IL TRIBUNALE
   A  scioglimento della riserva effettuata all'udienza del 17 gennaio
 1996 nella causa civile iscritta al  n.  468/95  del  ruolo  generale
 affari  contenziosi  avente  ad oggetto: reclamo avverso ordinanza di
 rigetto ex art. 700 c.p.c. del pretore di Ottaviano  del  2  novembre
 1995  tra Bove Raffaele, elettivamente domiciliato in Somma Vesuviana
 (Napoli), corso Italia, 3 presso l'avv. Errico Di Lorenzo  dal  quale
 e'  rappresentato  e  difeso; reclamante e il Banco di Napoli s.p.a.,
 elettivamente domiciliato in Nola, via Anfiteatro  Laterizio  n.  103
 presso  lo  studio  dell'avv.  Giuseppe  Gambardella, rappresentato e
 difeso dall'avv. Nunzio Rizzo; convenuto.
 
                             O s s e r v a
   Con ricorso depositato il 2 ottobre 1995, Bove Raffaele ha  esposto
 quanto segue:
     di  essere  stato assunto in data 1 ottobre 1971 con la qualifica
 di impiegato di  1  nella  societa'  Aerit  e  destinato  all'ufficio
 esattoriale  di San Giuseppe Vesuviano (Napoli) lavorando ivi sino al
 dicembre 1989 per poi passare - a seguito della riforma tributaria  -
 alle  dipendenze  della  Serit  Roma  gestita  dal Banco di Roma, con
 spostamento dell'ufficio in Terzigno dove ha lavorato fino  al  1993,
 passando  successivamente  sempre  presso  il  medesimo ufficio, alle
 dipendenze  del  nuovo  concessionario  Banco  di  Napoli  s.p.a.   -
 Commissario governativo;
     di  aver svolto in aggiunta alle mansioni prevalenti di ufficiale
 esattoriale, l'attivita' di impiegato addetto ai servizi  interni  in
 conformita'   al  suo  inquadramento  e  all'art.  17  del  contratto
 collettivo vigente;
     di essere stato destinatario di un ordine di  custodia  cautelare
 poi  revocato  con  consequenziale  ridimensionamento della vicenda e
 senza che a suo carico venisse comminata alcuna  misura  interdittiva
 ai  sensi  degli  artt.  287  e  289  c.p.p., riprendendo pertanto la
 propria attivita' lavorativa e senza dare luogo a richiami  di  alcun
 genere;
     che,  dopo  essere  stato riammesso in servizio in data 10 maggio
 1995, con nota in data 20 luglio 1995, a distanza di 135  giorni  dai
 fatti,  il  Banco  di  Napoli  s.p.a.  lo  ha  sospeso dall'impiego e
 dall'abilitazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 110 del d.P.R.
 28 gennaio 1988, n. 43 e delle altre norme  legislative  vigenti  con
 decorrenza  dal  30  luglio  1975  e,  fatto  salvo  quanto  previsto
 dall'art. 122  del  C.C.N.L.    12  luglio  1991,  con  contemporanea
 sospensione di ogni trattamento economico, stante il provvedimento di
 revoca  dell'autorizzazione alle mansioni di ufficiale di riscossione
 da parte del procuratore della Repubblica di Napoli;
     che il provvedimento emesso nei suoi confronti e' stato  adottato
 senza alcun procedimento disciplinare;
     che  lo  stesso  e'  illegittimo  e privo di motivazione, nonche'
 adottato  senza  l'osservanza  dell'art.  39  del  citato   contratto
 collettivo;
     tanto  premesso, chiedeva ai sensi dell'art. 700 c.p.c. di essere
 riassunto  ripristinando  l'intero  trattamento  economico   con   la
 immediata  corresponsione  degli  arretrati,  ed  in  via  gradata la
 corresponsione delle intere indennita'  arretrate  correnti  a  mente
 dell'art. 39 C.C.N.L., fino all'esaurimento del procedimento penale.
   In  data  9 ottobre 1995 si costituiva il Banco di Napoli chiedendo
 il rigetto del ricorso.
   Con provvedimento del 2 novembre  1995,  il  pretore  di  Ottaviano
 rigettava il reclamo per mancanza del fumus boni juris.
   Riteneva  il  pretore  che  il  d.P.R. n. 43/1988, nel disciplinare
 l'attivita' espletata dagli ufficiali di riscossione, attribuendo  al
 procuratore  della Repubblica il potere di concedere l'autorizzazione
 a tali soggetti per compiere le proprie funzioni, nonche'  quella  di
 revocarla  con  provvedimento  motivato  (cfr. art. 99, comma terzo),
 attesa  la  delicatezza  della  funzione  svolta,  nel  disporre  che
 "l'ufficiale  di  riscossione  sottoposto  a  procedimento penale per
 avere attestato il falso nelle  relazioni  di  notifica,  e'  sospeso
 dall'impiego  e  dall'abilitazione  in  attesa  della definizione del
 procedimento stesso", ha espresso un precetto di natura  inderogabile
 destinato  ad  operare  quale  misura  cautelare  che non consente al
 datore  di  lavoro  alcun  margine   di   discrezionalita',   essendo
 quest'ultimo   tenuto   ad  emettere  il  relativo  provvedimento  di
 sospensione dall'esercizio dell'attivita' di lavoro.
   Proseguiva, inoltre, il pretore evidenziando  che  tale  situazione
 sfuggiva  alla  previsione dell'art. 39 del C.C.N.L., che pure impone
 al datore  di  lavoro  di  corrispondere  al  lavoratore  un  assegno
 alimentare  in  caso  di  sospensione dal lavoro per sottoposizione a
 procedimenti penali, in quanto la sospensione dal lavoro del Bove era
 avvenuta non per iniziativa discrezionale del datore  di  lavoro,  ma
 per factum principis.
   Tale circostanza, nell'impedire al lavoratore di fornire la propria
 prestazione,  consentiva  al  datore  di lavoro di effettuare la sua,
 quindi, con sospensione dell'erogazione della retribuzione.
   Avverso tale decisione il Bove ha proposto il presente  reclamo  al
 tribunale,  ai  sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. (come modificato
 dalla sentenza della Corte costituzionale n. 253/1994), sollevando in
 via principale, ed in modo piu' deciso rispetto a quanto  gia'  fatto
 in primo grado, la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 110  d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 per contrarieta' agli artt. 3, 24,
 27 e 76 Cost.
   Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   Piu' precisamente il reclamante rileva che l'automatismo voluto dal
 legislatore,  cioe'  la  sospensione  dall'esercizio  delle  funzioni
 esattoriali  e  quindi  dall'impiego  al solo inizio del procedimento
 penale a carico dell'esattore, e' palesemente contrario  ai  principi
 espressi  dalla  Corte costituzionale gia' con la sentenza n. 971 del
 14 ottobre 1988 che dichiaro' l'illegittimita' costituzionale di  una
 serie  di  norme  riguardanti i pubblici impiegati che prevedevano la
 destituzione di diritto nell'ipotesi di  condanna  degli  stessi  per
 alcuni reati, per violazione dell'art. 3 Cost.
   In  parte  motiva,  la  Corte cosi' dichiarava:   "La Corte ha gia'
 avuto  modo  di  considerare,   per   identiche   fattispecie,   come
 l'ordinamento appaia orientato, oggi, verso la esclusione di sanzioni
 rigide,  avulse  da  un  confacente  rapporto di adeguatezza col caso
 concreto ed ha osservato essere  cio'  largamente  tendenziale  -  in
 adempimento  del principio di eguaglianza - nell'area punitiva penale
 e con identica incidenza anche nel campo disciplinare  amministrativo
 (sent. 270 del 1986)".
   Riconoscendo  la  tendenza dell'ordinamento ad espungere ogni forma
 di automatismo, in riferimento anche "ad un recente disegno di legge,
 volto a modificare talune norme  del  codice  penale  in  materia  di
 circostanze  attenuanti e di sospensione condizionale della pena", la
 Corte costituzionale ravvisava l'indispensabilita' di una gradualita'
 sanzionatoria e individuava nel  procedimento  disciplinare  la  sede
 naturale dell'irrogazione della sanzione.
   La   tendenza   dell'ordinamento,   individuata   dalla  Corte,  e'
 effettivamente esistente; essa puo' essere percepita  osservando  sia
 la  disciplina del pubblico impiego dove la sospensione automatica e'
 prevista solo in caso di custodia cautelare, sia la legge 7  febbraio
 1990,  n.  19 (il disegno di legge a cui faceva riferimento la Corte)
 che, modificando l'art. 166 c.p.  ha  escluso  l'effetto  automatico,
 conseguente   alla  sentenza  di  condanna,  seppure  sospensivamente
 condizionata, del diniego di  "autorizzazioni necessarie per svolgere
 attivita' lavorative".
   Violazione degli artt. 24 e 27 della Costituzione.
   L'art. 110 d.P.R. 28 gennaio 1988,  n.  43,  cosi'  come  viola  il
 principio  di ragionevolezza dell'art. 3 Cost., e' in contrasto anche
 con i principi degli artt. 24 e 27 Cost.
   Il sistema sanzionatorio automatico, non riservando  al  lavoratore
 sospeso  dal servizio alcun assegno alimentare, pregiudica il diritto
 alla difesa e viola la presunzione di innocenza in  quanto  l'effetto
 della  sospensione  avviene gia' all'inizio del procedimento penale e
 non a sentenza definitiva. Per di piu', senza che sia  un  giudice  a
 valutare  i  gravi  indizi  di  colpevolezza e le esigenze cautelari.
 Infatti, a voler configurare  la  sospensione  dall'impiego  e  dalla
 abilitazione,  in  attesa  della  definizione  del  procedimento, una
 misura cautelare interdittiva, artt. 287 e ss. c.p.p.,  la  norma  e'
 ancora   una   volta   in   contrasto  con  l'art.  3  Cost.  perche'
 irragionevole a confronto con il  sistema  del  processo  penale  che
 rimette   al  giudice,  con  provvedimento  motivato,  il  potere  di
 sospendere l'imputato da un pubblico ufficio o servizio.
   Violazione dell'art. 76 della Costituzione.
   L'art. 110 citato e' in  violazione  dell'art.  76  Cost.  perche',
 essendo il d.P.R. in questione diretta conseguenza della legge delega
 4 ottobre 1986, n. 657, e' necessario che in essa legge sia possibile
 rinvenire   la   fissazione   dei   principi   generali  in  tema  di
 provvedimenti nei confronti degli esattori sotto procedimento penale.
   Invece, l'intero testo della legge n. 657/1986 non  tratta  mai  di
 forme cautelari o sanzionatorie nei confronti degli esattori.
   Di   conseguenza,   siccome  le  altre  questioni  prospettate  dal
 reclamante sono subordinate rispetto alla questione  di  legittimita'
 cosi' sollevata e siccome il tribunale ritiene che la decisione sulla
 circostanza sia rilevante ed assorbente rispetto a tutto il resto, la
 eccezione  di costituzionalita' come sopra sollevata appare rilevante
 e, per i motivi sopra espressi e non manifestamente infondata.
   Quindi il tribunale dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti
 alla  Corte  costituzionale,  con  sospensione del giudizio in corso,
 mandando alla cancelleria per gli adempimenti  di  cui  all'art.  23,
 legge 11 marzo 1953, n. 87.