IL TRIBUNALE Ha pronunciato la segeunte ordinanza nel corso del procedimento penale n. 124/95, pendente dinnanzi a questo tribunale nei confronti di Paolo Scari' e Gianpaolo Marchetti, imputati di sfruttamento aggravato della prostituzione, i difensori hanno chiesto che il tribunale sollevasse questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p., nella parte in cui la norma suddetta non prevede la incompatibilita' con l'esercizio della funzione di giudici del dibattimento, dei membri del collegio che - in qualita' di componenti del tribunale del riesame - abbiano pronunciato su una questione attinente alla liberta' personale dell'imputato confermando il provvedimento applicativo di una misura cautelare personale. Nel caso presente, tutti i componenti del collegio avevano fatto parte del tribunale del riesame che in data 28 ottobre 1994 aveva confermato l'ordinanza del g.i.p. applicativa degli arresti domiciliari nei confronti del Marchetti. E' evidente dunque la rilevanza della questione nel presente procedimento. Per quanto riguarda invece il giudizio di presumibile fondatezza (rectius, di non manifesta infondatezza) della questione, deve rilevarsi come i possibili profili di illegitimita' costituzionale dell'attuale sitema normativo siano da ricondurre alla insuperabile esigenza di garantire a tutti gli imputati, indistintamente, il diritto di essere giudicati da un organo imparziale, la cui serenita' di giudizio non possa - neppure in via solo astratta e potenziale - essere condizionata "dalla cosiddetta forza della prevenzione, e cioe' quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento" (v. Corte cost. n. 432 del 1995). L'art. 34 del codice di rito, volto ad individuare le ipotesi di incompatibilita' del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, e' norma gia' ripetutamente colpita da pronunce "additive" della Corte costituzionale, la cui giurisprudenza piu' recente ha oltretutto segnato la decisa affermazione di un principio che puo' ritenersi di portata generale, e che dovrebbe condurre alla individuazione di ipotesi di incompatibilita' in ogni caso in cui il giudice chiamato a giudicare del merito della causa abbia avuto - nel corso del procedimento - accesso agli atti (o ad una parte degli atti) delle indagini preliminari, e sia stato chiamato, sulla base di tali atti, ad esprimere un convincimento sulla fondatezza della contestazione ipotizzata dagli organi inquirenti, o, in altri termini, sulla esistenza di gravi indizi di colpevolezza. Certamente in tale posizione si trova il giudice che abbia fatto parte del tribunale del riesame nel corso del medesimo procedimento e che - in tale qualita' - si sia trovato a decidere in tema di misure cautelari personali, in quanto tale giudizio, nell'attuale sistema processuale, non puo' prescindere da una rigorosa disamina degli elementi a carico dell'indagato, di cui occorre peraltro dare conto nelle ragioni del provvedimento. Si aggiunga che l'orientamento da ultimo manifestato dal legislatore con la recente riforma del sistema delle misure cautelari personali, in particolare con riguardo a quelle maggiormente afflittive, appare volto a sottolineare la gravita' della decisione che comporti la anticipata privazione della liberta' personale, e la sua adottabilita' solo in casi di effettiva necessita'. Nel sistema cosi' venutosi a delineare e' ipotizzabile (ed auspicabile) che la decisione de libertate venga ad assumere un rilievo anche maggiore di quello avuto sinora nell'ambito del procedimento, venendo si a richiedere all'autorita' che applica la misura (o ne conferma l'applicazione) un convincimento piu' che mai fondato, riguardo alla esistenza di tutti i presupposti di legge, il che non potra' non riverberarsi anche sulla analisi dei gravi indizi di colpevolezza, determinando appunto il rischio della "prevenzione" cui si e' accennato prima. Tali osservazioni - se pure non direttamente rilevanti nel giudizio in corso, in quanto la decisione del tribunale del riesame nei confronti del Marchetti e' intervenuta in epoca precedente alla riforma del 1995 - sono volte esclusivamente a sottolineare la crescente attualita' del problema, fermo restando che le ragioni di incompatibilita' di cui si discute devono ritenersi comunque sussistenti, posto che la natura del giudizio de libertate e l'ampiezza dei poteri conferiti al tribunale del riesame (v. art. 309 c.p.p.), hanno comportato, sin dalla entrata in vigore dell'attuale codice di rito, una disparita' di trattamento per coloro che vengono giudicati da un organo che conosce gli atti del procedimento per la prima volta in dibattimento, e coloro che vengono giudicati da (o anche da) giudici che abbiano in precedenza formulato un giudizio di presumibile fondatezza delle ipotesi di reato loro contestate, con evidente pregiudizio dei diritti garantiti dall'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. E va anche sottolineato come la recente dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p., nella parte in cui non prevede la incompatibilita' a prendere parte al dibattimento del g.i.p. che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato, abbia dato luogo ad una ulteriore situazione di ingiustificata disparita', posta la identita' della situazione (sotto il profilo del "rischio di prevenzione") in cui si trova il componente del collegio che abbia fatto parte del tribunale del riesame che abbia applicato o confermato una misura cautelare personale rispetto al giudice che abbia emesso il provvedimento come g.i.p., e quindi l'irrazionalita' di un sistema normativo che esponga gli imputati alla possibilita' di un giudizio privo della necessaria e dovuta imparzialita' solo nel primo dei due casi ora richiamati.