ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 37 del codice
 penale militare di pace promosso con ordinanza emessa il 2 marzo 1995
 dal tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico  di
 Ferrazini  Corrado,  iscritta al n. 351 del registro ordinanze 1995 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  -  prima  serie
 speciale - n. 25, dell'anno 1995;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 24 gennaio 1996 il giudice
 relatore Francesco Guizzi;
   Ritenuto che  nel  corso  del  procedimento  penale  a  carico  del
 maggiore   dell'esercito  Ferrazini  Corrado,  accusato  del  delitto
 d'abuso d'ufficio (art.  323,  primo  comma,  del  codice  penale  in
 relazione  all'art.  37  del  codice  penale  militare  di  pace), il
 tribunale militare di Padova, con ordinanza  del  2  marzo  1995,  ha
 sollevato,  per  violazione  degli  artt.  3 e 97, primo comma, della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  37
 del codice penale militare di pace;
     che  secondo detta disposizione "qualunque violazione della legge
 penale militare e' reato militare";
     che  reati  "ontologicamente  identici"   sarebbero   considerati
 militari  o comuni in forza del citato art. 37, primo comma, e quindi
 assoggettati  a  regimi  giuridici  diversi   (elemento   soggettivo,
 aggravanti,  attenuanti,  scriminanti,  pene principali e accessorie,
 effetti penali della condanna, diversa giurisdizione, ecc.);
     che  l'irrazionalita'  non  riguarderebbe   soltanto   il   reato
 contestato  al  Ferrazini,  ma anche altre figure previste dai codici
 penali;
     che si configurerebbero, infatti,  come  reati  militari  l'abuso
 dell'ufficio   di   comando,   quando   si   traduce  in  peculato  o
 malversazione (artt. 215 e 216), ma non il generico abuso; l'omicidio
 a danno del superiore  o  dell'inferiore  (artt.  186  e  195)  nelle
 situazioni  di cui all'art. 199, ma non quando commesso nell'ambiente
 militare in altre diverse circostanze; le lesioni  volontarie  (artt.
 223  e  224)  nei  confronti di qualsiasi militare, ma non l'omicidio
 preterintenzionale o volontario; il furto  a  danno  di  militare  in
 luogo  militare (art.   239), ma non la rapina; la minaccia rivolta a
 un militare (art. 229), ma non la  violenza  privata  o  l'estorsione
 (forme  delittuose  in  cui,  a  volte,  si  manifesta  il cosiddetto
 nonnismo);  e   persino   l'eccesso   colposo   in   una   causa   di
 giustificazione (art. 45), ma non il corrispondente reato colposo;
     che vi sarebbe, altresi', lesione del principio di buon andamento
 dell'amministrazione  della  giustizia  (art.  97, primo comma, della
 Costituzione)  a  causa  dell'artificiosita'  e  irrazionalita'   dei
 criteri  di  delimitazione  della  sfera  di competenza dei tribunali
 militari, con  l'effetto  che  l'azione  penale  seguirebbe  percorsi
 procedimentali  inutilmente laboriosi, articolandosi su due fasi, una
 dinanzi al giudice militare e l'altra davanti a quello ordinario;
   Considerato che  identica  questione,  sulla  base  delle  medesime
 argomentazioni,  e'  stata  esaminata  da  questa  Corte e dichiarata
 inammissibile con sentenza n. 298 del 1995, giacche'  il  configurare
 l'illecito   come   reato   militare  o  comune  rientra  nei  poteri
 discrezionali del legislatore, con il solo limite  del  canone  della
 ragionevolezza;
     che  l'ordinanza  di  rimessione  non  prospetta  nuove o diverse
 argomentazioni che possano condurre a conclusioni diverse;
     che, pertanto, va dichiarata la manifesta inammissibilita'  della
 questione;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.