IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  esaminati gli atti della causa
 civile iscritta al n.  582/1986  e  vertente  tra  Serrao  Francesco,
 rappresentato  e difeso dall'avv.to Torquato Ciriaco (parte attrice),
 e il comune di Filadelfia (parte convenuta, contumace), riservata per
 la decisione nell'udienza collegiale del 1 febbraio 1966.
                           RILEVATO IN FATTO
   con citazione notificata l'8 luglio 1996 il sig.  serrao  francesco
 esponeva:
    che  gran  parte  del  terreno di sua proprieta' sito in localita'
 "Stagliata" di Filadelfia  era  stato  occupato  dal  comune  per  la
 realizzazione  di  edifici  economici e popolari da effettuare a cura
 dell'IACP;
    che di recente lo stesso comune aveva occupato  altro  terreno  di
 sua   proprieta'   per  la  realizzazione,  in  parte,  di  opere  di
 urbanizzazione;
    che complessivamente l'occupazione non  coperta  da  provvedimenti
 ablativi,  e  quindi  illegittima,  interessava  circa  mq.  4.000 di
 terreno.  Tanto premesso, conveniva in giudizio il  predetto  comune,
 chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 300.000.000, o
 di  altra maggiore o minore ritenuta giusta, a titolo di risarcimento
 dei danni subiti, oltre rivalutazione monetaria,  interessi  e  spese
 processuali.
   La  parte  convenuta,  nel  costituirsi,  oltre  a  sollevare delle
 questioni di rito, sosteneva di non avere occupato terreni del Serrao
 al di fuori o in eccedenza di quanto previsto "nei singoli decreti  e
 nei  relativi verbali di presa di possesso". Chiedeva percio', quanto
 al merito, il rigetto della domanda, anche perche'  l'Amministrazione
 comunale  non  poteva  essere  dichiarata "responsabile per eventuali
 atti illegittimi compiuti dall'IACP".
   In corso di causa veniva disposta ed espletata una  consulenza  per
 accertare gli aspetti tecnici della controversia.
   La  causa veniva riservata per la decisione nell'udienza collegiale
 del 1 febbraio 1996.
   Nella comparsa conclusionale la parte attrice faceva rilevare  che,
 nel  frattempo,  era entrate in vigore la legge n. 549/1995, la quale
 nell'art. 1, comma 65, aveva modificato l'art. 5-bis d.l. n. 333  del
 1992,  convertito dalla legge n. 359 dello stesso anno, estendendo al
 risarcimento dei danni le norme dettata in materia di  indennita'  di
 esproprio,  in  palese  violazione  di  varie  norme  costituzionali,
 identificate negli artt. 3, 42  e  97,  per  cui,  ove  il  tribunale
 ritenesse applicabile tale norma innovativa, gli atti dovevano essere
 rimessi   alla   Corte  costituzionale  per  l'esame  della  relativa
 questione.
                          RILEVATO IN DIRITTO
   La questione  di  costituzionalita'  sollevata  dal  difensore  del
 Serrao appare rilevante e non manifestamente infondata.
   Il  comma  6  dell'art.  5  bis  del  d.-l. 11 luglio 1992, n. 333,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nel
 suo testo originario si limitava ad  escludere  l'applicazione  delle
 disposizioni   contenute   nei   commi   precedenti   in  materia  di
 determinazione dell'indennita' di espropriazione ai procedimenti  per
 i   quali  la  relativa  indennita'  di  espropriazione  fosse  stata
 accettata dalle parti o fosse divenuta non impugnabile o fosse  stata
 definita  con  sentenza  passata in giudicato alla data di entrata in
 vigore della legge di conversione. Con recente disposizione contenuta
 nell'art.  1,  comma  65,  legge  28  dicembre  1995, n. 549, recante
 "misure di razionalizzazione  della  finanza  pubblica"  la  suddetta
 norma  e' stata cosi' sostituita: "Le disposizioni di cui al presente
 articolo si applicano in tutti i casi in cui non  sono  stati  ancora
 determinati  in  via  definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo
 e/o del risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore  della
 legge  di  conversione  del presente decreto". Viene estesa, in altri
 termini, la disciplina in tema di  criteri  di  determinazione  della
 "indennita'  di espropriazione per le aree edificabili", primo comma,
 di cessione volontaria del bene, secondo comma, di valutazione  della
 edificabilita'  delle  aree,  terzo e quinto comma e di indennita' di
 espropriazione per le aree agricole e  per  quelle  non  edificabili,
 quarto comma, alla liquidazione del "risarcimento del danno". Pur con
 minime    riserve,   questa   sembra   debba   essere   la   corretta
 interpretazione di tale  norma.  Se  cosi'  e',  appare  evidente  la
 portata  radicalmente  innovativa;  emergono, nello stesso tempo, con
 altrettanta evidenza vari  profili  di  incostituzionalita',  che  il
 difensore  della  parte attrice non ha mancato di delineare, sia pure
 subordinandone la rilevanza alla applicabilita' al caso concreto.
   La questione e', in effetti, senz'altro rilevante per la  decisione
 del  presente  giudizio, sia nella ipotesi in cui l'occupazione fosse
 stata eseguita senza alcun  provvedimento  ablativo,  come  affermato
 dall'attore,  sia  nella  ipotesi  in  cui  fosse  stata preceduta da
 decreto di occupazione temporane e d'urgenza, come  sembra  sostenere
 la  parte convenuta, perche' anche in questa seconda alternativa essa
 e' divenuta illegittima per mancata emanazione nei termini  di  legge
 del  provvedimento definitivo di esproprio (circostanza pacifica). Di
 conseguenza, in  applicazione  della  nuova  normativa,  si  dovrebbe
 procedere  a  una  diversa determinazione della entita' dei danni, la
 cui componente principale e'  costituita  dal  valore  del  bene,  da
 calcolare  necessariamente  con  i  criteri  matematici  previsti nel
 citato art. 5-bis e non piu' in base ai criteri di stima commerciale.
 Si avrebbe, insomma, una perfetta  equiparazione,  ai  fini  che  qui
 interessano,  fra  indennita'  di  espropriazione come prevista dalla
 legge  nel  relativo  procedimento  e  risarcimento  del  danno  come
 liquidabile  nell'ipotesi di occupazione acquisitiva, che presuppone,
 oltre  alla   non   possibilita'   della   restituzione,   anche   la
 illegittimita'/illiceita' originaria o sopravvenuta della occupazione
 e  quindi l'essere al di fuori del normale procedimento ablativo.  Si
 tratta, quindi, di due situazioni diverse: l'una aderente  a  precise
 disposizioni  di  legge  e  scandita  attraverso  una  serie  di atti
 amministrativi complessi, l'altra, invece, fondata essenzialmente  su
 una  mera  attivita'  della pubblica amministrazione, contrassegnata,
 per  di  piu',  dal  carattere   della   illiceita'   (giurisprudenza
 ampiamente prevalente sul punto).
   Ora,  l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, nel prevedere che
 la proprieta' privata puo'  essere  espropriata  nei  casi  preveduti
 dalla   legge   e  salvo  indennizzo,  si  riferisce  chiaramente  al
 procedimento  espropriativo   che   si   sviluppi   secondo   precise
 disposizioni   di  legge  e  non  certo  all'istituto  dottrinario  e
 giurisprudenziale della  occupazione  appropriativa,  sicche'  appare
 inconcepibile   e,  comunque,  contrastante  con  la  suddetta  norma
 costituzionale  estendere  le  disposizioni  dettate  in  materia  di
 determinazione  dell'indennizzo  ai  casi  di  in  cui  e'  dovuto il
 risarcimento dei danni, sconvolgendo e  inquinando,  cosi',  principi
 fondamentali  del nostro ordinamento giuridico. L'azione risarcitoria
 in esame trova, infatti, il suo fondamento nel generale principio del
 neminem laedere consacrato nell'art.  2043  cod.  civ.,  e  non  puo'
 ovviamente  supporsi  che la citata norma costituzionale abbia voluto
 riferirsi a tale articolo quale uno dei "casi preveduti dalla legge".
   La diversita' delle due situazioni rende, inoltre, irragionevole la
 unitarieta' di disciplina legale imposta dalla nuova norma in  esame.
 In  tanto risultano accettabili i limiti quantitativi dell'indennizzo
 in  quanto  essi  siano  stabiliti   nell'ambito   del   procedimento
 espropriativo  legale,  per  come  puo'  dedursi dalle varie pronunce
 della Corte costituzionale, quali, fra le altre, la  sentenza  n.  15
 del  1976  a proposito dei criteri stabiliti dalla legge n. 2892/1885
 sul risanamento dellla citta' di Napoli e la sentenza n. 283 del 1993
 relativa proprio ai criteri di indennizzo  previsti  dall'art.  5-bis
 nella  originaria  formulazione  e  quindi con esclusione dei casi di
 risarcimento del danno. E  pertanto,  dall'applicazione  della  norma
 innovativa   in   questione   nasce  una  disparita'  di  trattamento
 arbitraria, perche'  non  giustificata  da  valida  motivazione,  non
 potendosi    certo    considerare    sufficienti    gli    scopi   di
 "razionalizzazione" proclamati nella intestazione della legge,  nella
 sostanza identificabili nell'intento di risparmio nela spesa pubblica
 che  negli  ultimi  tempi  sembra  essere  divenuto  fonte,  a  volte
 indiscriminata, di ispirazione di alcuni  provvedimenti  legislativi.
 Ne   consegue   un   palese   contrasto  anche  con  l'art.  3  della
 costituzione, che in nome del principio di guaglianza  dei  cittadini
 davanti  alla  legge  vieta non ragionevoli parita' di disciplina per
 situazioni giuridiche diverse.
   Infine, come prospettato  dal  difensore,  la  norma  in  questione
 contrasta  anche  col  principio  di  buon  andamento  cui,  ai sensi
 dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, deve essere improntata
 l'attivita'  della  pubblica  amministrazione.  L'appiattimento   dei
 criteri  di  valutazione  dei danni cagionati con la propria condotta
 illegittima e/o ii'i'ecita costituisce una spinta verso la violazione
 delle leggi in materia di espropriazione. Equiparando,  infatti,  sul
 piano  economico  e  finanziario  le  conseguenze  del  comportamento
 secondo legge con quelle derivabili da una  attivita'  illecita  puo'
 venire   a   mancare   nel   pubblico   funzionario  l'incentivazione
 all'osservanza delle  forme  e  dei  termini  stabiliti  nel  normale
 procedimento  espropriativo,  favorendo  persino  l'omissione di ogni
 piu' elementare garanzia nell'apprensione dei beni del privato.