ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  58,  secondo
 comma,  dell'allegato  A  al  regio  decreto  8  gennaio 1931, n. 148
 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti di
 lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico  del  personale
 delle  ferrovie,  tranvie e linee di navigazione interna in regime di
 concessione), promosso con ordinanza emessa  il  29  marzo  1995  dal
 tribunale  di  Firenze  nel procedimento civile vertente tra Giuliano
 Nocentini e ATAF (Azienda Trasporti Area Fiorentina), iscritta al  n.
 334 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visti  gli  atti di costituzione di Giuliano Nocentini e dell'ATAF,
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  udienza  pubblica  del  12  dicembre  1995 il giudice
 relatore Riccardo Chieppa;
   Uditi gli avvocati Giorgio Bellotti per Nocentini Giuliano e  Paolo
 Fanfani  per l'ATAF, nonche' l'avvocato dello Stato Franco Favara per
 il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                            Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso del giudizio di appello - promosso da G.  Nocentini,
 dipendente dell'Azienda Trasporti Area Fiorentina (ATAF) - avverso la
 sentenza  del  pretore  15-29  novembre  1994, con la quale era stato
 dichiarato il difetto  di  giurisdizione  dell'autorita'  giudiziaria
 ordinaria   a   conoscere   della  domanda,  avente  per  oggetto  un
 provvedimento irrogativo di una sanzione disciplinare,  il  Tribunale
 di  Firenze  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 24, primo
 comma, della Costituzione, questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.    58,  secondo  comma,  dell'allegato A al regio decreto 8
 gennaio 1931, n. 148  (Coordinamento  delle  norme  sulla  disciplina
 giuridica   dei   rapporti  di  lavoro  con  quelle  sul  trattamento
 giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee  di
 navigazione  interna  in  regime  di  concessione) nella parte in cui
 prevede che la giurisdizione relativa alle  "controversie  insorgenti
 dalle   pronunce   dei   collegi   disciplinari"  spetti  al  giudice
 amministrativo e non al giudice ordinario.
   L'ordinanza non ignora che questa  Corte  ebbe  a  pronunciarsi  su
 analoga  questione con la sentenza n. 208 del 1984, dichiarandola non
 fondata.
   Ritiene, tuttavia, che  successivamente  alla  succitata  pronuncia
 siano  intervenute  "profonde  modifiche"  del  quadro  normativo  in
 materia, tali da suggerire un riesame della questione.
   In particolare il giudice a quo ripropone la questione ponendo come
 nuovo tertium comparationis la disciplina  attuale  del  rapporto  di
 lavoro  dei ferrovieri, a seguito e per effetto della legge 17 maggio
 1985, n. 210, che ha operato una riforma  radicale  e  della  Azienda
 autonoma  delle  Ferrovie  dello  Stato  e del rapporto di lavoro del
 personale.
   Con riguardo a quest'ultimo aspetto si sottolinea  che,  in  virtu'
 della  citata  legge  n. 210 del 1985, i rapporti di lavoro dell'Ente
 Ferrovie dello Stato sono stati trasformati  da  rapporti  di  lavoro
 pubblico  in  rapporti  di  diritto  privato  ed  e' stata, altresi',
 demandata alla cognizione dell'autorita' giudiziaria  ordinaria  ogni
 controversia, compresa quella in materia disciplinare.
   Ad  avviso  del  giudice a quo cio' ha costituito il primo passo di
 una  progressiva   tendenza   volta   a   "ricondurre   nella   sfera
 giurisdizionale della magistratura ordinaria ... l'intero contenzioso
 del pubblico impiego".
   Alla  luce  delle  suesposte innovazioni normative il giudice a quo
 ritiene superate le statuizioni contenute nella sentenza n.  208  del
 1984   con   riguardo   alla   censura  concernente  l'art.  3  della
 Costituzione in quanto, in virtu' della citata legge n. 210 del 1985,
 si  affermerebbe  l'esigenza  di  conformare   il   trattamento   dei
 dipendenti  dell'Ente  Ferrovie  dello  Stato  a quelli delle aziende
 autoferrotranviarie,  attesa  l'omogeneita'  delle   due   categorie,
 evidenziata anche dal fatto che entrambe insisterebbero in un settore
 di particolare rilevanza pubblica.
   Piu'  in  particolare,  il  giudice  a  quo sostiene che - ferma la
 constatazione per la quale non puo', in via di principio,  affermarsi
 che  la  tutela  del dipendente dinanzi al giudice amministrativo sia
 meno  vantaggiosa  di  quella  ottenibile  dal  giudice  ordinario  -
 l'evoluzione  dell'ordinamento  positivo, nel senso sopra richiamato,
 ha comportato l'emersione  di  un  trattamento  differenziato,  nella
 materia  in  esame,  che  sarebbe  in  conflitto  con il principio di
 uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, nonche' con  quello
 di  tutela  giurisdizionale  di  cui  all'art. 24, primo comma, della
 Costituzione, "sotto il profilo di una giurisdizione in linea con  le
 qualificazioni sostanziali delle posizioni lese".
   2.  -  Nel  giudizio  dinanzi  alla Corte si e' costituita la parte
 privata - appellante nel giudizio a quo - la quale, in aderenza  alle
 argomentazioni  svolte  con  l'ordinanza di remissione, chiede che la
 norma censurata sia dichiarata costituzionalmente illegittima.
   3. - Si e',  altresi',  costituita  dinanzi  alla  Corte  l'Azienda
 Trasporti  Area  Fiorentina  (ATAF),  concludendo per la infondatezza
 della proposta questione.
   In particolare si sostiene che la circostanza in virtu' della quale
 alcuni soggetti sono  sottoposti  alla  giurisdizione  amministrativa
 mentre  altri  sono  sottoposti  alla  giurisdizione  della autorita'
 giudiziaria ordinaria non vale a qualificare  una  disuguaglianza  di
 carattere  negativo.  E  cio',  avuto  particolare  riguardo a quanto
 ritenuto dallo stesso remittente per il quale "non  puo'  affermarsi,
 in  via  di  principio,  che  dinanzi  al  giudice  amministrativo il
 dipendente abbia una tutela meno vantaggiosa di  quella  che  avrebbe
 dinanzi al giudice ordinario".
   Si  ritiene,  inoltre,  che  la questione sia stata gia' risolta da
 questa Corte con la sentenza n. 208 del 1984.
   4. - E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  -
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello Stato - il
 quale ha chiesto che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o
 "quanto meno non fondata".
   Ad  avviso  dell'Avvocatura  la circostanza che lo stesso giudice a
 quo riconosca che la tutela dinanzi al giudice amministrativo non e',
 in via di principio, "meno vantaggiosa"  di  quella  che  si  avrebbe
 dinanzi   al   giudice   ordinario,   priverebbe  di  giustificazione
 l'evocazione del parametro posto dall'art. 24 della Costituzione.
   Quanto alla  censura  relativa  al  principio  di  uguaglianza,  si
 osserva  che  mancherebbe, nell'ordinanza di rimessione, qualsivoglia
 indicazione idonea a superare sul punto la sentenza n. 208 del 1984.
   Si rileva, infine, che l'ambito di operativita' della  disposizione
 impugnata, e' stato circoscritto da piu' sentenze delle Sezioni unite
 civili della Corte di cassazione.
                         Considerato in diritto
   1. - Il tribunale di Firenze dubita, in riferimento agli artt.  3 e
 24  della  Costituzione,  della legittimita' costituzionale dell'art.
 58, secondo comma, dell'allegato A, al regio decreto 8 gennaio  1931,
 n.  148  (Coordinamento  delle  norme  sulla disciplina giuridica dei
 rapporti di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del
 personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione  interna  in
 regime  di  concessione),  nella parte in cui devolve alla cognizione
 dell'autorita'  giurisdizionale  amministrativa,  anziche' al giudice
 ordinario,   il   sindacato   sulla   legittimita'   delle   sanzioni
 disciplinari,   irrogate   a   carico   dei   dipendenti  di  aziende
 autoferrotranviarie in concessione.
   Ad  avviso  del  remittente  la  violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione  consisterebbe  nella  disparita'  di trattamento che si
 verrebbe a creare tra autoferrotranvieri e dipendenti delle  Ferrovie
 dello  Stato,  soprattutto  a  seguito della legge 17 maggio 1985, n.
 210,  che  ha  privatizzato  il  rapporto  di  lavoro  del  personale
 ferroviario,  demandando la cognizione delle relative controversie al
 giudice ordinario.
   Sarebbe, altresi', violato l'art. 24 della Costituzione  in  quanto
 la  tutela  giurisdizionale,  prevista  dalla  norma  censurata,  non
 sarebbe in linea con le qualificazioni  sostanziali  delle  posizioni
 lese.
   2. - La questione non e' fondata.
   Questa  Corte  ha  ritenuto  (sentenza  n.  208  del  1984)  che la
 devoluzione  al  giudice  amministrativo   della   cognizione   delle
 controversie,  concernenti  i provvedimenti disciplinari, irrogati al
 personale addetto ai pubblici servizi di  trasporto  in  concessione,
 non contrasta con gli artt.  3 e 24 della Costituzione.
   E  cio' avuto riguardo "ai peculiari caratteri della materia ...  i
 quali hanno indotto il legislatore,  nella  sua  discrezionalita',  a
 preferire  la  giurisdizione amministrativa per quel che attiene alle
 controversie disciplinari ...", nonche', avuto  riguardo  al  risalto
 dell'interesse  pubblico  che  connota  il  servizio  di trasporto in
 concessione (sentenza n. 208 del 1984).
   Il giudice   a quo ripropone  la  questione  assumendo  come  nuovo
 tertium  comparationis  la  disciplina attuale del rapporto di lavoro
 dei ferrovieri, a seguito e per effetto della citata legge n. 210 del
 1985, che - operando una radicale riforma dell'Azienda delle Ferrovie
 dello Stato - ha, altresi', privatizzato il rapporto  di  lavoro  del
 relativo   personale,   demandando   alla  cognizione  dell'autorita'
 giudiziaria ordinaria le relative controversie  di  lavoro,  comprese
 quelle in materia disciplinare.
   Senonche'  la  legge  n.  210  del  1985  non  ha inciso sul quadro
 normativo,  concernente  sia  la  natura  (multiforme)  dei  soggetti
 pubblici  e  privati  che  gestiscono  in  concessione  il  trasporto
 autoferrotranviario,   sia    il    rapporto    di    lavoro    degli
 autoferrotranvieri,  che  e'  restato differenziato, anche in sede di
 contrattazione,  dalla  disciplina  del  rapporto   di   lavoro   dei
 ferrovieri,   nonostante  i  tratti  di  analogia  che  connotano  le
 rispettive attivita' lavorative.
   Al riguardo questa Corte ha costantemente affermato,  alla  stregua
 della  vigente  normativa,  la  specialita'  del  rapporto  di lavoro
 autoferrotranviario (sentenze n. 39 del 1969; n. 130 del 1970; n. 168
 del  1973;  n.  257  del  1984  e  n.  300  del   1985)   escludendo,
 successivamente  e per conseguenza, che con riguardo a detto rapporto
 possa trovare applicazione la disciplina prevista  per  i  ferrovieri
 con  la  legge  n. 210 del 1985 (sentenza n. 500 del 1988). La Corte,
 tuttavia, e proprio con la sentenza n.   500 del  1988,  ha  espresso
 l'auspicio  che il legislatore provvedesse all'"ammodernamento" della
 disciplina degli autoferrotranvieri, attraverso una riforma integrale
 e non settoriale, ed  insieme  sollecita.  Detto  auspicio  e'  stato
 raccolto  dalla  legge  12 luglio 1988, n. 270 la quale ha operato un
 definitivo mutamento, in ordine al sistema delle fonti (art. 1, commi
 1 e 2), disponendo la delegificazione  del  rapporto  di  lavoro  dei
 dipendenti  delle  aziende  esercenti servizi di trasporto e, quindi,
 autorizzando la contrattazione collettiva  di  categoria  a  derogare
 alle  disposizioni  contenute  nel  regolamento, allegato A al r.d. 8
 gennaio 1931, n. 148. Detta deroga, tuttavia,  non  si  estende  alla
 materia disciplinare ed in particolare alla giurisdizione su di essa,
 come pure riconosciuto dalla giurisprudenza delle Sezioni unite della
 Corte di cassazione e del Consiglio di Stato.
   Pertanto  anche  dopo  l'entrata  in  vigore della legge n. 270 del
 1988, secondo una scelta discrezionale del legislatore,  continua  ad
 essere  affidata al giudice amministrativo, ex art. 58, dell'allegato
 A al r.d. n. 148 del 1931,  la  giurisdizione  sui  ricorsi  proposti
 contro  i  provvedimenti  che abbiano irrogato sanzioni disciplinari,
 quale che sia l'organo che ha emesso il provvedimento e quale che sia
 la tipologia del rapporto di lavoro. Sotto questi profili,  pertanto,
 la  nuova  normativa,  rappresentata dalla piu' volte citata legge n.
 210 del 1985, non fa venire meno la specialita'  del  rapporto  degli
 autoferrotranvieri,  che  trova  riscontro  anche  nella peculiarita'
 organizzativa delle  relative  aziende.  Detta  specialita',  essendo
 rimessa alla discrezionalita' del legislatore, non e' censurabile, in
 questa   sede,   se   non  sotto  il  profilo  della  irrazionalita'.
 Discrezionalita' che, peraltro, appare  correttamente  esercitata  in
 quanto  preordinata  a  tutelare  l'interesse collettivo - e pertanto
 ritenuto dal legislatore preminente - al  buon  funziona-  mento  del
 servizio  pubblico del trasporto ferrotranviario, avuto riguardo alle
 variegate e multiformi (anche per dimensioni) tipologie  di  gestione
 da parte di aziende autonome o da parte di soggetti privati, tutti in
 regime  di  concessione  e  con  poteri  derivanti  dal  rapporto  di
 concessione in  ordine  anche  alla  sicurezza  e  alla  polizia  dei
 trasporti.
   Alla  luce delle pregresse affermazioni, non sussiste l'omogeneita'
 necessaria a rendere comparabili le situazioni poste a raffronto  dal
 giudice  a  quo,  ed  e',  quindi,  destinato  a  cadere l'ipotizzato
 contrasto della norma censurata con l'art. 3 della Costituzione.
   Quanto all'ulteriore parametro evocato dal giudice  a  quo,  ovvero
 all'art.  24 della Costituzione, e' costante giurisprudenza di questa
 Corte il principio, affermato anche nella  gia'  citata  sentenza  n.
 208  del 1984 e piu' recentemente ribadito con la sentenza n. 428 del
 1993, in virtu' del quale il legislatore puo' differenziare la tutela
 giurisdizionale, con riguardo alla  particolarita'  del  rapporto  da
 regolare,   anche   sotto  il  profilo  dell'organo  investito  della
 giurisdizione.
   In particolare questa  Corte  ha  costantemente  affermato  che  la
 tutela dinanzi al giudice amministrativo non e', in via di principio,
 meno  valida  di  quella  che si avrebbe dinanzi al giudice ordinario
 (sentenze n. 140 del 1980 e n. 47 del 1976).
   A cio' si aggiunge che il legislatore, nella  scelta  discrezionale
 del  giudice cui attribuire la competenza per la tutela di specifiche
 materie con posizioni di diritto soggettivo, puo'  tenere  conto  dei
 diversificati   poteri   istruttori,   nonche'  delle  attitudini  di
 apprezzamento  specie  del  vizio  di  eccesso  di  potere,  e  della
 immediatezza  di  efficacia  del  potere  di  sospensione  propri del
 sistema processuale relativo al tipo di giurisdizione prescelto.
   Pertanto,  anche  riguardo all'art. 24 della Costituzione, la norma
 censurata supera il vaglio di costituzionalita' e di  conseguenza  la
 questione   prospettata  deve  ritenersi,  sotto  ogni  profilo,  non
 fondata.