IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso in appello n.
 7694 del 1994 proposto  da  Candido  Paolo  Amedeo,  rappresentato  e
 difeso  dagli avvocati Luigi Ficarra e Corrado Mauceri, con domicilio
 eletto presso lo studio dell'avv. Fausto Buccellato  in  Roma,  viale
 Beato   Angelico   n.  45;  contro  Ministero  delle  poste  e  delle
 telecomunicazioni, in persona del Ministro in carica, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  presso  la  quale  e'
 domiciliato  per  legge  in  Roma,  via  dei  Portoghesi  n.  12; per
 l'annullamento della sentenza del Tribunale amministrativo  regionale
 del Veneto (Sezione I) n.  743 del 22 luglio 1993;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Amministrazione
 appellata;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore  alla  pubblica udienza del 3 novembre 1995 il consigliere
 Costantino Salvatore e udito l'avv. Carrozzo,  per  delega  dell'avv.
 Mauceri;
   Nessuno e' comparso per le parti;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Paolo  Amedeo Candido, dirigente del C.M.P. di Padova del Ministero
 delle poste e delle telecomunicazioni, con domanda del 4 maggio  1982
 chiedeva  all'amministrazione di appartenenza il riconoscimento della
 dipendenza da causa di servizio delle infermita' in essa specificate.
   Espletate le indagini e raccolti gli  elementi  indicati  nell'art.
 36  del  d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, l'istante veniva sottoposto ai
 prescritti  accertamenti  sanitari  e  l'apposito   Collegio   medico
 ospedaliero,  con  verbale n. 66 del 9 dicembre 1982, riconosceva che
 le infermita' erano state  contratte  in  servizio  e  per  causa  di
 servizio,  precisando anche le categorie alle quali erano ascrivibili
 ai fini dell'equo indennizzo.
   La  Commissione  centrale  del  personale  delle  poste   e   delle
 telecomunicazioni,  con  atto  del  25  giugno 1984, tenuto conto del
 suddetto giudizio  sull'esistenza  del  rapporto  di  causalita'  tra
 eventi  di  servizio e l'infermita' dichiarata e dell'avviso conforme
 della  Direzione  generale  del  personale,  esprimeva   il   proprio
 favorevole  parere e il Direttore centrale, con decreto 9 agosto 1988
 riconosceva dipendenti da causa di servizio le infermita' come  sopra
 accertate.
   A   seguito  di  tale  riconoscimento,  l'interessato  chiedeva  la
 concessione dell'equo indennizzo che gli veniva negata con  atto  del
 Direttore centrale del personale del 30 marzo 1991, in conformita' al
 parere  negativo  espresso  dal Comitato per le pensioni privilegiate
 ordinarie sentito a norma dell'art. 5-bis  della  legge  20  novembre
 1987, n.  472.
    Cio' premesso, il ricorrente deduceva le seguenti censure:
   1.  -  Violazione  e falsa applicazione degli artt. 35, 38, 48, 51,
 52, 55 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686 e dell'art. 5-bis della legge
 20 novembre 1987, n. 472.
   Il diniego e' illegittimo in quanto, senza adeguata motivazione, si
 basa sul parere del  C.P.P.O.  a  sua  volta  errato  ed  illegittimo
 perche'  si  esprime  nuovamente e in senso negativo sulla dipendenza
 delle infermita' da causa di servizio, questione da  ritenersi  ormai
 definitivamente  risolta  in senso positivo dal giudizio espresso dal
 Collegio medico ospedaliero.
   2.  -  Eccesso  di  potere  per   illogicita',   irrazionalita'   e
 contraddittorieta'.
   Il diniego di equo indennizzo e' stato motivato con l'insussistenza
 -  ritenuta  dal C.P.P.O. - del presupposto della dipendenza da causa
 di servizio, senza considerare che  la  stessa  amministrazione  tale
 dipendenza aveva accertato con proprio provvedimento 9 agosto 1988.
   3.  -  Eccesso  di  potere  per difetto di motivazione e carenza di
 accertamenti.
   Il Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie,  nell'esprimere
 il  proprio  giudizio  tecnico,  non  ha  tenuto  conto  di tutti gli
 elementi   di   fatto   disponibili   e   risultanti    dagli    atti
 dell'amministrazione, mentre quest'ultima ha omesso di motivare sulle
 ragioni  che  la  inducevano,  in  presenza di piu' pareri, a dare la
 preferenza a quello sfavorevole per l'interessato.
   4.  -    Eccesso di potere per travisamento di fatti, illogicita' e
 carenza di accertamento. Violazione del d.P.R. 23  dicembre  1978  n.
 915, all. A.
   L'amministrazione  intimata  avrebbe  commesso, una serie di errori
 dal punto di vista medico-scientifico come  risulta  dalla  relazione
 svolta  dal  medico  di  fiducia  sia  in  dipendenza  di  carenza di
 accertamento degli elementi di fatto disponibili e  risultanti  dagli
 atti.
   L'amministrazione   si   costituiva  in  giudizio,  contestando  la
 fondatezza del ricorso,  che  veniva  respinto  con  la  sentenza  in
 epigrafe  specificata,  contro  la quale l'interessato ha proposto il
 presente appello, chiedendone l'integrale riforma.
   L'Ente Poste Italiane, nel frattempo succeduto al Ministero, si  e'
 costituito  anche  in  questo grado di giudizio, chiedendo il rigetto
 dell'impugnativa.
   L'appellante ha ulteriormente illustrato le proprie tesi  difensive
 con  apposita  memoria  e il ricorso e' stato trattenuto in decisione
 alla pubblica udienza del 3 novembre 1995.
                             D i r i t t o
   La controversia concerne la legittimita' o meno del  provvedimento,
 con  il  quale  e'  stata  respinta  la  domanda  dell'appellante  di
 concessione dell'equo indermizzo, in conformita' del parere  negativo
 del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie che aveva escluso
 la  dipendenza  da  causa  di  servizio dell'infermita' produttiva di
 menomazione dell'integrita' fisica, laddove  il  precedente  giudizio
 definitivo del Collegio medico ospedaliero aveva ritenuto sussistente
 tale  dipendenza  col seguito del conforme provvedimento ministeriale
 di riconoscimento, tuttora in atto.
   Punto  centrale  di  siffatta  controversia  e'   l'interpretazione
 dell'art.    5-bis  del  decreto-legge  21  settembre  1987,  n. 387,
 convertito con modificazioni nella legge 20 novembre 1987, n. 472, in
 relazione agli articoli 166 e 177 del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092,
 che ne risultano implicitamente  modificati,  circa  l'estensione  di
 simili modificazioni.
   Dalle  norme desumibili dai menzionati articoli della legge n. 1092
 del  1973,  nella  loro  originaria   formulazione,   risultava   una
 disciplina  uniforme  del  procedimento  per  il riconoscimento della
 dipendenza da causa di servizio di infermita' dei pubblici impiegati,
 concluso da un provvedimento unico  di  accertamento,  preceduto  dal
 giudizio  del  Collegio medico ospedaliero e dal parere del Consiglio
 di amministrazione integrati dal parere del Comitato per le  pensioni
 privilegiate ordinarie (salvi i casi di ulteriori pareri dell'ufficio
 medico  legale  presso il Ministero della sanita'): talche', avvenuto
 una volta per tutte tale accertamento, questo valeva ai fini di tutte
 le  misure  riparatorie  previste   dall'ordinamento   sia   per   la
 salvaguardia  patrimoniale  che  per  il  risarcimento di menomazioni
 dell'integrita' fisica rapportabili all'infermita'  considerata,  con
 preclusione  esplicita  di  un suo riesame ai fini del trattamento di
 quiescenza privilegiato, sancita dall'art.  163, secondo comma  della
 stessa legge.
   L'art.  5-bis  del  decreto-legge  n. 387 del 1987 convertito nella
 legge n. 472 del 1987 ha reso definitivo  il  giudizio  del  Collegio
 medico  ospedaliero, "ai fini del riconoscimento delle infermita' per
 la dipendenza da causa di servizio" in generale, ed ha  mantenuto  il
 parere  del  Comitato  per le pensioni privilegiate ordinarie solo in
 sede   di   liquidazione  delle  pensioni  privilegiate  e  dell'equo
 indennizzo, abrogando altresi' il divieto di  riesame  in  tale  sede
 delle  questioni  gia'  risolute  col provvedimento di riconoscimento
 dell'infermita' da causa di servizio.
   Deriva  da  cio'  che,  fermo  restando  ad  ogni  altro  fine   il
 riconoscimento  avvenuto della dipendenza dell'infermita' da causa di
 servizio (salvi i casi di suo annullamento d'ufficio per autotutela),
 esso possa essere negato per la eventualita' di parere contrario  del
 Comitato  per  le  pensioni  privilegiate  odinarie  reso  in sede di
 liquidazione della pensione privilegiata e dell'equo indennizzo, come
 e' appunto avvenuto nel caso in esame.
   La nuova norma ha cosi' introdotto  una  disciplina  giuridica  del
 riconoscimento   della   dipendenza  da  causa  di  servizio  di  una
 infermita'  e  delle   menomazioni   d'integrita'   fisica   connesse
 comportante  la  possibile  coesistenza  della  affermazione  e della
 negazione di tale dipendenza in relazione all'una o  all'altra  della
 misure riparatorie previste dall'ordinamento.
   A  tali  conclusioni  interpretative  e'  pervenuta  la  prevalente
 giurisprudenza, nonostante  sporadici  tentativi  di  configurare  la
 portata  innovativa  della  norma nel senso di limitare l'oggetto del
 parere del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie (una volta
 riconosciuta nella fase antecedente del procedimento la dipendenza da
 causa di servizio), agli aspetti ulteriori  dell'infermita'  e  della
 menomazione  dell'integrita'  fisica  come  la graduazione della loro
 gravita' e la conseguente  classificazione  secondo  i  parametri  di
 legge.   Se  questo  ultimo  fosse  il  senso  della  norma,  non  si
 spiegherebbe in essa  la  salvezza,  esplicita  e  limitata  ai  fini
 indicati,  del  parere  del  Comitato  per  le  pensioni privilegiate
 ordinarie di cui all'art. 166 del d.P.R. n. 1092  del  1973,  che  e'
 prescritta  proprio  sulla  dipendenza  dell'infermita'  da  causa di
 servizio.  Non puo' non ritenersi quindi  che  la  definitivita'  del
 giudizio  del Collegio medico ospedaliero trovi un limite espresso in
 tale salvezza e quindi negarsi  la  possibile  coesistenza,  riguardo
 alla  stessa  infermita'  concernente uno stesso soggetto e la stessa
 eziopatogenesi, di  provvedimenti  di  riconoscimento,  l'uno,  e  di
 disconoscimento, l'altro, della dipendenza da causa di servizio.
   Se  tutto  cio'  e'  vero,  si  palesa il dubbio non manifestamente
 infondato di incostituzionalita' dell'art. 5-bis del decreto-legge 21
 settembre 1987, n. 387, convertito con modificazioni nella  legge  20
 novembre  1987,  n.  472,  per  contrasto con gli artt. 3 e 97, primo
 comma, della Costituzione e per eccesso  di  potere  legislativo  nei
 profili   della   illogicita',   della   contraddittorieta'  e  della
 disparita' di trattamento.
   Il  principio  di  eguaglianza,   enunciato   nell'art.   3   della
 Costituzione  con  riguardo  alla  esigenza di parita' di trattamento
 legislativo per tutti i cittadini in  identicita'  o  equivalenza  di
 situazioni,  e'  la  specificazione  etica  in  formula giuridica del
 generalissimo principio logico di non contraddizione, per il quale e'
 impossibile che una cosa sia o non sia nello stesso tempo.  Cosi'  il
 collettivo    sociale,    che   l'ordinamento   giuridico   organizza
 unitariamente,   sebbene   rifratto   al   proprio   interno    nelle
 particolarita'  individuali,  non  tollera fra queste, per rispettive
 posizioni identiche, regole difformi o, a maggiore ragione, opposte e
 quindi    in    contraddizione    reciproca    e    con     l'essenza
 dell'organizzazione  unitaria.  Del  pari, ancora al proprio interno,
 quest'ultima neppure tollera, riguardo a ciascun  individuo  ad  essa
 appartenente,  che  singoli  momenti della rispettiva vicenda sociale
 siano fatte oggetto nello stesso tempo  di  proposizioni  opposte  ed
 incompatibili  fra loro. Il principio di uguaglianza, percio', inteso
 come  misura  costituzionale  del  valore  giuridico  di  parita'  di
 trattamento  di  posizioni.  giuridiche soggettive identiche per ogni
 rispettivo aspetto, opera  sia  nei  riguardi  della  pluralita'  dei
 soggetti  consociati, a garanzia dello svolgimento uniforme per tutti
 di tali posizioni, sia singolarmente nei  riguardi  di  ognuno  degli
 stessi  soggetti,  a garanzia della considerazione giuridica uniforme
 di ogni suo immutato modo di essere nel corpo sociale in costanza  di
 tempo.
   Sembra  dunque urtare contro il principio di uguaglianza, garantito
 dalla Costituzione, la norma che rende possibile  la  coesistenza  di
 atti  provvedimentali,  in  uno dei quali si affermi e in un altro si
 neghi il rapporto di causalita' fra gli stessi fattori morbidi o  gli
 stessi   fatti   di  servizio  di  impiego  pubblico  ed  determinata
 infermita', sia pure  nel  quadro  variamente  articolato  di  misure
 riparatorie delle conseguenze dannose di tale infermita'.
   Essa poi, se anche si volesse trascurare il conflitto immediato col
 suddetto  principio  desunto  da  una  testuale norma costituzionale,
 sembra  esporsi  al  vizio  di  eccesso  di  potere  nei  profili  di
 illogicita' e contraddittorieta' proprio per l'apertura da essa fatta
 a  comportamenti  amministrativi confliggenti col principio logico di
 non contraddizione riguardo  alla  qualificazione  giuridica  di  uno
 stesso  fatto  sia  in  un  senso  che  nel  senso  opposto, entrambi
 coesistenti.
   Ne'  puo'  tacersi  della   rifrazione   di   tale   illegittimita'
 sull'osservanza   dell'altro  precetto,  di  cui  all'art.  97  della
 Costituzione, circa l'imparzialita' della  pubblica  amministrazione,
 la quale vi e' tenuta, non solo nell'operare tra soggetti diversi, ma
 anche  riguardo  ad un singolo soggetto, si' da non mutare avviso per
 mutare di prospettiva in ordine ad una immutata  situazione  di  quel
 soggetto,  lasciando  in vita per giunta nello stesso tempo sia l'uno
 che l'altro avviso.
   Alla luce di tali considerazioni, che sono state gia' formulate con
 ordinanza della Sezione n. 466 del 16 maggio 1995 e devono essere qui
 ribadite, la presente controversia, almeno in  via  preliminare,  non
 puo'   essere  definita  indipendentemente  dalla  risoluzione  della
 questione di legittimita' costituzionale cosi' sollevata  dovendo  il
 provvedimento  impugnato  in  primo  grado  essere  annullato o no, a
 seconda che la norma denunziata sia o no dichiarata incostituzionale.