IL PRETORE Letti gli atti del procediemnto n. 3302/95 r.g. dib. a carico di Hamidovic Fatima nata a Sarajevo e Osmamovie Fadita nata a Sarajevo, imputate del reato p.p. dagli artt. 56, 110, 624 e 625 n. 4 c.p.: Rilevato che, all'udienza in data 27 novembre 1995 il p.m. ha sollevato questione di legittimita' costituzionale del d.-l. 18 novembre 1995 n. 489 ed in particolare dell'art. 7-ter d.-l. n. 416/89 come introdotto da tale decreto, in relazione agli artt. 2, 3, 25, 27 e 77, 13 e 111 della Costituzione e che questo pretore ritiene di dover d'ufficio sollevare ulteriore questione di costituzionalita' della medesima norma in riferimento altresi' all'art. 24 Cost.; Ritenuto, quanto alla rilevanza, che le imputate venivano arrestate in flagranza in data 26 novembre 1995 e quindi condotte avante a questo pretore per la convalida dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo e che - convalido l'arresto - il p.m. chiedeva nei confronti delle imputate medesime la misura dell'espulsione ai sensi del citato art. 7-ter, primo e terzo comma; Ritenuto in merito alla valutazione della non manifesta infondatezza quanto segue: 1. - Violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione. L'art. 7 del d.-l. 18 novembre 1995 n. 489 introduce - abrogando la precedente formulazione dell'art. 7 d.-l. 30 dicembre 1989 n. 416 - sette nuovi articoli (rubricati dal 7 al 7-septies) uno dei quali in particolare, l'art. 7-ter, risulta applicabile nel presente procedimento penale in cui il cittadino straniero sopra generalizzato e' stato presentato a questo pretore a norma dell'art. 566 c.p.p. per la convalida dell'arresto in flagranza operato nei suoi confronti in data 26 novembre 1995, ed il contestuale giudizio. Deve in primo luogo osservarsi come il suddetto art. 7-ter, nel contrapporre al primo comma il caso dello straniero arrestato in flagranza a quello del soggetto pure straniero al quale sia stata applicata la misura della custodia cautelare, evidenzia chiaramente la possibilta' per il giudice - su richiesta di uno dei soggetti indicati al comma quarto - di disporre l'espulsione anche nei confronti di colui al quale, pur se arrestato in flagranza, non venga applicata alcuna misura cautelare a norma degli artt. 272 e segg. c.p.p. o per assenza di richieste in merito da parte del p.m. - come appunto e' avvenuto nel presente procedimento penale - o per mancata concessione da parte del giudice che procede delle misure richieste: a prescindere ora dalla questione relativa alla necessita' o meno di trovarsi in presenza comunque di un arresto almeno convalidato - questione cui deve inevitabilmente darsi in sede di interpretazione logica risposta affermativa - la norma censurata introduce la possibilita' di disporre la "misura" dell'espulsione, come lo stesso art. 7-ter la definisce, su mera richiesta del p.m. - oltreche' dell'interessato e del difensore - senza prevedere alcun altro elemento valutativo ai fini della decisione del giudice, che sembrerebbe anzi tenuto all'accoglimento di tale istanza, ".... e' disposta l'espulsione", con la sola esclusione della sussistenza di .... inderogabili esigenze processuali". Considerato ora il momento processuale nel quale tale richiesta di esplusione si colloca e valutato inoltre che altre norme della nuova disciplina introdotta con il d.-l. n. 489/95 espressamente prevedono il provvedimento di espulsione quale misura di sicurezza (art. 7), misura di prevenzione (art. 7-bis), nonche' quale contenuto di un provvedimento amministrativo (artt. 7-quater e 7-quinquies), all'espulsione disposta dal giudice ai sensi dell'art. 7-ter dovrebbe riconoscersi, nell'ipotesi in cui la relativa provenga dal p.m. circostanza che rappresenta poi l'elemento di maggiore novita' della disciplina in esame rispetto a quella gia' contenuta nell'art. 7, comma 12-ter, decreto-legge n. 416/89, natura di misura cautelare personale; a sostegno di tale inquadramento devono altresi' richiamarsi l'espressione contenuta nell'ultima parte dell'art. 7-ter, primo comma, che subordina l'espulsione dello straniero in stato di custodia cautelare alla possibilita' di soddisfare con tale diversa "misura" le esigenze cautelari del caso concreto, l'attribuzione della competenza a decidere circa la richiesta di espulsione al giudice competente in tema di misure cautelari individuato ai sensi dell'art. 279 c.p.p. ed in infine la previsione, quale mezzo di gravame avverso l'ordinanza di espulsione, del ricorso per cassazione previsto e regolato dall'art. 311 c.p.p. in materia di misure cautelari. Deve osservarsi allora come l'introduzione di una nuova misura cautelare personale, applicabile esclusivamente nei confronti dei cittadini stranieri, appaia in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., comportando per lo straniero una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto al cittadino italiano, disparita' resa ancor piu' incisiva dal fatto che, come detto, l'applicazione di tale misura da un lato risulta di fatto sganciata dalla sussistenza delle esigenze cautelari previste dall'art. 274 c.p.p. ed appare anzi quasi automatica, in caso di richiesta di parte, fatto salvo l'unico limite delle "inderogabili esigenze processuali", e dall'altro e' rimessa, quanto dalla durata (art. 7-ter, quarto comma, ultima parte) alla decisione discrezionale del giudice che non risulta vincolata neppure dalla previsione di termini massimi, quali quelli previsti dagli artt. 303 e segg. c.p.p.: pertanto, a fronte della medesima condizione di arresto in flagranza per lo steso reato, magari consumato in concorso tra loro, e nel caso in cui - convalidato per entrambi l'arresto - non vi sia stata alcuna applicazione di misure cautelari a norma degli artt. 272 e segg. c.p.p., il cittadino italiano beneficierebbe della immediata liberazione mentre il cittadino straniero, in caso di richiesta del p.m., dovrebbe essere espulso da parte del giudice, con il solo limite delle inderogabili esigenze processuali, e con interdizione dal territorio dello Stato per un arco temporale liberamente determinato a norma dell'artt. 7-ter, quarto comma e 7-sexies, primo comma. Va detto peraltro che l'ingiustificata disparita' di trattamento pare ravvisabile in prospettiva diametralmente opposta anche nell'ipotesi in cui, in presenza delle stesse condizioni di fatto e di diritto, al cittadino italiano venga applicata la misura della custodia cautelare in carcere mentre a quello straniero - su richiesta del p.m. - la misura custodiale venga sostituita con quella dell'espulsione ex art. 7-ter che potrebbe in ipotesi garantire, secondo quanto richiesto dalla norma, la soddisfazione delle esigenze cautelari del caso, ma che presenta palesemente un'intensita' coercitiva di tutt'altro peso rispetto a quella di cui all'art. 285 c.p.p. Va detto peraltro che la riconducibilita' dell'espulsione disciplinata dall'art. 7-ter nell'ambito delle misure cautelari potrebbe ritenersi dubbia in relazione alla possibilita' che essa venga disposta su richiesta anche dell'interessato o del suo difensore - in contrasto con il disposto dell'art. 291 c.p.p. - salvo individuare in tale fattispecie, gia' presente come detto nella normativa previgente, un'ipotesi di sospensione dell'esecuzione di una misura cautelare custodiale, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 62/94. Del resto il differente inquadramento dell'istituto in esame tra le ipotesi di applicazione provvisoria di una misura di sicurezza personale, oltre a non sottrarsi ad evidenti motivi di contrasto con i principi costituzionali - in particolare la mancata previsione nel procedimento applicativo delineato dall'art. 7-ter della necessita' di accertare l'effettiva pericolosita' sociale dello straniero di cui e' richiesta l'espulsione in violazione del principio generale dettato dall'art. 31 legge n. 663/86 e recentemente ribadito dalla Corte costituzionale (sent. n. 58/95) - si scontrerebbe con l'analoga censura dell'illogicita' ed inammissibilita' (art. 312 c.p.p.) dell'applicazione di una misura di sicurezza su richiesta proveniente dall'interessato o dal suo difensore. La possibilita' poi - a fronte come detto di una situazione di mero arresto in flagranza al quale, in difetto di applicazione delle misure cautelari di cui agli artt. 280 e segg. c.p.p., dovrebbe seguire l'immediata liberazione - che il cittadino straniero, magari del tutto incensurato non essendovi come detto limiti di sorta nella norma, possa essere su richiesta del p.m. - al primo contatto con il "circuito penale" - radicalmente allontanato per un tempo indeterminato dal nostro Stato ai sensi del primo comma, dell'art. 7-ter, appare in contrasto con quei doveri di solidarieta' sociale - da esplicarsi in primo luogo nei confronti dei soggetti deboli - cui la nostra Repubblica e' chiamata in forza del dettato costituzionale (art. 2 Cost.). Il contrasto risulta poi ancor piu' netto ove si osservi che destinatario del provvedimento di espulsione, ai sensi dell'art. 7-ter in relazione all'art. 7-sexies, nono comma, puo' essere anche lo straniero regolarmente residente nel nostro Stato, se da un tempo inferiore a cinque anni, ovvero convivente con cittadini italiani diversi dai parenti entro il quarto grado, senza quindi rilevanza alcuna di eventuali vincoli di coniugio o affinita', e pertanto un soggetto che nel nostro Stato puo' aver instaurato situazioni o rapporti di carattere personale, sociale, o lavorativo anche di notevole rilevanza: ebbene in tali ipotesi la possibilita' di immediata espulsione su richiesta del p.m. sembra rappresentare un vulnus rispetto al principio dell'inviolabilita' dei diritti del individuo - sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita' - non proporzionato rispetto alla situazione presupposta dall'art. 7-ter, primo comma, nella quale come come detto il giudice si trova in presenza di una mera notizia di reato, sia pure corredata da determinati caratteri, ma che comunque prescinde dall'effettivo accertamento della penale responsabilita' realizzabile solo attraverso la formazione della sentenza di condanna divenuta irrevocabile (art. 27 Cost.). 2. - Violazione dell'art. 24 della Costituzione. La regolamentazione dell'espulsione a richiesta di parte dettata dal censurato art. 7-ter appare altresi' in contrasto con l'inviolabilita' del diritto di difesa, nell'ipotesi in cui la richiesta di espulsione provenga dal p.m., sotto due profili: da un lato la norma, nell'omettere di indicare qualunque presupposto - di fatto o di diritto - al di la' della mera condizione di cittadino straniero arrestato in flagranza o sottoposto a custodia cautelare, per l'emanazione del provvedimento di espulsione (cui deve come detto riconoscersi natura di ordinanza applicativa di una misura cautelare), preclude di fatto sul punto all'imputato l'esercizio di qualunque diritto di difesa rispetto all'adozione di un provvedimento i cui effettivi limitativi sulla liberta' personale dell'imputato sono di piena evidenza. Ancora in contrasto con il dettato dell'art. 24 Cost. appare l'ipotesi dell'espulsione su richiesta del p.m. nell'ipotesi in cui nei confronti del cittadino straniero arrestato in flagranza si proceda poi immediatamente al giudizio a norma dell'art. 566, sesto comma, c.p.p.: in tale ipotesi infatti di provvedimento di espulsione - disposto a norma dell'art. 7-ter, primo comma - dovrebbe ricevere esecuzione ai sensi dell'art. 7-sexies mediante accompagnamento immediato alla frontiera, ed in tale circostanza la previsione (art. 7-sexies, undicesimo comma) della possibilita' di chiedere ed ottenere un'autorizzazione a rientrare in Italia onde partecipare al processo, risulterebbe di fatto vanificata dalla celebrazione immediata di un dibattimento al quale al cittadino straniero espulso sarebbe di fatto preclusa la partecipazione, con conseguente palese ed incisiva violazione dei diritti difensivi, tra i quali quelli di avanzare richiesta dei cd. riti alternativi. Ne' puo' ipotizzarsi che il diritto dell'arrestato cittadino straniero di partecipare, se lo desideri, al proprio processo possa venire realizzato mediante rigetto della richiesta di espulsione avanzata dal p.m. per le "inderogabili esigenze processuali" previste dal primo comma dell'art. 7-ter, posto che altrimenti la norma avrebbe potuto piu' chiaramente prevedere, per il cittadino straniero arrestato in flagranza e quindi espulso su richiesta del p.m., la possibilita' di chiedere il differimento della decisione o quanto meno dell'esecuzione dell'ordinanza di espulsione sino alla conclusione del giudizio direttissimo. Viceversa la norma nell'attuale formulazione testuale - "inderogabili esigenze processuali" - appare riferita alla necessita' di assicurare la presenza dell'imputato cittadino straniero rispetto allo svolgimento di atti processuali (quali un confronto o una ricognizione personale) irrealizzabili in sua assenza e che pertanto si pongono come ostative rispetto all'emissione dell'ordinanza di espulsione. 3. - Violazione degli artt. 25 e 77 della Costituzione. Il principio di riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.) possiede, quale primo e fondamentale significato, quello secondo cui le scelte di politica criminale sono monopolio esclusivo del Parlamento mentre l'ammissibilita' di nuove norme di diritto penale introdotte attraverso decreti legislativi o decreti-legge e' connessa alla circostanza che sia comunque assicurato l'intervento del Parlamento in posizione sovraordinata, ora quale organo delegante ora quale organo cui e' rimesso il potere di conferire stabilita' e durevolezza, attraverso la legge di conversione, a disposioni normative precarie, soggette a decadenza in caso di inutile decorso del termine di sessanta giorni dettato dall'art. 77 Cost. ed emanate dal Governo in casi straordinari di necessita' ed urgenza tali da non consentire la normale legiferazione in via ordinaria del Parlamento. Deve inoltre osservarsi come recentemente la Corte costituzionale (sentenza n. 29/95) abbia rivendicato a se' il potere di valutare l'esistenza dei presupposti di necessita' ed urgenza richiesta dall'art. 77 Cost. per l'emanazione di decreti-legge da parte dell'esecutivo, affermando che " ... la pre-esistenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validita' costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimita' costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle possibilita' applicative costituzionalemtne previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione ... ". Rispetto ora al d.-l. 18 gennaio 1995 n. 489 puo' osservarsi come nel preambolo venga "ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di adeguare in termini piu' razionali la normativa in tema di immigrazione nel territorio dello Stato da parte di cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione Europea al fine di renderne piu' efficace l'operativita'": non manifestamente infondata risulta pertanto la questione relativa alla effettiva sussistenza dei requisiti di straordinaria necessita' ed urgenza rispetto alla mera esigenza di razionalizzazione di normativa gia' da tempo esistente (in particolare d.-l. 30 dicembre 1989 n. 416 convertito nella legge 28 febbraio 1990 n. 39) in relazione ad un fenomeno sociale come quello dell'immigrazione extracomunitaria che, anche nei suoi aspetti per cosi' dire "patologici", appare ormai stabilmente presente nella fisionomia del nostro Stato ed in relazione al quale non appaiono essersi realizzati in tempi recenti modifiche od evoluzioni di portata talmente straordinaria da richiedere un intervento legislativo immediato nelle forme e con gli effetti di cui all'art. 77 Cost., soprattutto in relazione all'introduzione di quelle norme aventi immediata rilevanza penale - sono tra l'altro previste diverse nuove fattispecie delittuose - per le quali quindi, in eventuale assenza di effettive circostanze straordinarie, la decretazione d'urgenza appare incompatibile con l'elevatezza dei valori in gioco, anche in relazione al rischio di formulazioni prive di quei caratteri di chiarezza ed assoluta determinatezza sottesi al principio di riserva di legge in materia penale consacrato dall'art. 25 Cost. 4. - Violazione degli artt. 11 e 113 della Costituzione. Secondo cui la liberta' personale e' inviolabile e la legge determina i casi in cui la medesima puo' essere ristretta soltanto per atto motivato dall'autorita' giudiziaria e per cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Ed invero o si ritiene che il p.m. debba chiedere l'espulsione ed allora (nel provvedimento del giudice che la dispone la motivazione e' solo "formale", potendo egli valutare soltanto l'esistenza di presupposti "estrinseci": 1) arresto in flagranza o applicazione di misura; 2) assenza di inderogabili esigenze processuali) o si ritiene il p.m. possa chiedere l'espulsione, ed in tal caso, proprio l'assenza di parametri cui il p.m. deve ispirarsi comporta la violazione dei citati articoli della Costituzione avendo la Corte sempre richiesto che i provvedimenti compressivi della liberta' personali siano ancorati a parametri chiari ed esplicitamenti enunciati e che essi siamo collegati ad esigenze di salvaguardia delle sicurezza pubblica.