LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di secondo  grado,
 iscritta   al  n.  580/94  r.g.c.,  posta  in  decisione  all'udienza
 collegiale del 10 gennaio 1996 e vertente tra il comune di Atripalda,
 in persona del sindaco in carica, rapp. e dif. dall'avv. Emilio Paolo
 Sandulli e presso il med. el. do. in  Napoli,  alla  via  Crispi,  n.
 94/A;  appellante  e  Picariello  Salvatore,  rapp.  e dif. dall'avv.
 Enrico Giglio e presso  il  med.  el.  dom.  in  Avellino,  alla  via
 Circumvallazione n. 42; appellato.
                        SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
   Con  sentenza  in data 23/28 ottobre 1993 il tribunale di Avellino,
 in  accoglimento  della  domanda  proposta  il  17  ottobre  1990  da
 Picariello  Salvatore,  proprietario  di  un  fondo  in Atripalda che
 sottoposto dal 23 agosto 1983 da parte della  locale  amministrazione
 comunale  ad  occupazione  di urgenza a fini espropriativi, era stato
 irreversibilmente  trasformato  dall'opera  pubblica  realizzata  nel
 corso  della  stessa,  venuta  poi  a scadenza senza che fosse emesso
 alcun  provvedimento  di  espropriazione,  condannava  il  comune  di
 Atripalda  al  pagamento  in  favore  del suddetto attore della somma
 complessiva di L. 424.422.200, con interessi legali dal  1  settembre
 1990  (data  di  scadenza  dell'occupazione  temporanea),  di  cui L.
 277.400.000 rappresentate dal risarcimento dei danni per la ravvisata
 illegittima "occupazione acquisitiva" di mq. 3.800  di  suolo  subita
 dal   Picariello,  ed  il  resto  dall'indennita'  per  l'occupazione
 temporanea legittima.
   Avverso tale sentenza proponeva, con atto  notificato  in  data  23
 febbraio  1994,  rituale  appello il convenuto comune, contestando la
 liquidazione delle spettanze,  risarcitoria  ed  indennitaria,  sotto
 vari   profili  (erroneita'  della  determinazione  della  superficie
 ablata,   sopravalutazione   della   stessa   avuto   riguardo   alle
 caratteristiche ubicative del fondo meno favorevoli rispetto a quelle
 dei  suoli  assunti  in  comparazione,  omessa  considerazione  della
 limitante destinazione urbanistica dello stesso,  omessa  motivazione
 in  ordine  ai  rilievi  formulati  dal c.t.p. ed erroneo riferimento
 temporale della  stima)  e  chiedendone,  conseguentemente  e  previo
 rinnovo  della  consulenza  tecnica,  la  riduzione  "nei  limiti  di
 giustizia e di equita'", con ogni conseguenza in  ordine  alle  spese
 del doppio grado di giudizio.
   Si  costituiva  il  Picariello e resisteva puntualmente al gravame,
 sostenendo  in  particolare  l'adeguatezza  della  stima  del  c.t.u.
 recepita  dalla  sentenza  del  Tribunale  e  chiedendo,  ex art. 345
 c.p.c.,  l'ulteriore  rivalutazione  delle  proprie  spettanze  e  la
 condanna dell'appellante alle spese di secondo grado.
   Sulle    suesposte   rispettive   posizioni,   ribadite   in   sede
 conclusionale,  la  causa   perveniva   all'udienza   collegiale   di
 discussione, nel corso della quale la difesa dell'appellante invocava
 l'applicazione,  nella  riliquidazione  del  risarcimento dovuto alla
 controparte, dell'art 5-bis del d.-l. n.  333/1992  conv.  con  modd.
 nella legge n. 359/1992, cosi' come sostituito dall'art. 1/c.65 della
 legge  n. 549/1995, entrata in vigore nelle more del giudizio; a tale
 richiesta la difesa dell'appellato opponeva, in  via  principale,  la
 non  applicabilita'  alla fattispecie del suddetto disposto normativo
 ed,  in  subordine,  eccepiva  l'illegittimita'  costituzionale,   in
 riferimento  agli  artt.  3,  42,  43 e 44 Cost., dello stesso, nella
 parte riguardante la  materia  risarcitoria;  la  Corte,  quindi,  si
 riservava ogni decisione.
                         MOTIVI DELLA DECISIONE
   Rileva la Corte che nelle more del presente giudizio di appello, in
 virtu' della modifica apportata dall'art.1, comma sessantacinquesimo,
 della  legge  28  dicembre 1995, n. 549 ("Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica") entrata in vigore dal 1  gennaio  1996  come
 previsto  dall'art. 244), e' stata estesa l'applicazione del criterio
 legale  di  determinazione  delle  indennita'  espropriative  di  cui
 all'art.   5-bis del d.-l. n. 333/1992 conv. con modd. nella legge n.
 359/1992 anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza  di
 illegittime occupazioni acquisitive.
   Come e' noto, l'art. 5-bis cit. nel testo previgente disponeva, tra
 l'altro  (comma  n.  1)  che,  fino all'approvazione di una "organica
 disciplina   per   tutte   le   espropriazioni"   preordinate    alla
 realizzazione   di  opere  di  pubblica  utilita',  la  misura  delle
 indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di
 cui all'art. 13/III della legge n. 2892 del 1895, sostituendo in ogni
 caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il  reddito  dominicale
 rivalutato  di cui all'art.  24 e segg. del t.u. 22 dicembre 1986, n.
 917 (in pratica operando la media aritmetica tra il valore venale del
 suolo e la rendita catastale rivalutata  degli  ultimi  dieci  anni),
 riducendo  poi  l'importo  ottenuto del 40% (salvi i casi di cessione
 volontaria e quelli equiparati, a seguito  della  sent.  n.  283/1993
 della  Corte  costituzionale).  Il  sesto  comma dell'articolo citato
 escludeva dall'applicazione dei criteri  indennitari  sopra  indicati
 solo  i  casi in cui l'indennita' fosse stata accettata dalle parti o
 fosse divenuta non impugnabile con sentenza passata in giudicato alla
 data di entrata in vigore della legge di  conversione  del  d.-l.  n.
 333/1992 (in pratica all'8 agosto 1992).
   L'art.  1,  comma  sessantacinquesimo  della  legge  n. 549/1995 ha
 sostituito integralmente tale  ultimo  comma,  nei  termini  testuali
 seguenti:  "Le  disposizioni di cui al presente articolo si applicano
 in tutti i casi in cui non  sono  stati  ancora  determinati  in  via
 definitiva  il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento
 del danno, alla data di conversione del presente decreto".
   Che il risarcimento dei danni di cui al  nuovo  disposto  normativo
 sia  quello  relativo  alla  perdita  della  proprieta',  nei casi di
 "occupazione acquisitiva" o "accessione invertita", non e' seriamente
 contestabile, tenuto conto dell'operato  abbinamento,  disgiuntivo  e
 congiuntivo,   nella   previsione   legislativa,   all'indennita'  di
 espropriazione e considerato che, nella materia de qua, il solo altro
 risarcimento  ipotizzabile  e'  quello  da   occupazione   temporanea
 illegittima,   per   la   determinazione   del  quale  e'  del  tutto
 inconcepibile il ricorso ai criteri  determinativi  sopra  menzionati
 (in  cui uno dei valori da mediare e' dato dal valore cd. "pieno" del
 suolo). Evidente e', dunque, l'intenzione del legislatore  il  quale,
 per palesi esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto
 di  equiparare  del  tutto,  sul piano patrimoniale, alle conseguenze
 derivanti dalle  espropriazioni  legittime,  quelle  derivanti  dalle
 illegittime  ablazioni  di  "fatto", poste in essere dalla P.A. o dai
 soggetti per conto della stessa operanti, facendo  salve  solo  (come
 gia'  avvenuto  nel 1992) le determinazioni divenute inoppugnabili in
 sede amministrativa o per effetto di giudicato.
   Prescindendo  da   ogni   considerazione,   non   rilevante   nella
 fattispecie, in ordine ai dubbi di applicabilita' intertemporale (nel
 periodo  compreso  tra  l'8 agosto 1992 e 1 gennaio 1996) dell'ultima
 disposizione, e' certo che nella vertenza in esame,  essendo  ancora,
 tra   l'altro,  controverso  l'importo  del  risarcimento  dovuto  al
 Picariello in conseguenza della subita "occupazione acquisitiva"  (la
 cui  verificazione,  peraltro,  e' pacifica, controvertendosi solo in
 ordine alla risalenza della stessa, se alla scadenza del  quinquennio
 o   del   successivo   biennio   di   una   assunta   proroga  legale
 dell'occupazione di urgenza), non si e' ancora formato un "giudicato"
 in ordine  all'"entita'"  di  tale  spettanza  e,  pertanto,  occorre
 applicare  necessariamente  il jus superveniens alla principale delle
 questioni, di carattere sostanziale, dibattuta tra le parti.
   Da quanto sopra considerato discende  l'infondatezza  del  rilievo,
 peraltro generico, formulato dalla difesa dell'appellato, secondo cui
 il  nuovo disposto normativo non sarebbe applicabile alla fattispecie
 e, nel contempo, la rilevanza ai fini  del  presente  giudizio,  come
 richiesto  dall'art. 23, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, della questione di costituzionalita', in subordine dedotta  dalla
 suddetta difesa.
   Tanto  premesso,  osserva  la Corte che l'eccezione formulata dalla
 difesa del Picariello si configura, in relazione ai richiamati  artt.
 3  e 42 della Cost. (ma non anche agli artt. 43 e 44, del tutto privi
 di attinenza alla fattispecie in esame) non palesemente infondata.
   L'operata  parificazione  tra  le  conseguenze  patrimoniali  delle
 ablazioni  lecite  e  di  quelle  illecite si risolve, infatti in una
 irrazionale e non adeguatamente  giustificata  attenuazione,  se  non
 elusione,  del  principio  di legalita' delle espropriazioni, poste a
 garanzia del diritto di proprieta' privata  che,  come  ripetutamente
 affermato  dalla  giurisprudenza  della suprema Corte di cassazione e
 della  Corte  costituzionale,  puo'  essere  si'  sacrificato  previo
 indennizzo,  in  vista  delle  esigenze  della  collettivita'  ed  in
 considerazione della sua funzione sociale, ma nei casi previsti dalla
 legge  e  nel  rispetto  delle  rigorose   forme   dei   procedimenti
 amministrativi finalizzati alla espropriazione.
   I  seri  dubbi  di  legittimita'  costituzionale,  in  relazione al
 principio di uguaglianza di cui  all'art.  3,  si  pongono  sotto  un
 duplice profilo:
     1)   per  l'ingiustificata  discriminazione,  rispetto  ad  altre
 categorie di soggetti passivi di  atti  illeciti,  dei  titolari  dei
 diritti  di  proprieta'  immobiliare illegittimamente acquisiti dalla
 p.a.  o  da   chi,   per   essa,   si   sia   avvalso   dell'istituto
 dell'occupazione  acquisitiva, in quanto nei confronti ed a discapito
 dei   predetti   la   norma    introdotta    dall'art.    1,    comma
 sessantacinquesimo  della  legge  n.  549/1995  introduce una vistosa
 deroga ad uno dei principi basilari dell'ordinamento  civilistico,  a
 termini  del  quale  chi  abbia,  per  effetto della violazione della
 fondamentale regola di convivenza sociale del neminem laedere, subito
 un danno, ossia una decurtazione del proprio patrimonio,  ha  diritto
 all'integrale   ricostituzione  dello  stesso  a  carico  dell'autore
 dell'illecito, soggetto pubblico o privato che sia (art. 2043 c.c.);
     2) per l'irrazionale, ingiustificata e totale parificazione, agli
 effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi
 nel rispetto delle regole ad  esse  preordinate  e  di  quelle  delle
 ablazioni  "di  fatto",  verificatesi  in  conseguenza  della mancata
 osservanza delle regole medesime.
   Tale parificazione non puo' trovare adeguata giustificazione  nelle
 palesi  esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica, che hanno
 indotto il  legislatore  ad  introdurre  la  censurata  disposizione,
 essendo  altri  i  mezzi e le regole preordinate al corretto prelievo
 finanziario (v. art. 23 e 53  Cost.),  e  non  anche  il  sostanziale
 avallo dell'illecito posto in essere dalla P.A., nel quale si risolve
 l'operata  eliminazione  di ogni conseguenza patrimoniale sfavorevole
 per la stessa in dipendenza della mancata osservanza del procedimento
 espropriativo, con il conseguente venir meno della principale  remora
 al compimento di atti illegittimi.
   Ne', considerando le due diverse situazioni, di ablazioni lecite ed
 illecite,  dal  punto di vista dei soggetti passivi, puo' ritenersene
 la sostanziale equivalenza. Se e' vero, infatti, che i sacrifici,  in
 termini  di  diritti  dominicali,  sono  materialmente analoghi, deve
 pero' osservarsi che non uguali ne  sono  le  rispettive  situazioni,
 considerate   sotto   vari   diversi  aspetti,  tra  i  quali  vanno,
 particolarmente, segnalati:
     a)    la    possibilita',    solo     ove     il     procedimento
 occupativo-espropriativo si svolga secondo le regole, di controllarne
 l'iter  e, se del caso, di intervenire nel corso, dello stesso, quali
 portatori di interessi legittimi correlati  al  compimento  dei  vari
 atti   procedimentali,   nelle   competenti   sedi  amministrative  e
 giurisdizionali;
     b) il regime della prescrizione estintiva che e' piu'  favorevole
 per  detti  soggetti,  nelle  ipotesi di legittima espropriazione, in
 quanto il diritto alle indennita' si estingue nel  termine  ordinario
 decennale  di  cui  all'art. 2946 c.c, mentre nel caso di "accessione
 invertita"   conseguente   ad   illecita   occupazione   il   termine
 prescrizionale  applicabile  al  diritto al risarcimento dei danni e'
 quello quinquennale di cui all'art. 2947 cit. cod.
   Conseguenziali  alle  suesposte  considerazioni  si pongono i forti
 dubbi di legittimita' in relazione all'art. 42, terzo  comma,  Cost.,
 considerato  che  l'operata  parificazione  agli effetti patrimoniali
 vanifica del tutto o in gran parte il principio  di  legalita'  delle
 espropriazioni, posto a presidio della proprieta' privata, se e' vero
 che,  anche  nel caso "patologico" di violazione della legge, la p.a.
 puo' acquisire il diritto anzidetto, contraendo nei  confronti  degli
 ex  titolari  dello stesso obbligazioni quantitativamente identiche a
 quelle, nella  previgente  disciplina  piu'  contenute,  che  avrebbe
 contratto   nell'ipotesi  "fisiologica"  di  osservanza  della  legge
 stessa.
   Evidente, dunque, e' la  conseguenza  che,  svincolando  sul  piano
 pratico  la  p.a. dall'obbligo di osservare le norme del procedimento
 espropriativo (giacche', ormai, la relativa mancata osservanza  viene
 a   trovarsi,   in   subiecta  materia,  del  tutto  improduttiva  di
 conseguenze  sfavorevoli  sul  piano  patrimoniale  e,  quindi,   non
 efficacemente  sanzionata)  ,  si  e' finito con il creare una vera e
 propria fattispecie di "espropriazione  di  fatto"  che  si  affianca
 (sintomatico  in  tal  senso  e' l'uso da parte del legislatore delle
 congiunzioni e/o nel sesto comma del riscritto  art.  5-bis  cit.)  a
 quella  rituale e legittima, quale via alternativa e sommaria ai fini
 dell'acquisizione  della  proprieta'  dei  suoli  occorrenti  per  la
 realizzazione di opere di pubblico interesse. E poiche' tale forma di
 ablazione, solo genericamente ed indirettamente prevista dalla legge,
 puo'  svolgersi  al  di  fuori di ogni garanzia formale, il suesposto
 principio di legalita' appare del  tutto  eluso  dal  nuovo  disposto
 normativo.
   Giova,  a  questo  punto,  precisare che il collegio non ignora che
 l'istituto  dell'occupazione  acquisitiva  ha  recentemente  superato
 indenne il vaglio di legittimita' da parte della Corte costituzionale
 (v. sent. n. 188 del 17/23 maggio 1995). Ma la questione oggi si pone
 in  termini  diversi,  rispetto  a quelli a suo tempo rimessi a detta
 Corte (che pur ebbe a puntualizzare le piu' significative differenze,
 caratterizzate  e  giustificate,   sul   piano   della   legittimita'
 costituzionale,   anche   e  soprattutto  dalle  diverse  conseguenze
 patrimoniali  delle  due  forme  di  ablazione),   considerato   che,
 all'epoca mancava un riconoscimento legislativo espresso, sia pure in
 forma  indiretta,  dell'occupazione  acquisitiva e che le conseguenze
 patrimoniali dei  due  istituti  erano  nettamente  diverse  (ristoro
 parziale, in considerazione della funzione sociale della proprieta' e
 delle  garanzie  di legge, nel caso dell' indennizzo espropriativo, e
 reintegrazione  piena  della  decurtazione  patrimoniale  subita  dal
 soggetto   passivo,   nel   caso   di   risarcimento  da  illegittima
 acquisizione).
   L'esame  che  si  intende  sottoporre  alla  Corte   suddetta   e',
 conclusivamente, duplice:
     I)  se sia costituzionalmente legittimo, in relazione all'art 3 e
 sotto i due profili sopra esposti, attribuire ai soggetti danneggiati
 dalle illegittime occupazioni  acquisitive  un  ristoro  patrimoniale
 decurtato   (analogamente  a  quello  che,  in  cospetto  di  diversi
 presupposti e garanzie viene attribuito  ai  soggetti  legittimamente
 espropriati);
     II)  se, cosi' come riformulato a seguito della modifica disposta
 con l'art. 1, comma  sessantacinquesimo,  della  legge  n.  549/1995,
 l'art.  5-bis  del  d.-l. n. 333/1992 conv. con modd., nella legge n.
 359/1992, non abbia, sia pure implicitamente, introdotto, per effetto
 della  parificazione  come  sopra  operata,  una  forma  anomala   di
 espropriazione,  del  tutto  svincolata  dall'osservanza  di garanzie
 procedimentali e, quindi, in violazione dell'art. 42/III Cost.
   Il processo va, pertanto ed ai sensi dell'art. 23  della  legge  11
 marzo  1953,  n. 87, sospeso e gli atti rimessi, previ adempimenti di
 rito in dispositivo  indicati,  alla  Corte  costituzionale,  per  il
 giudizio di sua competenza, a termini degli art. 134 e segg. Cost.