LA CORTE DI APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in grado di
 appello tra il comune di Pertosa, in persona del sindaco  pro-tempore
 sig. U. Tomasiello, (avv. Nicola Belsito, via Nizza n. 134, Salerno),
 appellante,  e  De  Martino Valentina in proprio e quale procuratrice
 generale dei figli: De  Marco  Rosa,  De  Marco  Giuseppe,  De  Marco
 Donato, (avv. Pietro Errico presso avv. G. Corona, corso Garibaldi n.
 47,  Salerno)  appellati ed app. inciden., riservata per la decisione
 all'udienza collegiale del 1 febbraio 1996.
   Premesso che con atto di citazione 2 febbraio  1987  la  sig.ra  De
 Martino Valentina, in proprio e nella qualita' specificata, conveniva
 innanzi al tribunale di Sala Consilina il comune di Pertosa (Salerno)
 in  persona  del sindaco pro-tempore esponendo che un terreno di loro
 proprieta' era stato occupato di urgenza, il 16  maggio  1980  previa
 dichiarazione  di pubblica utilita' ed indifferibilita', in virtu' di
 decreto del sindaco  di  Pertosa  per  la  esecuzione  di  lavori  di
 sistemazione  ed  ampliamento  della  piazza De Marco del comune; che
 decorsi i tre anni fissati per la occupazione legittima e quasi altri
 quattro  anni  ulteriori  non  era  stato  emesso   il   decreto   di
 espropriazione;  chiedeva pertanto, che il comune fosse condannato al
 risarcimento del danno  derivato  dalla  illegittima  occupazione  di
 suolo edificabile oltre rivalutazione, interessi e spese.
   Il  comune  convenuto  resisteva  alla  domanda  ed eccepiva che si
 trattava  di  suolo  agricolo  tale  essendo  la  sua   utilizzazione
 anteriore.
   Con  sentenza 20 aprile - 22 agosto 1994 il tribunale accoglieva la
 domanda  e  ritenuta   illegittima   la   occupazione   ma   avvenuta
 l'appropriazione  acquisitiva del suolo per effetto della costruzione
 dell'opera pubblica, condannava il comune al risarcimento  dei  danni
 pari  al valore venale del suolo in L. 133.140.000 rivalutati al 1994
 in L. 262.325.742 oltre gli interessi legali, al valore di un piccolo
 relitto in L.  14.564.457, oltre gli interessi, e all'indennizzo  per
 il  triennio  di occupazione in L. 19.971.000 oltre interessi e spese
 del giudizio.
   Proponeva appello il comune di Pertosa contestando il metodo ed  il
 risultato  della  determinazione  del valore del suolo chiedendone la
 riduzione in riforma della sentenza impugnata.
   Resisteva al gravame l'appellata e  proponeva  appello  incidentale
 chiedendo una maggiore valutazione del suolo, alla stregua di atti di
 provenienza  comunale,  oltre  il  risarcimento dei danni arrecati al
 fabbricato limitrofo, il riconoscimento della diminuzione  di  valore
 subito  dal  fabbricato e dal fondo residuo e la risarcibilita' della
 vegetazione di soprassuolo.
   Su   conforme   precisazione  delle  conclusioni  la  causa  veniva
 introitata per la decisione.
   Frattanto era intervenuta ed entrata in vigore al 1 gennaio 1996 la
 legge 28  dicembre  1995,  n.  549,  che  con  l'art.  1,  comma  65,
 modificava  il  regime risarcitorio delle occupazioni illegittime che
 veniva sottoposto anch'esso alla applicazione dell'art.  5-bis  legge
 n. 359/1992.
   tanto premesso in fatto la corte osserva in
                                DIRITTO
   Non  e'  dubbio che la normativa introdotta dalla legge 28 dicembre
 1995, n. 549, con l'art. 1, comma 65,  che  ha  sostituito  il  sesto
 comma  dell'art.  5-bis  del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito
 con legge 8 agosto 1992,  n.  359,  ha  esteso  l'applicazione  delle
 disposizioni dell'intero art. 5-bis citato "a tutti i casi in cui non
 sono  stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita'
 dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno alla data  di  entrata
 in  vigore  della  legge  (13 gennaio 1996) il che significa anche ai
 giudizi in corso e quindi a quello in esame.
   Trattandosi di ius superveniens di natura sostanziale  esso  e'  di
 immediata applicazione, ma la Corte ritiene che la norma indicata non
 possa  essere  utilizzata  in  questo  processo - (ed in nessun altro
 analogo)  -  perche'  in  contrasto  coi  principi  costituzionali  e
 precisamente con gli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma,
 e  97,  primo  e  secondo  comma,  113,  primo e secondo comma, della
 Costituzione della Repubblica italiana.
   La  Corte,  pertanto,   solleva,   d'ufficio,   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma 65, della legge 28
 dicembre 1995, n. 549, con il quale  e'  stato  sostituito  il  sesto
 comma  dell'art.    5-bis  della  legge  8  agosto  1992,  n. 359, di
 conversione del d.-l.  n. 333/1992 nella parte in cui ha esteso anche
 alle ipotesi di "risarcimento del danno" derivato da  fatto  illecito
 della  pubblica  amministrazione  -  gia'  regolato,  come ogni altra
 simile   fattispecie,   dall'art.   2043   c.c.   quale   conseguenza
 dell'illecita  occupazione  ed  appropriazione del suolo privato - il
 medesimo sistema previsto dall'intero  art.    5-bis  citato  per  la
 determinazione  della  indennita' delle espropriazioni legittimamente
 compiute, parificando due situazioni diverse ed incompatibili, con il
 sovvertimento di canoni fondamentali del diritto civile. La questione
 di legittimita' costituzionale viene sollevata altresi' per la  parte
 di tale norma (sesto comma, art. 5-bis, d.-l. 11 luglio 1992, n. 333,
 come  convertito  dalla  legge 8 agosto 1992, n. 359, come sostituito
 dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995,  n.  549)  nella
 parte  in  cui  ha  disposto  l'applicazione  di  tale norma anche ai
 giudizi in corso ed in tutti i casi in  cui  detto  risarcimento  del
 danno non sia stato determinato in via definitiva.
   A)  Sotto  il primo profilo innanzi delineato, la Corte osserva che
 con la norma denunciata viene  esteso  ad  un  fatto  ricompreso  per
 pacifica,  antica, costante, giurisprudenza civile e costituzionale e
 dottrina consolidata, nella  previsione  dell'art.  2043  del  codice
 civile, un metodo indennitario del tutto diverso dal risarcimento del
 danno  previsto in detto articolo, in via generale, quale conseguenza
 del fatto illecito da chiunque  commesso  e  dall'art.  2056  per  la
 determinazione  del  danno secondo le disposizioni degli artt. 1223 e
 1226 c.c. Cosi' operando si attribuisce alla pubblica amministrazione
 una  condizione  di  inammissibile  privilegio,  diversa da qualsiasi
 altro ente giuridico o persona autori di fatti illeciti analoghi, con
 patente diversita' di trattamento in situazione identica o analoga ed
 in palese violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione.
   Tale disparita' di trattamento  si  produce  nei  confronti  di  un
 soggetto  - pubblica amministrazione - che avendo agito al di fuori e
 contro qualsiasi prescrizione normativa, che pur aveva  l'obbligo  di
 osservare,  anzi con l'ingiustificabile lesione dell'ordine giuridico
 e dei diritti  dei  cittadini,  si  pone  nell'esecuzione  del  fatto
 illecito volontariamente alla pari di qualsiasi altro soggetto autore
 di  fatto  illecito,  ricevendone,  a  differenza  di  ogni altro, un
 trattamento differenziato  e  privilegiato,  quasi  premio  alla  sua
 qualita'  pubblica che dovrebbe dar pubblico esempio di correttezza e
 di legittimo esercizio del potere.
   La creazione di tal iniquo privilegio  e'  tanto  piu'  lesivo  del
 principio   costituzionale   di  eguaglianza  allorche'  esso  verra'
 applicato anche a soggetti privati beneficiari di leggi espropriative
 (privati imprenditori contemplati nel t.u.  6  marzo  1978,  n.  218,
 leggi   industrializzazione   del   Mezzogiorno,  singoli  privati  o
 Cooperative di edilizia convenzionata o agevolata) che, appropriatisi
 di  un  immobile,  non  proseguano  il   procedimento   espropriativo
 ponendosi nella condizione di occupatori illegittimi.
   B) Il sistema introdotto con la norma denunciata contrasta altresi'
 con  l'art. 3, primo comma, Costituzione anche sotto il profilo della
 diversita' di  trattamento  in  situazione  identica  o  analoga  con
 cittadini  che,  privati  del  suolo  di  proprieta'  per  effetto di
 provvedimenti previsti da norme dettate  per  finalita'  di  edilizia
 residenziale  pubblica  agevolata  o  convenzionata, hanno diritto al
 pieno risarcimento dei danni causato da  provvedimento  espropriativo
 dichiarato  illegittimo  con sentenza passata in giudicato oltre alla
 rivalutazione ed interessi come sancito dall'art. 3  della  legge  27
 ottobre  1988,  n.  458. Tale norma e' stata estesa a tutti i casi di
 occupazione illegittima con sentenze della  Corte  costituzionale  31
 luglio  1990,  n.  384,  e 27 dicembre 1991, n. 486, mentre la stessa
 Corte  ha  sancito  la  diversita'  della  situazione  derivante   da
 procedimenti  espropriativi  regolari  da  quella  della  occupazione
 illegittima, confermando che dalla prima  sorge  il  diritto  ad  una
 indennita'  diversa  dal  valore del bene e dalla seconda, invece, il
 diritto al risarcimento del  danno  rappresentato  dal  pieno  valore
 venale,  ritenendo  la  legittimita' costituzionale di tal diversita'
 che, viceversa, viene  oggi  parificata  con  palese  violazione  dei
 principi  affermati  dalla  stessa Corte (sent. 442 del 2-16 dicembre
 1993, n. 3.4. della motivazione e sent. n. 188 del 23  maggio  1995).
 Questa  ha dichiarato "assolutamente divaricate e non compatibili" le
 due fattispecie onde nella prima (legittima) vengono  in  rilievo  le
 opzioni  (discrezionali)  del  legislatore  in  ordine al criterio di
 calcolo della indennita'; la seconda  si  colloca  al  di  fuori  dei
 canoni di legalita' ... per cui chi ha subito un danno per effetto di
 attivita'  illecita  ha  diritto  a pieno ristoro e' giustificato che
 "l'Ente che non ha operato legittimamente" subisca  conseguenze  piu'
 gravose.   Viene   cosi'   in   questione   anche   il  principio  di
 ragionevolezza allorche' si parifichino situazioni  inconciliabili  e
 contrastanti,   rette   da   presupposti   diversi,  l'uno  derivante
 dall'osservanza  della  legge  e  dei  procedimenti da essa fissati e
 l'altra dall'arbitrio e dall'illegalita'.
   C) La norma denunciata, altresi', e' in contrasto  con  l'art.  97,
 primo  e secondo comma, della Costituzione in relazione all'art. 834,
 primo e secondo comma, del c.c.  In  riferimento  al  primo  precetto
 costituzionale    indicato,    che   prescrive   l'osservanza   delle
 disposizioni di legge da parte dei pubblici uffici in modo che  siano
 assicurati  il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione,
 il precetto stesso viene palesemente violato  allorche',  parificando
 gli effetti del comportamento osservante della legge e rispettoso dei
 procedimenti,  prescritti  a  tutela  dei diritti dei cittadini, agli
 effetti derivanti dal fatto illecito, priva di qualsiasi sanzione  la
 violazione  del  principio  del  corretto  funzionamento  de pubblici
 uffici e vulnera profondamente anche la presunzione  di  legittimita'
 degli  atti  compiuti dalla pubblica amministrazione, elidendo anche,
 perche' privo di negative conseguenze economiche, la  responsabilita'
 propria  del  funzionario  preposto  alla espropriazione che ne abbia
 consentito, per colpa o per dolo, il  trapasso  nella  illegittimita'
 per omesso compimento degli atti procedimentali dovuti.
   D)  Deve  ravvisarsi,  inoltre contrasto della norma sospetta anche
 con l'art. 24, primo e secondo comma, e art.  113,  primo  e  secondo
 comma,  della Costituzione per la violazione del diritto fondamentale
 del  cittadino  al  corretto  procedimento  amministrativo,  per   la
 sostanziale   soppressione   delle  garanzie  poste  dall'ordinamento
 giuridico a tutela del cittadino per la sua difesa  contro  gli  atti
 illegittimi  della  p.a.,  per  la  soppressione  del principio della
 pubblica utilita' ai fini della occupazione della proprieta'  privata
 e  la sostanziale inutilita' di ogni termine previsto dalla legge per
 la efficacia della dichiarazione di pubblica utilita' e per la durata
 della occupazione di  urgenza,  il  compimento  dei  lavori  e  delle
 espropriazioni. La norma costituisce, cosi', un immorale incentivo ad
 una   prassi  che  si  era  insinuata,  specie  negli  enti  pubblici
 territoriali, ove, pur in mancanza di fondi idonei, si procedeva alla
 occupazione di suoli privati per la costruzione di opere pubbliche  a
 fini  elettorali o clientelari - (sovente rimaste incompiute) - senza
 che venisse compiuto, dopo il  decreto  di  occupazione  di  urgenza,
 alcun  altro atto del procedimento espropriativo. Di tali occupazioni
 illegittime, per anni, si e' dovuto occupare il  tribunale  e  questa
 Corte,  e  solo  la  personale  responsabilita' degli amministratori,
 denunciati alla procura generale della Corte dei conti e le  condanne
 dei  responsabili  al  rimborso  della differenza fra l'indennita' di
 esproprio e il maggior danno da risarcimento, aveva  avuto  l'effetto
 di elidere quasi del tutto tale scandaloso comportamento.
   Ora,   in  virtu'  della  nuova  norma  introdotta  con  l'art.  1,
 sessantacinquesimo comma, della legge n. 549/1995  e'  da  attendersi
 che  riprendera'  vigore  la  perversa  prassi, una volta parificata,
 negli effetti, la procedura  legittima  con  quella  illecita,  tanto
 nessun  danno economico per differenza fra i due comportamenti potra'
 essere imputata al responsabile ne' sanzione alcuna irrogata.
   E) L'art. 1, sessantacinquesimo  comma,  della  legge  n.  459/1995
 estendendo  l'intero  contenuto  dell'art.  5-bis  d.-l.  n. 333/1992
 convertito con legge n. 359/1992 anche ai  giudizi  per  risarcimento
 del   danno   da   illegittima  occupazione  appropriativa,  ha  reso
 applicabile a tale fattispecie il comma 2, del citato art. 5-bis  che
 prevede  la possibilita' di convenire la cessione volontaria del bene
 con i vantaggi che da tale cessione discendono, sia in caso di  suolo
 edificatorio  -  (pur  in  ipotesi  di  espropriazione  legittima)  -
 escludendo la riduzione del 40% previsto nel comma primo, sia in caso
 di suolo agricolo (aumento del 50% e fino al triplo della  indennita'
 c.d.  "provvisoria").  Ma  la legge n. 865/1971 come modificata dalla
 legge n. 10/1977, che ha introdotto la "cessione volontaria" in luogo
 degli "amichevoli accordi della legge 1865,  n.  2359",  prevede  una
 serie  di formali adempimenti procedimentali di "offerta" con termini
 e  notifiche  all'espropriando  (art.  11,  12  e  17)  che   rendono
 praticabile  e talora vantaggiosa la cessione. Nulla di tutto cio' e'
 estensibile alla espropriazione di suoli  edificabili  e  tanto  meno
 all'occupazione  illecita  della  p.a.  Inoltre  mentre  per  i suoli
 agricoli esiste un parametro iniziale cui confermare l'offerta  della
 indennita'   "provvisoria",  cioe'  il  "valore  agricolo  medio  nel
 precedente anno solare, determinato dalla commissione di cui all'art.
 16, dei terreni considerati liberi ... secondo i criteri  di  cultura
 effettivamente  praticati",  tradotto  in tabelle regionali suddivise
 per zone agrarie e per tipi di culture,  onde  l'offerte  ha  un  suo
 serio   e   documentale  sostegno  agevolmente  verificabile  con  la
 consultazione delle tabelle predette pubblicate entro il  31  gennaio
 di ogni anno, per i suoli edificatori, viceversa, il valore venale di
 partenza   finirebbe   per   essere  una  arbitraria  ed  interessata
 valutazione dell'occupante o espropriante, incontrollabile nella  sua
 congruita'  da  parte  del proprietario. Donde una offerta irrisoria,
 incongrua o erronea - (come nel  caso  di  indennizzo  parametrato  a
 suolo   agricolo   mentre   esso   e'   edificabile)   -  produrrebbe
 immancabilmente il  ragionevole  rifiuto  e,  quindi  il  diniego  di
 cessione   volontaria   facendo  cosi'  scattare  (ingiustamente)  la
 riduzione della indennita' o risarcimento del 40%  per  l'incolpevole
 proprietario.  Dal  che consegue la illegittimita' costituzionale sia
 dell'art. 1, sessantacinquesimo comma, legge  28  dicembre  1995,  n.
 549, sia del secondo comma, dell'art. 5-bis d.-l.  11 luglio 1992, n.
 333,  come  convertito  dalla  legge  8  agosto  1992,  n.  359,  per
 violazione dell'art. 3, primo comma  e  art.  113,  primo  e  secondo
 comma, della Costituzione per disparita' di trattamento e lesione del
 diritto  di difesa fra proprietari di suoli agricoli e proprietari di
 suoli edificabili laddove in dette norme non e' prevista, in caso  di
 suoli  edificatori  sottoposti  ad  espropriazione  o  ad occupazione
 illegittima l'offerta da parte dell'ente espropriante  e/o  occupante
 di  una  indennita' ovvero di un risarcimento del danno per pervenire
 alla cessione volontaria, ne' e' previsto il  modo  di  determinarlo,
 ne'  e'  prevista  l'esezione della riduzione del 40% di cui al primo
 comma dell'art. 5-bis citato allorche'  sia  offerta  una  indennita'
 ovvero  un  risarcimento  del  danno incongrui o comunque inferiori a
 quella  definitivamente   determinata   in   sede   giudiziaria   che
 giustifichi la mancata cessione volontaria.
   F)  In ordine al secondo profilo di cui all'iniziale esposizione si
 ravvisa disparita' di trattamento fra cittadini anch'essi oggetto  di
 occupazioni   illegittime   di   suoli  di  loro  proprieta'  le  cui
 controversie si siano rapidamente definite con la condanna della p.a.
 al risarcimento del danno pari al valore della proprieta' ablata e  a
 tutte  le altre conseguenze pregiudizievoli derivate dall'illecito, e
 cittadini la cui vertenza, invece, sia tuttora in corso  di  giudizio
 di primo o di secondo grado.
   Invero con la disposta applicazione della norma denunciata anche ai
 giudizi in corso ed a tutti i casi in cui la determinazione del danno
 non  sia  divenuta definitiva, si addossa al cittadino la conseguenza
 di  un  disservizio  del  ramo  giustizia  la   cui   responsabilita'
 appartiene  interamente  a chi all'efficienza e celerita' di tal ramo
 di servizi avrebbe dovuto provvedere e che, viceversa,  ha  mantenuto
 in  stato  di  inefficienza  e  di quasi paralisi, con una durata dei
 processi di insopportabile  ampiezza  temporale,  specie  nelle  sedi
 giudiziarie di grosse proporzioni.
   Donde  chi  abbia  avuto la ventura di risiedere nell'ambito di una
 sede  giudiziaria  minore  ove  si  amministri  giustizia  in   tempi
 relativamente  brevi,  pur  avendo iniziato il giudizio coevamente ad
 altro utente che rientri nella competenza di una sede  congestionata,
 avra'  ottenuto  come  risultato,  per la medesima causa iniziata nel
 medesimo tempo, il pieno risarcimento, mentre l'altro  utente  vedra'
 la   stessa   materia   trattata   e  definita  in  modo  diverso  ed
 economicamente pregiudizievole.
   Onde lo Stato si carica di  una  doppia  iniquita'  a  danno  della
 uguaglianza  dei cittadini, quella di non provvedere per un sollecita
 ed eguale giustizia in termini temporali e di ricavare  un  vantaggio
 economico  dalla  sua stessa inefficienza applicando si processi, non
 definitivi per sua inettitudine, ma iniziati  sulla  applicazione  di
 una  ben  precisa  anteriore  disposizione di legge, una norma nuova,
 successiva alla  proposizione  del  giudizio  che  danneggia  solo  i
 protagonisti  dei  processi  ancora  in corso e non quelli coevamente
 iniziati e sollecitamente definitivi.
   Mai  come  in  questi  casi  di  patente  iniquita'   dovrebbe   il
 legislatore  sentire  il  dovere morale e costituzionale di porre sul
 medesimo piano di parita', garantito dall'art. 3 della  Costituzione,
 tutti  i cittadini e stabilire che norme siffatte valgono solo per il
 futuro e cioe' per le espropriazioni e le occupazioni successive alla
 entrata in vigore della legge.
   Tutto  quanto  innanzi  premesso,  e  ritenuto  non  manifestamente
 infondate,   per   le   diffuse  ragioni  esposte,  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale  sollevate,  nonche'  rilevanti  ai  fini
 della   decisione   del   presente  giudizio,  in  cui,  sull'appello
 principale ed incidentale proposto  da  entrambe  le  parti  vertente
 principalmente    sulla   natura   del   suolo   occupato   e   sulla
 quantificazione  economica  del  danno  derivato  dalla   occupazione
 illegittimita   appropriativa,   si   dovranno   applicare  le  norme
 denunciate, con completo stravolgimento  del  sistema  di  indennizzo
 adottato nel precedente grado.