Il PRETORE Preso atto della questione di legittimita' costituzionale sollevata in data odierna dal pubblico ministero nel procedimento di cui in epigrafe; Sentito il parere della difesa; Considerato in fatto e in diritto Vicenda oggetto del procedimento. Nel corso di una perquisizione eseguita presso l'abitazione di una coppia di pregiudicati la polizia giudiziaria identificava tale Claps Gaetano, titolare di licenza di porto d'armi. Lo stesso aveva depositato su un tavolo un "marsupio" contenente una pistola semiautomatica marca Astra in calibro 9 Steyr, completa di caricatore contenente n. 15 cartucce dello stesso calibro. Dagli accertamenti effettuati risultava che l'arma predetta era detenuta in collezione e, come tale, ne era vietato l'uso per espressa prescrizione contenuta nella licenza. Il Claps veniva inoltre denunziato per il reato di cui all'art. 10, comma nono, della legge 18 aprile 1975 n. 110, in quanto lo stesso era stato trovato in possesso delle menzionate munizioni nel calibro 9 Steyr, corrispondente a quello dell'arma detenuta in collezione. Al riguardo, occorre porre in evidenza che la disposizione citata prevede il divieto assoluto di detenzione del "munizionamento" relativo alle armi in collezione. In data 30 settembre 1994 Claps Gaetano veniva citato a giudizio per rispondere, tra l'altro, di quest'ultima violazione, contestata al capo c) della rubrica. Disposizioni di legge di cui si assume la illegittimita': art. 10, comma sesto, della legge 18 aprile 1975 n. 110; art. 10, comma nono, della legge 18 aprile 1975 n. 110; art. 10, comma decimo, della legge 18 aprile 1975 n. 110. Disposizioni della Costituzione che si assumono violate: art. 3, comma secondo; art. 42, comma secondo. Valutazione della rilevanza nel caso di specie. I tre commi dell'art. 10 della legge 18 aprile 1975 n. 110 sopra elencati concorrono a formare la fattispecie criminosa oggetto della presente impugnativa di legittimita' costituzionale. Di essi il principale e' il sesto, rispetto al quale gli altri due si pongono in posizione subordinata e strumentale. Infatti, il precetto violato dall'imputato (detenzione di munizioni), contenuto nel comma nono, postula l'esistenza del precetto contenuto nel comma sesto (obbligo di munirsi di licenza di collezione) mentre il comma decimo e' quello che contiene la sanzione per entrambe le condotte. Se nel processo de quo i fatti attribuiti all'imputato risulteranno provati, il giudice non potra' fare altro che prendere atto della violazione della fattispecie contestata, con conseguente condanna del medesimo, per lo specifico reato ascrittogli. La rilevanza della questione appare evidente solo che si consideri che la eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale (rimuovendo sia le disposizioni precettive sia quella incriminatrice) avrebbe come conseguenza l'assoluzione dell'imputato perche' il fatto non costituisce reato. Va soggiunto che la questione di legittimita', benche' in concreto possa risultare favorevole all'imputato, viene sollevata dal p.m. ai sensi della prima parte dell'art. 73 del r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, al fine di assicurare l'osservanza della legge, nella specie della Carta costituzionale. Esposizione nel merito. Occorre preliminarmente, seppure sinteticamente, ricostruire il quadro normativo oggi vigente in materia di collezione di armi, dando conto delle modifiche succedutesi nella specifica materia. Infatti, la originaria previsione dell'art. 10 citato ha subi'to nel corso degli anni numerose "interpolazioni" legislative, tanto da alterarne lo spirito e la sostanza. Invero, sino alla legge 18 aprile 1975 n. 110 non era previsto alcun limite assoluto di detenzione di armi. Nel particolare contesto di allarme per l'ordine pubblico eistente al momento dell'entrata in vigore della legge citata, il legislatore ritenne necessario porre forti restrizioni in tema di detenzione di armi, introducendo un limite massimo (distinto per categorie) di armi che una sola persona potesse detenere. Tale innovazione, contenuta nell'art. 10 in esame, secondo la formulazione originale poneva il limite di due armi comuni da sparo e di sei armi da caccia. Successivamente, l'art. 1 della legge 25 marzo 1986 n. 85 modificava la disposizione di cui ci occupiamo, prevedendo la possibilita' di detenere, in aggiunta alle comuni e a quelle da caccia, sei "armi sportive" (categoria nuova, creata dalla medesima legge). Il limite per le armi comuni veniva innalzato a tre dall'art. 4 della legge 21 febbraio 1990 n. 36. Infine, l'art. 9 della legge 19 dicembre 1992 n. 489, concernente l'attuazione di direttive comunitarie relative al mercato interno, ha ulteriormente innovato la materia, prevedendo la possibilita' di detenere un numero illimitato di armi da caccia, oltre alle tre armi comuni da sparo e alle sei sportive. Pertanto, lo stato attuale della legislazione in materia di limiti alla detenzione di armi appare il seguente: senza licenza di collezione di armi comuni da sparo e' possibile detenere: n. 3 armi comuni; n. 6 armi sportive; un numero illimitato di armi da caccia. La detenzione di piu' di tre armi comuni o di sei armi sportive e' subordinata invece al preventivo rilascio della menzionata licenza. Per completezza, occorre precisare che la distinzione tra le diverse categorie di armi non e' agganciata a particolari dati oggettivi ma a parametri essenzialmente formali. Va detto al riguardo che la categoria delle "armi comuni" si pone come genus, rispetto alle species costituite dalle "armi da caccia" e dalle "armi sportive". Ne consegue che sono da considerarsi semplicemente "comuni" quelle armi da sparo che non siano classificate nelle due menzionate categorie speciali. Per individuare queste ultime occorre considerare che: le armi sportive sono quelle cosi' classificate dalla Commissione consultiva centrale delle armi, in quanto, per le specifiche caratteristiche tecniche, siano destinate all'impiego sportivo (legge n. 85/86 citata); le armi da caccia sono quelle che, per calibro e altre caratteristiche, siano suscettibili di uso venatorio, a norma delle vigenti disposizioni sulla caccia (attualmente, legge 11 febbraio 1992 n. 157). Come emerge dalla esposizione che precede, dopo l'abolizione del limite di detenzione per le armi da caccia, l'unica funzione della licenza di collezione di armi comuni da sparo disciplinata dall'art. 10 della 18 aprile 1975 n. 110 rimane quella di consentire la detenzione di piu' tre armi comuni da sparo o di piu' di sei armi sportive. A questo punto occorre rilevare che la scelta legislativa di abolire il limite numerico di armi da caccia detenibili (con conseguente parziale abrogazione dell'art. 10 della legge n. 110/75, nella parte in cui prevedeva l'obbligo di munirsi di licenza di collezione per poter detenere piu' di sei armi di tale categoria) appare giustificata nella logica di un graduale rientro alla "normalita'" e cioe' a una legislazione meno rigorosa in tema di armi determinato della cessazione dello stato di allarme sociale che aveva a suo tempo imposto le cennate restrizioni. Peraltro, posto che tale valutazione discrezionale del legislatore appare storicamente corretta, non sembra coerente la scelta di circoscrivere la nuova (e relativamente piu' permissiva) disciplina a una sola delle menzionate categorie di armi. Infatti, l'unica giustificazione razionale della disparita' di disciplina, prodotta dal citato art. 9 della legge 19 dicembre 1992 n. 489, sarebbe quella che attribuisse al legislatore l'intenzione di liberalizzare la detenzione di armi da caccia sulla base di una supposta minore pericolosita' di esse rispetto a quelle sportive e a quelle comuni in genere. Un simile ipotetico argomento sarebbe sicuramente inaccettabile, in quanto basato su un presupposto errato. Infatti, tra le armi da caccia sono annoverate carabine e fucili di grosso calibro, utilizzabili anche per la caccia ad animali di grossa taglia, la cui pericolosita' (derivante dalla potenzialita' offensiva del calibro) e' certo rilevante anche nel deprecato caso in cui le stesse venissero usate contro esseri umani. Al contrario, tra le armi comuni e sportive si annoverano - ad esempio - le pistole e le carabine ad aria compressa, la cui potenzialita' offensiva e' sicuramente minima tanto che anzi si puo' legittimamente dubitare che esse siano effettivamente tanto pericolose da doverle assoggettare a particolari restrizioni (fino alla legge n. 110/75, infatti, essere erano di libera detenzione). Appare dunque evidente l'incongruenza dell'attuale quadro legislativo, che per effetto della novella contenuta nella citata legge n. 489/92 consente a chiunque di detenere senza limiti di sorta (se non quelli dipendono dalla necessita' di munirsi di uno dei titoli d'acquisto di cui all'art. 35 TULPS) una quantita' illimitata e, in ipotesi, anche abnorme di armi da caccia, mentre confina le esigenze di difesa e di sport nell'angusto limite, rispettivamente, di tre e di se armi detenibili. Tale incongruenza, che gia' ictu oculi apparirebbe lesiva del principio costituzionale di ragionevolezza ricavabile dall'art. 3, comma secondo, della Costituzione, palesa una vera e propria abnormita' legislativa nel momento in cui si prendono in esame altre conseguenze indirette del regime normativo fissato nelle disposizioni impugnate. In primo luogo, emerge oggi nell'art. 20, comma primo, della legge 18 aprile 1975 n. 110 una inspiegabile diversita' di disciplina tra situazioni assai vicine tra loro: infatti, tale disposizione impone particolari cautele per la custodia di armi, cioe' l'uso di difese antifurto, solo a carico di chi "e' autorizzato alla raccolta o alla collezione di armi" ma non a carico di chi detiene armi nel numero e nella specie per i quali tali licenze non sono richieste. In altri termini, mentre il collezionista, che sia in possesso anche di una sola arma comune da sparo o sportiva oltre il limite dell'art. 10 della stessa legge, deve adottare le difese antifurto, da tale obbligo e' esonerato il detentore di qualsiasi numero di fucili da caccia, dato che non e' piu' prevista alcuna "autorizzazione alla collezione" di tale tipologia di armi. Poiche' - come si e' detto - le armi da caccia non sono in realta' meno pericolose e sicuramente non sono meno soggette a furti delle altre, ne consegue che, rebus sic stantibus, due situazioni pressoche' identiche (detenzione di armi oltre un ragionevole limite) sono disciplinate in modo difforme senza che sia dato all'interprete di comprendere la ratio di tale macroscopica diversita' di disciplina. In secondo luogo, va poi rilevato che, il divieto di detenere il munizionamento delle armi in collezione contenuto nel penultimo comma dell'art. 10 citato, si traduce in un sostanziale divieto di fare uso delle armi in collezione, mentre i detentori di armi da caccia possono fare libero uso di tutte le armi in loro possesso, con facolta' di detenere inoltre tutte le specie di munizioni necessarie per il funzionamento delle armi medesime. Anche questa disparita' di disciplina di situazioni sostanzialmente identiche sembra contraria al principio di ragionevolezza; principio questo posto a limite della "discrezionalita'" del legislatore. Infatti, il divieto di detenzione del munizionamento relativo alle armi comuni da sparo e a quelle sportive preclude l'esercizio delle normali facolta' derivanti al diritto di proprieta', inibendo di fatto qualsiasi uso delle armi in collezione, compreso quello sportivo o lucido (senza peraltro apprestare, come contropartita, alcuna efficace tutela dell'ordine pubblico). Cio' pone dubbi di legittimita' costituzionale anche in relazione all'art. 42, secondo comma, della Costituzione, in quanto provoca una restrizione delle facolta' connesse alla proprieta', ingiustificata ed irrazionale se confrontata con l'ampia permissivita' in materia di caccia. Non si comprende inoltre quale interesse socialmente rilevante possa giustificare una tale sopravvalutazione delle esigenze della caccia quale quella che si e' descritta, sopratutto a fronte della correlativa compressione di quelle della difesa e, in particolare, dello sport (si tenga presente che anche la caccia e' un'attivita' ludico sportiva). Infine, occorre segnalare che - pure riconoscendo al legislatore la massima discrezionalita' nella determinazione edittale delle pene - la comminazione della reclusione per la violazione del divieto di detenzione di munizioni da parte del collezionista, anche nel caso di una sola cartuccia, appare eccessiva e sproporzionata alla pericolosita' della condotta incriminata. Si consideri, per avere un termine di confronto, che il possesso abusivo di munizioni da parte di un non collezionista e' punito dall'art. 697 del codice penale solo come contravvenzione con l'ammenda alternativa all'arrestoº Violazione di principi costituzionali. L'esposizione che precede e' stata intesa a dimostrare che le disposizioni impugante, cioe' i commi sesto, nono e decimo dell'art. 10 della legge 18 aprile 1975 n. 110, non possono sopravvivere nell'ordinamento senza arrecare un grave vulnus ai principi costituzionali sopra richiamati e segnatamente all'art. 3 della Carta fondamentale. Tale insanabile incompatibilita' non era esistente ab origine, quando furono introdotte nell'ordinamento le citate disposizioni, ma e' soprovvenuta per effetto della novella legislativa contenuta nella legge 19 dicembre 1992 n. 489, che - come si e' detto - ha soppresso il limite di armi da caccia detenibili senza licenza di collezione contenuto nel menzionato art. 10. Va poi soggiunto che anche il diritto di proprieta' (sia pure riferito a cose mobili, quali sono certamente le armi) trova tutela nella Costituzione e le sue limitazioni, pur consentite e talora necessarie, devono rispondere a criteri di omogenea e razionale disciplina della materia. Occorre, pertanto, concludere al riguardo che la disparita' di trattamento tra la normativa concernente le armi da caccia rispetto alle altre intacca ingiustificatamente anche l'art. 42 della Costituzione, perche' comprime senza ragione il libero esercizio delle facolta' normalmente attribuite al titolare del diritto medesimo. Naturalmente, non puo' essere negata al legislatore la facolta' di porre limitazioni e restrizioni in tema di detenzione di armi a tutela della pubblica incolumita', determinate dalla loro pericolosita' intrinseca. Peraltro, tali limiti devono rispondere a criteri di razionalita' e di effettivo rispetto del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non solo dal punto di vista formale ma anche e soprattutto da quello sostanziale. Infine, (sebbene si tratti di una considerazione irrilevante sotto il profilo strettamente giuridico) va poi osservato che la necessarie eliminazione della parte dell'art. 10 della legge n. 110/75 di cui si denunzia la illegittimita' costituzionale, non potrebbe produrre in alcun modo, come conseguenza indesiderata, una messa in pericolo l'ordine pubblico, ricollegabile a una ipotetica diffusione indiscriminata di armi comuni e sportive tra i privati. Infatti, restano salve tutte le disposizioni che limitano l'acquisto di armi (art. 35 TULPS, citato) nonche' quelle che danno facolta' all'autorita' di vietare la detenzione di armi alle persone che potrebbero abusarne (artt. 39 e 40 del TULPS).