ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 29  della  legge
 23  luglio  1991,  n.  223  (Norme  in materia di cassa integrazione,
 mobilita', trattamenti di  disoccupazione,  attuazione  di  direttive
 della  Comunita'  europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni
 in materia di mercato del lavoro), promossi con ordinanze emesse:
     1) il 20 luglio 1995 dal tribunale  di  Genova  nei  procedimenti
 civili  riuniti  vertenti tra INPS e Egle Traverso ed altra, iscritta
 al n. 640 del registro ordinanze 1995  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica,  prima serie speciale, n. 42, dell'anno
 1995;
     2)  il 17 maggio 1995 dal pretore di Roma nel procedimento civile
 vertente tra Maria Luisa Moriconi e l'INPS, iscritta al  n.  781  del
 registro  ordinanze  1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica, prima serie speciale,  n. 48, dell'anno 1995;
   Visti gli atti di costituzione dell'INPS e di Egle Traverso;
   Udito nella  udienza  pubblica  del  6  febbraio  1996  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
   Uditi  gli  avvocati  Franco  Agostini per Egle Traverso e Carlo De
 Angelis per l'INPS.
                            Ritenuto in fatto
   1. - Nel  corso  di  procedimenti  civili  promossi  nei  confronti
 dell'INPS  da  Egle Traverso ed altra, per ottenere il riconoscimento
 del diritto all'aumento  dell'anzianita'  contributiva  nella  misura
 pari  al tempo mancante per il conseguimento dei 10 anni di accredito
 contributivo, il tribunale di Genova,  con  ordinanza  emessa  il  20
 luglio  1995,  ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 3 e 37 della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  29
 della  legge  23  luglio  1991,  n.  223  (Norme  in materia di cassa
 integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di
 direttive della Comunita' europea,  avviamento  al  lavoro  ed  altre
 disposizioni  in  materia  di mercato del lavoro), nella parte in cui
 non consente alle lavoratrici del settore  siderurgico  collocate  in
 prepensionamento  un accredito contributivo in misura uguale a quello
 assicurato ai lavoratori dello stesso settore.
   Osserva il giudice a quo che la norma impugnata, con  il  garantire
 "una   maggiorazione   dell'anzianita'  assicurativa  per  i  periodi
 mancanti al raggiungimento della normale eta' pensionabile", non puo'
 che  interpretarsi   nel   senso   di   riferirsi   all'eta'   minima
 ordinariamente  necessaria per l'accesso al trattamento pensionistico
 fissata in cinquantacinque anni per le donne ed in sessanta anni  per
 l'uomo.
   Rileva   inoltre   il   rimettente   che,   trovando  il  beneficio
 dell'accredito autonoma disciplina  nella  legge  n.  223  del  1991,
 nessun  rilievo  immediato e diretto possono avere nel caso di specie
 le decisioni della Corte costituzionale che hanno ampliato il periodo
 massimo di contribuzione figurativa, parificandolo a quello  previsto
 per gli uomini.
   Evidente  sarebbe, pertanto, la disparita' di trattamento che viene
 a determinarsi fra uomini e donne che, per anzianita' contributiva ed
 eta' anagrafica, si trovano  in  condizioni  del  tutto  identiche  e
 parimenti  idonee per l'accesso al beneficio in questione dal momento
 che i primi potranno beneficiare di una maggiorazione  di  anzianita'
 superiore di cinque anni a quella riconosciuta alle donne.
   Ne'  tale  discriminazione  potrebbe  trovare giustificazione nella
 facoltativita'  del   pensionamento   anticipato   o   nella   natura
 dell'istituto  che  si assuma tale da imporre il ragguaglio, sotto il
 profilo contributivo, all'eta' pensionabile fissata  dalla  legge  in
 sessanta anni per gli uomini e in cinquantacinque per le donne.
   Ed  invero,  la  previsione  di  una  differente  eta'  minima  per
 l'accesso alla pensione di vecchiaia risponde ad un'ottica di  favore
 per  la  particolare  condizione  e  funzione sociale della donna, in
 ragione della quale viene ad essa riconosciuta una  facolta'  il  cui
 esercizio  non  puo'  giustificare  un  piu'  sfavorevole trattamento
 pensionistico.
   2. - Nel giudizio avanti alla Corte costituzionale si e' costituita
 la  ricorrente  aderendo  alle   argomentazioni   dell'ordinanza   di
 rimessione  e  concludendo  per  la  declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale della norma impugnata.
   3.  -  Si  e'   pure   costituito   l'INPS   concludendo   per   la
 inammissibilita'  o  l'infondatezza  della  questione. Ha rilevato la
 difesa che la lamentata disparita' di trattamento altro  non  sarebbe
 che  la  conseguenza  della  prevista diversa eta' pensionabile delle
 donne rispetto agli  uomini  e  che  comunque  la  questione  sarebbe
 risolvibile  alla stregua delle considerazioni svolte da questa Corte
 nella sentenza n. 345 del 1994.
   4. - Identica questione di  legittimita'  costituzionale  e'  stata
 sollevata  dal pretore di Roma con ordinanza emessa in data 17 maggio
 1995 nel corso di un procedimento civile  vertente  tra  Maria  Luisa
 Moriconi e l'INPS.
   5.  -  Anche  con  riguardo a tale giudizio si e' costituito l'INPS
 concludendo per la inammissibilita' o l'infondatezza della  sollevata
 questione.
                         Considerato in diritto
   1.  - La questione che viene sottoposta a questa Corte e' se l'art.
 29 della legge 23 luglio 1991, n. 223  (Norme  in  materia  di  cassa
 integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di
 direttive  della  Comunita'  europea,  avviamento  al lavoro ed altre
 disposizioni in materia di mercato del lavoro), nella  parte  in  cui
 non  prevede per le lavoratrici prepensionate del settore siderurgico
 la possibilita' di  usufruire  dello  stesso  accredito  contributivo
 stabilito per gli uomini, sia in contrasto con gli artt. 3 e 37 della
 Costituzione  in quanto, a parita' di anzianita' contributiva ed eta'
 anagrafica,  gli  uomini  possono   godere   di   una   maggiorazione
 dell'anzianita'  assicurativa  nella misura di dieci anni a fronte di
 quella fissata in cinque anni per le donne.
   2. - Data l'identita' delle questioni sollevate, deve  disporsi  la
 riunione dei giudizi affinche' siano decisi congiuntamente.
   Preliminarmente  deve anche osservarsi che l'INPS, costituendosi in
 questa sede, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile
 e  comunque  infondata,  ma  nulla  ha   dedotto   circa   i   motivi
 dell'inammissibilita'.
   3.  -  La questione non e' fondata nei sensi che saranno di seguito
 precisati.
   Va  premesso  che,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa   Corte
 (sentenze  nn.  371  del  1989,  498 del 1988 e 137 del 1986), l'eta'
 lavorativa e' di sessanta anni, in misura uguale sia per  l'uomo  che
 per  la  donna,  mentre  il  diritto al pensionamento si acquista per
 quest'ultima  al   cinquantacinquesimo   anno,   in   ragione   della
 "necessita'  della  donna  di  soddisfare  esigenze a lei peculiari e
 proprie di essa, che non hanno riscontro nella condizione dell'uomo".
   Deve anche ricordarsi che il legislatore e' intervenuto piu'  volte
 per  disciplinare  le diverse ipotesi di pensionamento anticipato del
 personale esuberante  con  disposizioni  che  stabiliscono  le  varie
 condizioni  a  seconda  dei  tipi  di  imprese.  In  ordine  a queste
 disposizioni  la  Corte  ha  emesso  alcune  decisioni  che  -   come
 risultera'  piu'  avanti  -  non  sono  fra loro identiche, in quanto
 relative a differenti norme.
   In particolare, la legge n. 223 del 1991 disciplina la facolta'  di
 pensionamento  anticipato  con  due  distinte disposizioni: 1) quella
 dell'art.  27,  relativa  ai  "lavoratori   dipendenti   di   imprese
 industriali   caratterizzate   da   elevati  livelli  di  innovazione
 tecnologica, competitivita' mondiale, capacita' innovativa,  tali  da
 essere  definite  di  interesse nazionale, interessate da esigenze di
 ristrutturazione  e  riorganizzazione  con  adeguati   programmi   di
 sviluppo  e di investimenti"; 2) quella dell'art. 29, relativa invece
 ai dipendenti  delle  imprese  industriali  del  settore  siderurgico
 pubblico,  delle  imprese  produttrici  di  materiali  refrattari, di
 elettrodi di  grafite  per  l'industria  siderurgica  e  del  settore
 cantieristico pubblico.
   Detta  legge  prevede  in  proposito diverse condizioni concernenti
 l'eta' dei lavoratori, la loro  anzianita'  contributiva,  la  misura
 massima  della  agevolazione  contributiva  ed il numero delle unita'
 lavorative che possono  giovarsi  della  facolta'  di  richiedere  il
 pensionamento anticipato; tale facolta' comporta una maggiorazione (o
 accreditamento  gratuito)  di  un  certo  periodo  necessario  per la
 maturazione dell'anzianita' contributiva.
   4. - L'INPS sostiene  in  questa  sede  che  anche  all'ipotesi  di
 prepensionamento  previsto  dalla  seconda delle citate norme (quella
 applicabile nella presente fattispecie) sia estensibile la  pronuncia
 di questa Corte (sentenza n. 345 del 1994) concernente le lavoratrici
 del  settore  industriale,  secondo  cui  "l'eta'  di riferimento del
 limite massimo dell'accredito contributivo non puo' essere che l'eta'
 pensionabile, la quale per le donne e' rimasta ferma alla soglia  dei
 cinquantacinque   anni".   Dopo   il   compimento   di   questa  eta'
 pensionabile, ha osservato la Corte, esse hanno diritto di continuare
 il rapporto di lavoro  fino  a  sessant'anni,  senza  che  sia  pero'
 configurabile  nei  loro  confronti un prepensionamento con accredito
 dei contributi mancanti per maturare il diritto  alla  pensione,  dal
 momento che tale diritto hanno gia' maturato.
   La  stessa  sentenza  avverte che la pronuncia resa da questa Corte
 con la sentenza n. 371 del 1989 non puo' costituire un precedente per
 detta categoria di lavoratori, dal  momento  che  essa  riguardava  i
 dipendenti  del  diverso settore siderurgico, ove il prepensionamento
 viene ad assumere un "carattere praticamente coatto".
   La difesa delle lavoratrici ha dedotto che questo carattere  coatto
 e'  ravvisabile  appunto  nella  categoria  interessata alla presente
 controversia e che ad essa quindi si attagliano le pronunce (sentenze
 nn. 503 e 134 del 1991 e 371 del 1989) relative ai  dipendenti  delle
 imprese del settore siderurgico.
   5.   -   Questa   Corte   ritiene  che  nel  caso  in  esame  debba
 effettivamente farsi riferimento alle pronunce da ultimo  menzionate,
 le  quali  riguardano  in  modo specifico il personale esuberante del
 settore siderurgico e  di  quello  cantieristico,  la  cui  crisi  ha
 assunto - com'e' noto - gravi e peculiari connotazioni.
   Va notato in particolare, che la norma impugnata (art. 29) richiama
 le  varie  disposizioni  relative  a  questi settori, tra le quali il
 decreto-legge 1 aprile 1989, n. 120, convertito dalla legge 15 maggio
 1989, n. 181. Questo  testo,  all'art.  2,  comma  2,  stabiliva  una
 differente  maggiorazione  contributiva  fissata per l'uomo fino a 60
 anni  e  per  la  donna  fino a 55 anni; tale riferimento e' tuttavia
 caduto per quanto riguarda il settore siderurgico, dal momento che la
 norma e' stata  dichiarata  incostituzionale  in  parte  qua  con  la
 sentenza n. 503 del 1991.
   D'altra  parte,  dall'art.  8  del decreto-legge 16 maggio 1994, n.
 299 convertito in legge, con  modificazioni  dall'art.  1,  comma  1,
 della  legge 19 luglio 1994, n. 451, si trae indiretta conferma della
 esattezza delle  argomentazioni  sopra  riportate.  Ed  invero,  tale
 disposizione,  nel  prevedere,  per il triennio 1994-1996 un piano di
 pensionamento anticipato dei dipendenti  delle  imprese  del  settore
 siderurgico  di eta' non inferiore a 50 anni se uomini e a 47 anni se
 donne,  attribuisce  ai   dipendenti   medesimi   una   maggiorazione
 dell'anzianita'  contributiva  fissata,  per  entrambi i sessi, nella
 misura di 10 anni.
   Se dunque nel predetto settore di lavoro  si  riconosce  la  stessa
 maggiorazione  contributiva  sia  per  gli  uomini  che per le donne,
 sarebbe privo di giustificazione  escludere  l'operativita'  di  tale
 beneficio  solo  nel  periodo  intercorrente  tra  gli  effetti della
 richiamata sentenza n. 503 del 1991 e  quelli  derivanti  dal  citato
 decreto-legge del 1994.
   Da  quanto  sopra osservato consegue che le disposizioni relative a
 tale categoria di dipendenti (come gia' affermato dalla  sentenza  n.
 134  del 1991) assicurano alle lavoratrici del settore siderurgico un
 accreditamento contributivo pari nel massimo a quello  assicurato  ai
 lavoratori  dello  stesso settore nell'evenienza di prepensionamento,
 vale a dire pari nel massimo a 10 anni. Interpretando quindi la norma
 impugnata anche alla luce di quanto deciso dalla richiamata  sentenza
 n.  503  del  1991  vengono  meno  le  censure di incostituzionalita'
 prospettate, poiche' alle  lavoratrici  del  settore  siderurgico  e'
 stato  riconosciuto  lo  stesso  accredito contributivo assicurato ai
 lavoratori del medesimo settore.