IL PRETORE
   Ha  pronunciato  e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la
 seguente ordinanza nei  confronti  di:  Borgiani  Lodovico,  nato  il
 giorno  10 agosto 1927 a Montecarotto (Ancona), residente in Camerino
 (Macerata), via Girolamo Di Giovanni n. 6; libero-presente,  imputato
 del  reato  p.  e  p.  dall'art.  21  legge  n. 319/76, poiche' quale
 titolare di una lavanderia effettuava scarico in  pubblica  fognatura
 in violazione della tabella C di cui alla legge medesima.
   In Camerino, il 27 gennaio 1993.
   Recidiva se e come da casellario.
   Con  l'intervento  del  pubblico  ministero  in  persona  del dott.
 Roberto Della Cerra, vice procuratore onorario, all'uopo delegato.
   Le parti concludevano nel modo che  segue:  Il  pubblico  ministero
 chiede   affermarsi   la   penale  responsabilita'  dell'imputato  in
 relazione alla fattispecie ascrittagli e condannarsi lo  stesso  alla
 pena di mesi tre di arresto.
   Il  difensore dell'imputato in via principale sollecita l'a.g. alla
 remissione degli atti alla Corte  costituzionale  per  illegittimita'
 della  norma  di  cui  si contesta la violazione; in via subordinata,
 nella denegata ipotesi di  condanna,  chiede  irrogarsi  la  pena  in
 aumento  ex  art.  81  cpv.  c.p.  rispetto alla pena comminata dalla
 sentenza 26 ottobre 1993 del pretore di Camerino.
                            Fatto e Diritto
   Il 27 gennaio  1993,  in  Camerino,  in  via  Santoni,  all'interno
 dell'azienda  per  la  lavanderia  di  capi di abbigliamento, gestita
 dalla ditta individuale di Borgiani Lodovico, personale del  S.M.S.P.
 della  U.S.L. n. 15 di Macerata e del servizio I.S.P. della U.S.L. n.
 10 di Camerino provvedevano al controllo dell'impianto di depurazione
 dell'azienda  suddetta  e  degli  scarichi  derivanti  dall'attivita'
 produttiva:  in  tale ambito, si provvedeva, tra l'altro, al prelievo
 di alcuni campioni dei reflui di  acqua,  che  dal  depuratore  della
 ditta  venivano  scaricati  direttamente nella pubblica fognatura del
 comune di Camerino. Le successive analisi rivelavano  come  i  reflui
 predetti  contenessero  alcuni  valori  superiori ai limiti stabiliti
 dalla tabella c), allegata alla legge 10 maggio 1976, n. 319 (domanda
 chimica di ossigeno). Cio' stante, veniva inoltrata denunzia a carico
 del titolare della ditta individuale artigiana  "Borgiani  Lodovico",
 individuabile  nel  signor  Borgiani  Lodovico  prefato; in capo allo
 stesso  venivano  intraprese  indagini  preliminari,  le   quali   si
 concludevano  con  la citazione, dinanzi a questa a.g., dell'imputato
 predetto, al fine di consentire il vaglio della  sua  responsabilita'
 in  ordine  al  reato  meglio  precisato  in rubrica. All'udienza del
 giorno 28 aprile  1995,  prima  dibattimentale,  l'imputato,  sebbene
 ritualmente  citato,  non si presentava senza allegare la sussistenza
 di alcun motivo legittimamente ostativo alla personale  comparizione,
 sicche',  con apposita ordinanza, ne veniva dichiarata la contumacia.
 Il dibattimento,  peraltro,  non  veniva  aperto,  dopo  alcuni  meri
 differimenti  ante causam, che all'udienza del giorno 11 luglio 1995.
 In esito all'esposizione introduttiva, veniva esperita  l'istruttoria
 dibattimentale,  che  si compendiava nell'esame di alcuni tra i testi
 indotti dal p.m.  e  nell'espletamento  di  incarico  peritale  sulla
 natura  degli  scarichi  provenienti dall'insediamento produttivo, di
 cui e' titolare l'imputato.  Esaurita  l'istruttoria  dibattimentale,
 data  lettura  degli atti e dei documenti contenuti nel fascicolo del
 dibattimento, le parti concludevano come da separato verbale.
   All'esito dell'odierno dibattimento opina questo  pretore  che  sia
 necessario   procedere   alla   sospensione   del   giudizio,  previa
 declaratoria della non manifesta infondatezza e della rilevanza della
 questione di legittimita' costituzionale del terzo comma dell'art. 21
 della  legge  10  maggio  1976,  n.  319,   siccome   novellato   dal
 decreto-legge  17  marzo  1995,  n.  79, convertito con modificazioni
 dalla legge 17 maggio l995, n. 172.
   Le risultanze dell'istruttoria dibattimentale hanno  consentito  di
 apprezzare  il  raggiungimento  della dimostrazione della circostanza
 che, in data 27 gennaio 1993, venne effettuato, in  Camerino,  presso
 l'azienda  di  lavanderia  di  capi di vestiario, gestita dalla ditta
 individuale dell'odierno imputato, un prelievo di campioni  di  acque
 reflue,  derivanti  dal  ciclo  produttivo dell'azienda, che venivano
 scaricate, previo passaggio nel depuratore dell'azienda stessa, nelle
 pubbliche fognature del comune di  Camerino.  La  circostanza  appare
 inconfutabile,  in quanto sicuramente dimostrata dalla documentazione
 prodotta dalla pubblica accusa (verbali di analisi delle acque reflue
 e certificati inerenti ai risultati delle  suddette  analisi;  v.  in
 atti),  riscontrata  dalle  precise  dichiarazioni,  rese  nel  corso
 dell'udienza del giorno 11 luglio 1995 dai testi  Leoni  Tristano  ed
 Osimani  Patrizia  (v.  in  atti),  rispettivamente  biologo e perito
 chimico del S.M.S.P.  della azienda U.S.L. n.  9  di  Macerata,  gia'
 U.S.L.  n.  15  di  Macerata, i quali effettuarono il controllo sopra
 menzionato. Le analisi successive rivelarono la  presenza  di  alcuni
 valori  superiori  ai limiti statuiti dalla tabella c), allegata alla
 legge 10 maggio 1976, n. 319: in particolare,  venne  riscontrato  un
 valore  inerente alla domanda chimica di ossigeno pari a 635,5 mg./l.
 (valore tabellare pari a 500 mg./l.).
   Quanto all'elemento soggettivo della fattispecie  contestata,  deve
 considerarsi  che  l'espletata  perizia  sulla  natura degli scarichi
 provenienti dall'azienda del Borgiani ha consentito di  appurare  che
 gli  scarichi stessi, immettentisi in pubblica fognatura, provenivano
 dal depuratore installato presso l'azienda  summenzionata  e  che  la
 strumentazione  non  era idonea a consentire una perfetta depurazione
 degli scarichi suddetti, in quanto "Il sistema di  depurazione  della
 ditta   presentava   (...)   forti  limiti  operativi  su  una  parte
 consistente di sostanze presenti nelle acque provenienti dal processo
 lavorativo aziendale; da questo discendeva la possibilita'  di  avere
 scarichi,  in fognatura, non compatibili con la tabella C della legge
 n.  319/76,  soprattutto  in   presenza   di   processi   lavorativi,
 particolarmente inquinanti, prevalenti su altri.". In particolare, "I
 reflui  della  lavanderia artigianale "Borgiani" erano caratterizzati
 da un inquinamento prevalentemente di tipo organico (C.O.D.  elevato)
 con  un  carico  talvolta sostenuto di cloruri derivanti dal ciclo di
 tintura  e  dalla  aggiunta  di polielettrolita nel ciclo depurativo.
 Nonostante che l'impianto chimico-fisico, agendo prevalentemente  sui
 solidi sospesi e colloidali, avesse capacita' di abbattimento fino al
 60% del carico organico, nessun potere di abbattimento esercitava nei
 riguardi  dei  cloruri"  (v., in atti, relazione peritale, redatta in
 data 8 gennaio 1996 dal dott. Adriano Vecchi, pagg. 8 e 15).  Sembra,
 dunque,   che  l'evento  antigiuridico  possa  essere  ascritto  alla
 volontarieta'  dell'odierno  imputato,  che  ben  avrebbe  potuto  (e
 dovuto)  attivarsi  per adeguare l'impianto di depurazione, esistente
 presso la propria azienda, onde ottenere il risultato di una migliore
 depurazione delle acque  reflue,  provenienti  dal  ciclo  produttivo
 (siccome,   sia   detto   per  incidens,  avvenne  proprio  in  epoca
 immediatamente successiva all'accertamento effettuato  dal  personale
 della U.S.L. n. 15 di Macerata).
   Cio'  stante,  non rimarrebbe che passare alla determinazione della
 pena infliggenda, da individuare in quella  preveduta  dal  novellato
 terzo  comma  dell'art.  21  della  legge  10 maggio 1976, n. 319: si
 consideri, infatti, che, prima delle modifiche introdotte dal decreto
 legge 17 marzo 1995, n. 79, convertito con modificazioni nella  legge
 17 maggio 1995, n. 172, il terzo comma dell'art. 21 della legge Merli
 prevedeva come obbligatoria l'irrogazione della pena dell'arresto nei
 confronti  di  coloro  che  avessero  effettuato  scarichi con valori
 inquinanti superiori ai limiti delle  tabelle,  allegate  alla  legge
 stessa.   Oggi,   dopo   le  summenzionate  modifiche  apportate  dai
 richiamati testi normativi, il terzo comma dell'art. 21  della  legge
 10  maggio  1976,  n.  319,  commina,  nei  confronti  delle predette
 condotte  antigiuridiche,  in  via  alternativa  la  pena  pecuniaria
 dell'ammenda,  da  un  minimo  di  L.  15.000.000 ad un massimo di L.
 150.000.000, e la pena detentiva dell'arresto sino  ad  un  anno.  Il
 confronto   tra   le  due  normative  succedutesi  nel  tempo  lascia
 chiaramente intendere che, tra esse, quella di maggior favore per  il
 reo  e'  quella  novellata  dal  decreto legge n. 79/1995, sicche' al
 Borgiani dovrebbe irrogarsi la  pena  operando  il  riferimento  allo
 schema sanzionatorio previsto dal novellato terzo comma dell'art.  21
 della  legge  n.  319/1976. Peraltro, sempre il terzo comma dell'art.
 21 della legge  n.  319/1976,  all'ultima  parte,  in  ragione  delle
 modifiche   introdotte   dalla   normativa   summenzionata,  prevede,
 testualmente:  "Tali sanzioni (quelle penali principali, comminate in
 via alternativa, dell'ammenda  e  dell'arresto  e  quella  secondaria
 dell'incapacita'  a  contrattare  con  la  pubblica  amministrazione,
 n.d.e. del presente provvedimento) non si applicano nei confronti dei
 pubblici  amministratori  che  alla  data   di   accertamento   della
 violazione  dispongano di progetti esecutivi cantierabili finalizzati
 alla depurazione delle acque.".  Sembra, dunque, che, alla stregua di
 tale disposto,  introdotto  nel  corpus  del  novellato  terzo  comma
 dell'art.   21   della   legge  Merli  in  sede  di  conversione  del
 decreto-legge n. 79/1995, il pubblico amministratore che sia titolare
 di un insediamento produttivo,  che  effettui  scarichi  in  pubblica
 fognatura  ovvero  in  altro  corpo  ricettore,  superiori  ai limiti
 fissati ai sensi del n. 2) del primo comma dell'art. 12  della  legge
 Merli, nel primo caso, ed ai limiti di cui alle tabelle allegate alla
 predetta  legge,  nel secondo caso, non sia soggetto all'applicazione
 di alcuna delle sanzioni prevedute dal ridetto terzo comma  dell'art.
 21, purche' lo stesso pubblico amministratore disponga di un progetto
 esecutivo  cantierabile  finalizzato alla depurazione delle acque. La
 predetta condizione (causa di non punibilita') non trova applicazione
 nei confronti del privato titolare di  insediamento  produttivo,  dal
 quale  si dipartano scarichi inquinanti, che, pure, si sia adoperato,
 per quanto nelle proprie  possibilita',  per  ottenere  il  risultato
 della  depurazione degli scarichi stessi ed, in ultima analisi, delle
 acque in cui  i  medesimi  recapitino.  La  disparita'  trattamentale
 appare di solare evidenza e non sembra sorretta da alcuna ragionevole
 giustificazione.  Lungi  dal  voler mettere in discussione, in questa
 sede, opzioni di politica legislativa, che hanno  condotto,  trarnite
 le  novelle  introdotte  con  il  decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79,
 convertito con modificazioni dalla legge 17 maggio 1995, n.  172,  ad
 un  abbassamento  generale  della  soglia  della  difesa penale nella
 tutela  del  bene  giuridico  "ambiente",  laddove  lo   stesso   sia
 compromesso  da scarichi inquinanti, in un'ottica che sembra di poter
 individuare nell'esigenza di affidare al diritto penale il  ruolo  di
 extrema  ratio  tra  gli  strumenti  di tutela del summenzionato bene
 giuridico, nella certezza che, onde  perseguire  tale  finalita',  il
 diritto   penale   rimane   strumento  non  primario,  bensi'  misura
 sussidiaria (si veda, ad  esempio,  quanto  predicato  da  autorevole
 dottrina  germanica  nel  campo della politica criminale: Heinz Zipf,
 Politica criminale, Milano, 1989, pag. 326), si vuol qui sottolineare
 come l'opera di depenalizzazione, perseguita dal legislatore del 1995
 nel settore di tutela giuridica de quo agitur, sembra  ispirata,  per
 taluni  aspetti,  a  criteri  di incoerenza e di irragionevolezza. Si
 consideri, a tal proposito, che il novellato testo dell'art. 22 della
 legge  Merli   punisce   con   una   semplice   sanzione   pecuniaria
 amministrativa   l'inosservanza   di   prescrizioni   contenute   nel
 provvedimento di autorizzazione allo scarico,  compiuta  da  chiunque
 effettui  o  mantenga  lo  scarico  stesso:    sembrerebbe  di  poter
 concludere  che  la   logica   sottesa   al   vasto   intervento   di
 depenalizzazione  sia  quella  che  la  dottrina  germanica compendia
 nell'espressione della Ordnungswidrigkeit, vale a  dire  nel  ricorso
 sistematico  alla  mera  sanzione  amministrativa  quale strumento di
 repressione  delle  violazioni   consistenti   nell'inosservanza   di
 disposizioni della pubblica amministrazione. Le conseguenze derivanti
 da  tale  intervento  innovativo,  peraltro, pongono seri problemi di
 razionalita' della novella, in quanto il  testo  dell'art.  23  della
 legge  Merli,  rimasto  inalterato,  punisce  con sanzione pecuniaria
 penale  chiunque  apra  o   effettui   nuovi   scarichi   prima   che
 l'autorizzazione,  da lui regolarmente richiesta, sia stata concessa,
 mentre il soggetto che, ottenuta l'autorizzazione allo scarico da  un
 insediamento  civile,  non osservi i limiti di compatibilita' fissati
 alla stregua del secondo comma dell'art.  14  della  legge  Merli  e'
 punito  con  la  mera sanzione amministrativa. Pare, pertanto, che la
 logica sottesa all'intervento  di  depenalizzazione  sia  ispirata  a
 criteri  contingenti  e  non  sia sorretta da una visione sistematica
 della materia, che, sola, avrebbe consentito una adeguata tutela  del
 bene giuridico dell'ambiente.
   In  tale quadro di intervento settoriale e privo di una sistematica
 razionalita' si insedia la novella introdotta, in sede di conversione
 del decreto legge n. 79/1995, secondo cui il pubblico amministratore,
 che sia titolare di un insediamento produttivo (si pensi, ad esempio,
 ad un mattatoio comunale), il quale effettui  scarichi  superiori  ai
 limiti  fissati  alla  stregua del n. 2) del primo comma dell'art. 12
 della legge Merli, se tali scarichi recapitino in pubblica fognatura,
 ovvero ai limiti di cui alle tabelle allegate alla predetta legge, se
 gli scarichi recapitino in altro corpo  ricettore,  non  e'  punibile
 laddove  disponga  di  un progetto esecutivo cantierabile finalizzato
 alla depurazione delle acque. Come gia' detto, la  particolare  causa
 di  non  punibilita' si applica soltanto ai pubblici amministratori e
 non  ai  privati,  i  quali  tengano  analogo  comportamento,  magari
 predisponendo   appositi  progetti  per  la  depurazione  dei  reflui
 provenienti  dai   propri   insediamenti   produttivi.   Tutt'affatto
 irragionevole   sembra   la   disparita'  trattamentale,  laddove  si
 consideri che il bene  giuridico  tutelato  dalla  normativa  di  cui
 all'art.  21  della  legge 10 maggio 1976, n.  319, rimane lo stesso,
 sia  che  a  pregiudicarlo  sia  un  privato  cittadino,  sia  che  i
 comportamenti  lesivi  provengano  dalla pubblica amministrazione: la
 medesima potenzialita'  lesiva  dell'ambiente,  oggetto  precipuo  di
 tutela, che la legge n.  319/1976 intende proteggere sia considerando
 le  acque  in se' come una componente dell'ambiente stesso, in quanto
 tale da salvaguardare,  sia  considerando  le  acque  come  possibile
 vettore   di   inquinamento  dell'ambiente,  risiede  nelle  condotte
 violative del privato e del pubblico amministratore.  Ne'  sembra  di
 poter  individuare  nella  condotta  delineata  dall'ultima parte del
 novellato terzo comma  dell'art.  21  della  legge  n.  319/1976  una
 fattispecie   di   ravvedimento   operoso,  tale  da  legittimare  la
 sottrazione alla sfera di punibilita'  della  pregressa  condotta  di
 trasgressione,  in  quanto la causa di non punibilita', come e' stato
 acutamente sottolineato da  recente  dottrina,  consiste  nella  mera
 predisposizione  di  progetti  "cantierabili" senza che si preveda la
 effettiva messa in opera di impianti di depurazione delle acque,  con
 la  conseguenza, tutt'affatto irragionevole, dell'introduzione di una
 sorta di "licenza di inquinare" per tutti i  pubblici  amministratori
 che si limitino a predisporre, sulla carta, i summenzionati progetti,
 senza  adoperarsi  concretamente per passare alla fase della concreta
 realizzazione  degli  stessi,  con  i  conseguenti,   presumibilmente
 onerosi,  impegni  di  spesa  (v.  G. Amendola, Nota di commento alla
 sentenza Cass., sez.  terza  penale,  2  giugno  1995,  n.  1189,  in
 Ambiente,  Consulenza  e pratica per l'impresa, 1995, n. 9, pag. 64).
 Ne' dicasi che la condotta del pubblico amministratore e'  meritevole
 di  tutela  in quanto destinata, per sua stessa natura, a tutelare un
 bene, del quale solo la pubblica amministrazione  e  non  il  singolo
 privato  puo'  disporre  (le  acque  nel  loro  complesso, quale bene
 pubblico, come  si  evince  dalla  dizione  testuale  utilizzata  dal
 legislatore  del 1995). Si ponga mente, a tal proposito, che vieppiu'
 meritevole di considerazione  appare  la  condotta  del  privato,  il
 quale,  mediante  la predisposizione di progetti ovvero, addirittura,
 mediante la messa in opera di impianti  di  depurazione,  si  adoperi
 attivamente   allo   scopo  di  evitare  l'inquinamento  delle  acque
 pubbliche  attraverso  la  depurazione,  a   monte,   dello   scarico
 inquinante:  il  fine  di salvaguardia del bene giuridico "ambiente",
 siccome sopra  individuato,  deve  ritenersi  egualmente  perseguito.
 Quel  che  si  vuol  sostenere,  in  questa sede, e' che tutt'affatto
 sfornito di ragionevole giustificazione e, per tal via, in insanabile
 contrasto  con  il  secondo  comma  dell'art.  3  della  Costituzione
 repubblicana,  appare  differenziare le conseguenze giuridiche legate
 ad  analoghe  condotte,  sol che le stesse siano adottate dal privato
 cittadino ovvero dal pubblico  amministratore,  indipendentemente  da
 ogni  giudizio  di  valore circa le scelte di politica legislativa in
 tema di depenalizzazione nella tutela del bene giuridico  "ambiente",
 perseguite  dal  legislatore del 1995 (la cui opinabilita', peraltro,
 e' gia' stata evidenziata, sotto forma di delibazione  del  conflitto
 delle  predette  opzioni  con  beni  di  rilevanza costituzionale, da
 numerosa giurisprudenza di merito).
   Cio'  detto  in  merito  alla  non  manifesta  infondatezza   della
 questione  di  legittimita'  costituzionale  delibata,  non resta che
 passare alla disamina  della  rilevanza  della  stessa  nel  presente
 giudizio:  si  ponga  mente,  a tal riguardo, alla circostanza che il
 Borgiani aveva installato, presso la propria lavanderia  artigianale,
 un  depuratore  degli  scarichi  prodotti, recapitanti nella pubblica
 fognatura del comune di Camerino.  Poco rileva, a tal  fine,  che  il
 depuratore  predetto  non  fosse,  in  pratica,  idoneo  a consentire
 un'efficace depurazione  degli  scarichi  in  relazione  ai  composti
 organici,  si'  che  i valori della domanda chimica di ossigeno erano
 tali da superare i limiti di cui alla tabella c), allegata alla legge
 n. 319/1976, poiche' la causa di non punibilita' prevista dall'ultima
 parte del terzo comma dell'art. 21 della legge predetta prescinde  in
 maniera  assoluta  da  qualsiasi valutazione inerente all'adeguatezza
 del progetto finalizzato alla depurazione delle acque.