalore delle relative condotte.
   Segnatamente,  non pare dubitabile che l'ipotesi sub a) appare piu'
 lieve rispetto a quelle sub b), non foss'altro perche' non presuppone
 necessariamente, come accade per le seconde, un'attivita' dolosa.
   2.1. -  Inoltre,  si  consideri  che  la  falsificazione  del  nome
 nell'esercizio  dell'elettorato  attivo  costituisce ipotesi speciale
 rispetto alla  generale  ipotesi  criminosa  prevista  dall'art.  495
 codice penale, ma, nondimeno, viene punita con pena piu' lieve. Cio',
 com'e' evidente, accentua la rilevata irragionevolezza, non riuscendo
 a comprendersi perche' mai la condotta (dolosa) di falsa attestazione
 delle  proprie  qualita' personali, non solo riceva un trattamento di
 favore  allorche'  venga  attuata  nell'ambito  delle  sole  elezioni
 amministrative  (cio',  infatti,  come  si  vedra' infra, non avviene
 nell'ambito delle elezioni politiche cfr. l'art. 103  del  d.P.R.  n.
 361/1957),  ma  venga  punita  con  la  stessa  pena prevista per una
 condotta (sottoscrizione di piu' dichiarazioni  di  presentazione  di
 candidature),  la  quale,  invece,  non presuppone necessariamente il
 dolo  e,  cioe',  l'intento  di  trarre  in   inganno   e   fuorviare
 l'organizzazione statuale. Che' anzi, accade, quasi sempre, che essa,
 specie   negli   strati   piu'   bassi  e  meno  "consapevoli"  della
 popolazione,  sia  la  conseguenza  di  colposa   negligenza   o   di
 sconoscenza  del  divieto  (che,  nel  caso  di specie, e' costituito
 dall'art.   11, secondo comma della legge  regionale  Sic.  9  maggio
 1969,  n.  14).   Al riguardo non puo' trascurarsi di considerare che
 non  tutti  sono  ben   coscienti   del   valore   "politico"   della
 sottoscrizione e del conseguente impegno morale e giuridico contratto
 con  essa,  essendo,  invece,  noto,  che,  prima  ancora  che per la
 farraginosita'   della   legislazione   (soprattutto    in    materia
 elettorale),  per scarso senso civico, non sono pochi coloro i quali,
 specie, nelle zone culturalmente meno evolute, considerano  purtroppo
 l'adesione  a  un  partito o a una coalizione e la stessa espressione
 del voto come una sorta  di  favore  che  puo'  essere  graziosamente
 elargito a chiunque ne faccia richiesta.
   E',  questo,  certamente  un  atteggiamento  assai deteriore, fonte
 spesso  di  malcostume  politico  e  della  diffusa  illegalita'  che
 affliggono  soprattutto  il mezzogiorno d'Italia. Come tale, non puo'
 che condividersi la  scelta  legislativa  che,  anche  attraverso  la
 sanzione,  tende  a  correggerlo. Appare, tuttavia, frutto di eccesso
 normativo una sanzione che,  come  s'e'  visto,  viene  equiparata  a
 quella  prevista  per  ipotesi ben piu' gravi e, come si vedra' infra
 sub 2), e' perfino assai piu' grave rispetto a  quella  prevista  per
 condotte identiche.
   2.2.  -  La differenza appare ancor piu' macroscopica rispetto alla
 parallela ipotesi, contemplata dallo stesso art. 93, di chi firma una
 dichiarazione  di  presentazione  di  cadidatura  assumendo  un  nome
 altrui.  In  tal  caso,  infatti,  la  sottoscrizione  non viziata di
 falsita' viene equiparata tout court a quella falsa.
   Ne' sembra rilevare il fatto che, nella prima ipotesi, si verte  in
 tema   di   sottoscrizioni  plurime,  mentre,  nella  seconda,  viene
 considerata anche una sola sottoscrizione. Invero, l'iterazione della
 condotta  varebbe,  semmai,  a  giustificare  l'aumento  della   pena
 nell'ambito  della  stessa  ipotesi  criminosa,  ove  sussistano  gli
 elementi   previsti   dall'art.   81   cod.   pen.,   mentre   appare
 incongruamente  utilizzata  al  fine di operare un'equiparazione (sia
 pur legislativa) tra ipotesi diverse. In  altri  termini,  sembra  al
 decidente  che  l'elemento  differenziale  piu'  rilevante tra le due
 ipotesi sia l'esistenza  o  l'inesistenza  della  falsificazione  del
 nome,  essendo questa che evidenzia la diversa obiettivita' giuridica
 dei due reati, i  quali,  nondimeno,  nonostante  l'evidente  diverso
 disvalore della condotta, vengono puniti con la medesima pena.
   3.    -    In    secondo    luogo,    sempre   sotto   il   profilo
 dell'irragionevolezza, nonche' della disparita' di trattamento (artt.
 3 e 27 della Carta), va rilevato  che  l'art.  106  del  decreto  del
 Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 in tema di elezioni
 politiche,  punisce  l'identica  condotta contestata alla Gennuso con
 una pena di gran lunga piu' lieve (reclusione fino a tre mesi o multa
 fino a L. 2.000.000) rispetto  a  quella  prevista  dall'art.  93  in
 esame.
   Tale   differente   trattamento   non   appare,   per  la  verita',
 giustificabile, neppure sotto il  profilo  delle  differenti  realta'
 rappresentate   dalle   elezioni   amministrative  e  dalle  elezioni
 politiche (in tal senso la Corte delle leggi  con  le  decisioni  nn.
 45/67,   106/71  e  23/72),  avuto  riguardo,  in  particolare,  agli
 "ambienti,   circostanze   e   situazioni   locali   delle   elezioni
 amministrative",  le  quali,  per  la  limitata  territorialita'  dei
 collegi e  per la conseguente maggiore animosita' della  competizione
 sembravano  presupporre  una maggiore e piu' rigorosa (ma quanto piu'
 rigorosaº) tutela. Invero, se cosi' fosse, apparirebbe, a sua  volta,
 incongrua   la   differenziazione,   operata,  in  tema  di  elezioni
 politiche, dall'art. 103 del d.P.R. n. 361/1957, tra la  condotta  di
 chi,  privato  dell'esercizio del diritto elettorale, si presenta per
 il voto, rispetto a quella di  chi  si  presenta  per  dare  il  voto
 assumendo il nome altrui.
   Inoltre  e' agevole osservare che quest'ultima ipotesi viene punita
 con sanzione notevolmente piu' grave (reclusione da tre a cinque anni
 e multa da L. 500.000 a L. 2.500.000), non solo rispetto  alla  prima
 (il  che  non avviene in tema di elezioni amministrative) e (perfino)
 rispetto a quella prevista dall'art.  495  codice  penale,  ma  anche
 rispetto a quella parallela dell'art. 93 prevista in tema di elezioni
 amministrative,  le quali, cio' nonostante, si sostiene, meritano una
 tutela piu' rigorosa. L'aporia che ne deriva non potrebbe essere piu'
 evidente.
   3.1. - In ogni caso,  e  a  prescindere  dalle  considerazioni  che
 precedono,  il  diverso  trattamento non appare piu' giustificato con
 l'introduzione  del  sistema  maggioritario  che  ha  dato   vita   a
 circoscrizioni  elettorali  molto  piu'  limitate  rispetto  a quelle
 precedenti e tali, in buona sostanza, da coincidere quasi con  quelle
 previste per le elezioni amministrative.
   In  presenza  di  siffatta  nuova  situazione, sembra davvero arduo
 ipotizzare situazioni diverse,  come  tali  tutelabili  con  sanzioni
 differenziate.
   Per   le   fatte   considerazioni   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 93, non appare manifestamente  infondata  in
 parte qua.
   La  rilevanza della questione e' evidente, dipendendo, la decisione
 sulla  richiesta  applicazione  della  pena,  dall'inesistenza  degli
 evidenziati vizi d'incostituzionalita'.