ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, primo comma,
 della  legge  della  Provincia  di  Bolzano  15  aprile  1991,  n. 10
 (Espropriazioni per causa di pubblica utilita' per tutte  le  materie
 di competenza provinciale) promosso con ordinanza emessa il 25 luglio
 1995  dalla  Corte  di  appello  di  Trento  nel  procedimento civile
 vertente tra  Martinoli  Sirina  e  Provincia  autonoma  di  Bolzano,
 iscritta  al  n.   653 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  43,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995;
   Visto l'atto di costituzione della Provincia di Bolzano;
   Udito  nella  udienza  pubblica  del  6  febbraio  1996  il Giudice
 relatore Renato Granata;
   Uditi gli avv.ti Roland Riz e Sergio Panunzio per la  Provincia  di
 Bolzano.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ordinanza del 25 luglio 1995 - emessa in un giudizio di
 opposizione alla stima  dell'indennizzo  espropriativo  di  un  suolo
 edificatorio,  effettuata  in  applicazione  dell'art.8, primo comma,
 della legge della Provincia di  Bolzano  15  aprile  1991,  n.  10  -
 l'adita Corte di appello di Trento ha sollevato questione incidentale
 di  legittimita'  costituzionale  della norma suddetta, per contrasto
 con gli artt. 3, 5, 42 della Costituzione, 4 e 8  dello  statuto  del
 Trentino-Alto Adige, in relazione all'art. 5-bis del decreto-legge 11
 luglio  1992,  n.  333,  inserito  in sede di conversione dalla legge
 statale 8 agosto 1992, n.359.
   Secondo  il  giudice  a   quo   il   criterio   indennitario,   per
 l'espropriazione  di  aree fabbricabili, stabilito dalla disposizione
 provinciale denunciata  (in  relazione  al  "giusto  prezzo  che  ...
 avrebbe   avuto   l'immobile   in   una   libera   contrattazione  di
 compravendita ridotto del 25%") sarebbe infatti ora incompatibile con
 la ben piu' restrittiva disciplina statuale  -  basata  sul  criterio
 della  semisomma del valore venale e di quello dominicale ex artt. 24
 e ss. d.P.R. n. 917  del  1986,  con  ulteriore  riduzione  del  40%,
 introdotta  dal  citato  art.  5-bis anche al fine di recuperare alla
 collettivita'  il  plusvalore  del  fondo  espropriato,   frutto   di
 investimenti  economici pubblici e di favorevoli valenze dell'assetto
 urbanistico.
   E tale incompatibilita' - non rimossa dalla Provincia  nel  termine
 (6  mesi)  e con il procedimento all'uopo  previsto dall'art. 2 della
 nuova  normativa  di  attuazione  dello  statuto   di   autonomia   -
 determinerebbe   appunto     l'incostituzionalita'  sopravvenuta,  in
 riferimento ai parametri suindicati,  della  disposizione  impugnata,
 per  contrasto  con  normativa  di  grande riforma economico-sociale,
 quale quella sub art. 5-bis cit., di  obbligatoria  osservanza  anche
 per  le  regioni  e  le  provincie  autonome titolari, in materia, di
 competenza legislativa  primaria:    come  confermato  dalla  recente
 sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 1995 (di cui chiede in
 sostanza   il   giudice  a  quo  di  fare  applicazione  anche  nella
 fattispecie), che ha dichiarato l'incostituzionalita' di disposizioni
 legislative  della  Regione  siciliana  sulla  determinazione   della
 indennita'  di  esproprio  di  suoli  edificatori  per (sopravvenuta)
 incompatibilita', appunto, con lo ius superveniens nazionale.
   2.  -  Nel  giudizio  innanzi  alla  Corte,  si  e'  costituito  il
 Presidente della Provincia di Bolzano che, in linea    pregiudiziale,
 ha  eccepito  l'inammissibilita' dell'odierna impugnativa incidentale
 per l'effetto preclusivo, a suo  avviso,  discendente  dalla  mancata
 proposizione  dell'impugnativa  principale, nel quadro del meccanismo
 di adeguamento della  legge  provinciale  previsto  dall'art.  2  del
 d.lgs.  16  marzo  1992,  n.  266,  di  attuazione  dello  statuto di
 autonomia.
   Ha dedotto inoltre, in via subordinata, l'infondatezza  nel  merito
 della  questione  sollevata  sul  rilievo che la legge provinciale in
 discussione - con il previsto abbattimento del 25% del valore  venale
 dell'area  espropriata  ai  fini della determinazione del correlativo
 indennizzo  -  avrebbe  di  fatto  anticipato  (risultando  cosi'  in
 sintonia  e  non  gia'  in  contrasto  con)  il nucleo centrale della
 riforma economico-sociale introdotta dalla sopravvenuta legge statale
 8 agosto 1992, n. 359, a suo avviso rappresentato dallo  sganciamento
 della  predetta  indennita'  dal  valore  venale  integrale del fondo
 ablato, con ripudio del criterio di cui al previgente art.  39  della
 legge n. 2359 del 1865.
   Ha  eccepito,  infine,  in  sede di discussione orale, un ulteriore
 profilo di  inammissibilita'  per  irrilevanza  della  questione  nel
 processo  a quo, sul rilievo che la vicenda espropriativa si sarebbe,
 nella specie, conclusa prima della entrata  in  vigore  della  citata
 legge n. 359 del 1992.
                        Considerato in diritto
   1. - Viene denunciato, dalla Corte di appello di Trento, l'art.  8,
 primo  comma,  della legge della Provincia di Bolzano 15 aprile 1991,
 n. 10 - che assume  a  parametro  di  determinazione  dell'indennizzo
 espropriativo il valore venale del bene con un abbattimento del 25% -
 dubitandosi   che   detta   norma   sia  divenuta  costituzionalmente
 illegittima, in riferimento agli artt. 3, 5, 42  della  Costituzione,
 oltreche'  4  e  8  dello  statuto di autonomia, per contrasto con la
 sopravvenuta normativa statuale di grande  riforma  di  cui  all'art.
 5-bis  del  decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, inserito in sede di
 conversione dalla legge n. 359 del 1992 - che introduce una ben  piu'
 riduttiva disciplina di liquidazione di quell'indennizzo - alla quale
 la  Provincia  non  si  e'  spontaneamente  "adeguata" ai sensi e nel
 termine di cui all'art.  2 delle norme di  attuazione  dello  statuto
 (d.lgs. n. 266 del 1992).
   2.    -    Vanno   preliminarmente   respinte   le   eccezioni   di
 inammissibilita' sollevate dalla Provincia.
   2.1. - La prima eccezione ha riguardo - come in narrativa  detto  -
 proprio al riferito meccanismo di adeguamento della legge provinciale
 di  cui  all'art.  2  delle  norme  di  attuazione  dello  statuto di
 autonomia "concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e
 leggi regionali e provinciali ....".
   La succitata disposizione - nel prevedere testualmente che "...  la
 legislazione regionale e provinciale deve essere adeguata ai principi
 e limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale  e  recati
 da  atto  legislativo  dello  Stato  entro i sei mesi successivi alla
 pubblicazione dell'atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale ..." e che,
 decorso il termine di cui sopra, "le disposizioni non adeguate
  .. possono essere impugnate davanti  alla  Corte  costituzionale  ai
 sensi dell'art. 97 dello statuto, per violazione di esso ... entro 90
 giorni"  -  effettivamente  si  ispira (come non a torto sottolineato
 quindi dalla Provincia) a ragioni di ulteriore  valorizzazione  della
 autonomia  speciale  degli  indicati  enti territoriali attraverso la
 sostituzione del meccanismo caducatorio sub art. 10  della  legge  n.
 62 del 1953 con un ricorso principale di nuovo tipo (ma riconducibile
 alla previsione della richiamata norma statutaria e quindi fruente di
 quella copertura costituzionale) proponibile, per incostituzionalita'
 sopravvenuta,  solo  in  esito al decorso di un termine di tolleranza
 all'interno  del  quale  e'  consentito   all'ente   interessato   di
 "adeguare"  spontaneamente la propria legislazione, continuandosi nel
 frattempo ad applicare le disposizioni previgenti.
   Ma cio' che dal meccanismo istituzionale cosi'  congegnato  non  e'
 consentito  inferire  e'  proprio  il  corollario  cui  la Provincia,
 viceversa, lega la prima eccezione di inammissibilita' e cioe' - come
 conclusivamente essa afferma - che ove il  Presidente  del  Consiglio
 dei  ministri  non  abbia (come nella specie) impugnato in termini la
 legge (regionale o) provinciale "non adeguata",  resterebbe  preclusa
 la prospettabilita' di questioni incidentali nei riguardi della legge
 medesima,  "dovendo  il  giudice  ordinario  restare  fuori da questo
 dialogo istituzionale".
   Una tesi del genere - che si risolverebbe nella attribuzione di una
 vis rinforzata alla legge provinciale (o  regionale) non impugnata in
 via principale - e' stata, in realta', pur prospettata nel corso  dei
 lavori  della  Commissione paritetica per la redazione delle norme di
 attuazione di cui all'art. 107  dello  statuto  (vedi  verbale  della
 seduta  13  marzo  1991),  ma  ad  essa fu prontamente ed esattamente
 replicato che l'abolizione del controllo diffuso dei  giudici comuni,
 oltre a sopprimere una garanzia, si sarebbe  posta  irrimediabilmente
 in contrasto con il dettato costituzionale.
   E  non a caso quindi nel testo finale dell'art. 2 in esame si trova
 ribadito  che  "si  applicano  altresi'  la  legge  costituzionale  9
 febbraio  1948,  n.  1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87",
 vale a dire le disposizioni  che  appunto  prevedono  e  disciplinano
 l'incidente di costituzionalita'.
   La   questione  odierna  deve  considerarsi  per  cio'  ritualmente
 sollevata.
   2.2. - Del pari  va  respinta  anche  la  successiva  eccezione  di
 irrilevanza  alla  stregua della consolidata giurisprudenza di questa
 Corte per cui non puo' rimettersi, in questa fase, in discussione  il
 giudizio  di  rilevanza quando esso risulti - come nella specie - non
 implausibilmente motivato dal giudice a quo.
   3. - Nel merito la questione e' fondata.
   Il carattere di legge statale  di  grande  riforma  e'  gia'  stato
 riconosciuto  all'art.  5-bis introdotto dalla legge n. 359 del 1992,
 che  ha  ridefinito  il  criterio  di  liquidazione   dell'indennizzo
 espropriativo  (anche  al  fine  di  recuperare alla collettivita' il
 plusvalore  del  fondo  espropriato),  sia   (implicitamente)   dalla
 sentenza n. 283 del 16 giugno 1993 - con cui sono state, tra l'altro,
 respinte  plurime censure di incostituzionalita' formulate avverso la
 norma medesima - sia (esplicitamente) dalla successiva  pronunzia  n.
 153   dell'8   maggio   1995   che   ha  dichiarato  l'illegittimita'
 costituzionale di leggi regionali siciliane proprio  per  la  ragione
 che  il  criterio  indennitario  ivi  stabilito non piu' rispondeva a
 quello introdotto dalla "norma fondamentale" del citato art. 5-bis.
   La  stessa  Provincia  di  Bolzano, in definitiva, non contesta una
 tale   valenza   della   richiamata   disciplina   statuale,   ma   -
 individuandone  il  nucleo  centrale  nel  disancoraggio della misura
 dell'indennizzo espropriativo da quella del valore  venale  del  bene
 espropriato  -  ne desume l'inesistenza di un effettivo contrasto tra
 detta legge e la precedente propria normativa che,  con  la  prevista
 decurtazione  del  25%,  avrebbe  anticipatamente  attuato un analogo
 sganciamento della indennita' in questione dal prezzo di mercato  dei
 suoli.
   Un  tale rilievo non puo' pero' condividersi, perche' basato su una
 interpretazione arbitrariamente riduttiva, e per cio'  errata,  della
 norma di riforma.
   Questa  infatti  -  a  differenza dalla disposizione provinciale in
 comparazione  -  non  si  limita  a  prevedere  un  mero  indice   di
 abbattimento del valore venale. Essa, invece, introduce un differente
 e   piu'   complesso   sistema   di  determinazione  dell'indennita',
 risultante dalla concorrenza di piu' fattori complementari, e  quindi
 non  un mero correttivo del precedente criterio ma un altro criterio,
 nella conformazione del quale e' proprio  la  combinazione  prescelta
 tra i vari elementi (positivi e negativi) del meccanismo liquidatorio
 che  e', nel suo complesso, coessenziale all'obiettivo perseguito dal
 legislatore statale  di  determinare  l'indennizzo  espropriativo  in
 misura particolarmente contenuta nella attuale congiuntura economica.
   Il  denunziato  art.  8,  primo  comma,  della legge provinciale 15
 aprile 1991 n. 10 -  recante  un  criterio  indennitario  molto  piu'
 oneroso  per  l'amministrazione  e  comunque notevolmente difforme da
 quello introdotto dall'art. 5-bis inserito dalla  sopravvenuta  legge
 n.  359  del 1992 - risulta pertanto in contrasto con gli artt. 4 e 8
 dello statuto speciale di autonomia che impongono  alla  legislazione
 regionale e provinciale, anche primaria od esclusiva, il rispetto del
 limite  della  normativa statuale di riforma economico-sociale. E per
 la violazione appunto dei  predetti  parametri  statutari  (assorbita
 rimanendo  ogni altra censura) la norma medesima va dichiarata quindi
 costituzionalmente illegittima in parte qua.