IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Provvedendo in camera di consiglio sulla richiesta di definizione con il rito abbreviato del procedimento penale a margine indicato formulata da Bello Massimiliano, nato a Campi il 21 agosto 1972, imputato del reato di cui all'art. 648 c.p., con recidiva reiterata ed infraquinquennale; PREMETTE IN FATTO In data 26 ottobre 1995 i C.C. del N.O.R.M. di Lecce procedevano all'arresto del predetto Bello Massimiliano, sorpreso in flagrante reato di ricettazione dell'autovettura Fiat Uno Turbo tgt. AA 219 TK, di accertata provenienza delittuosa. Previo interrogatorio nel termine di legge, veniva da questo g.i.p. convalidato l'eseguito arresto in flagranza e contestualmente applicata al Bello la misura della custodia cautelare in carcere. Concluse le indagini preliminari, il p.m. presso la locale pretura circondariale emetteva decreto di citazione a giudizio nei confronti del Bello e del coimputato Pezzuto Vincenzo. Nel termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione Bello Massimiliano formulava richiesta di giudizio abbreviato, cui il p.m. prestava il consenso e trasmetteva gli atti a questo g.i.p. All'odierna udienza camerale, presente l'imputato, ancora in stato di detenzione in forza del richiamato titolo custodiale, il giudicante, sentiti l'imputato medesimo, il p.m. ed il difensore, ritenuto il processo definibile allo stato degli atti, pronunciava ordinanza, dandone lettura. OSSERVA IN DIRITTO Come chiarito in punto di fatto, questo giudice ha applicato all'odierno imputato la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, tuttora in corso. Il medesimo giudice e' stato, quindi, investito della richiesta di rito abbreviato ed e', pertanto, oggi chiamato a decidere con sentenza della responsabilita' del medesimo imputato in ordine ai medesimi fatti i quali egli ha emesso, a suo tempo il titolo custodiale. La mancata inclusione di una siffatta ipotesi di incompatibilita' all'ufficio di giudice tra quelle individuate dall'art. 34 c.p.p. impone che sia sollevata ex officio la questione di legittimita' costituzionale della prefata norma per ritenuto contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Ed invero, tenuto conto dell'espansione che ha caratterizzato l'istituto in esame a seguito di plurimi interventi additivi della Corte costituzionale ed in particolare della recente sentenza 6-15 settembre 1995, n. 432, l'incompatibilita' a giudicare va ritenuta sussistente in tutti i casi in cui la valutazione conclusiva della responsabilita' dell'imputato sia o possa apparire condizionata dalla "forza della prevenzione", vale a dire da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso in altri momenti decisionali del medesimo processo. Non puo' dubitarsi che il giudice per le indagini preliminari, prima di applicare una misura coercitiva personale, abbia operato una ricognizione ed una valutazione di tutti gli elementi probatori acquisiti, li abbia ritenuti incompatibili con alternative ipotesi ricostruttive ed abbia, in definitiva, formulato, sia pure allo stato degli atti, un positivo giudizio di ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti dall'art. 273 c.p.p., tali da fargli apparire altamente probabile sia la sussistenza del fatto-reato che la responsabilita' dell'indagato. E tale valutazione e' oggi ancor piu' approfondita e penetrante, alla luce del mutato quadro normativo in subiecta materia (legge 8 agosto 1995, n. 332), che ha rafforzato il carattere di eccezionalita' delle misure limitative dello status libertatis della persona sottoposta alle indagini preliminari ed ha imposto - pena la nullita' del provvedimento, rilevabile d'ufficio - oltre che l'esposizione degli indizi sui quali la misura si fonda, anche "l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa" (art. 292, comma secondo, lett. c-bis c.p.p.), nonche' la valutazione degli elementi a favore dell'imputato, acquisiti dal p.m. ovvero presentati dalla difesa (art. 292, comma 2-ter, c.p.p.). Aggiungasi che il giudice per le indagini preliminari che ha accolto la richiesta di applicazione di una misura coercitiva personale ha anche escluso l'esistenza di alcuna delle condizioni legittimanti il proscioglimento dell'indagato previste dall'art. 273, cpv., c.p.p. e finanche la cedibilita' del beneficio della sospensione condizionale della pena (in taluni casi presuntivamente quantificandola) che verra' inflitta con la sentenza necessariamente ritenuta di condanna. E' di palmare evidenza che un siffatto, globale giudizio prognostico di colpevolezza non e' affatto formale, ma contenutistico, investendo il merito della res iudicanda. Il pericolo che la serenita' e l'imparzialita' del giudice che deve conclusivamente pronunziarsi sulla colpevolezza dell'imputato siano o possano apparire minate da un precedente apprezzamento di merito, gia' riconosciuto dalla Corte costituzionale nella surrichiamata sentenza per il giudice per le indagini preliminari che partecipi al giudizio dibattimentale, e' ancor piu' accentuato per il medesimo giudice che, successivamente all'adozione di una misura cautelare personale, sia investito dal medesimo imputato, con il consenso del p.m., della richiesta di definizione del processo mediante rito abbreviato. In aggiunta ai sopra esposti motivi che militano tutti, anche in questo caso, in favore dell'incompatibilita' per omogeneita' di situazioni - donde il ritenuto contrasto con l'art. 3 Cost., essendo comune la natura di "giudizio di merito" anche al rito abbreviato - va qui considerata l'ulteriore, pregnante ragione per la quale il giudizio abbreviato, caratterizzato dalla decidibilita' allo stato degli atti, non si arricchisce di alcun apporto dibattimentale, ma e' cristallizzato, sul piano probatorio, dalle acquisizioni proprie della fase delle indagini preliminari, le quali, in virtu' dell'opzione processuale operata dall'imputato, da indizi cautelari assurgono a dignita' di prova, in applicazione del principio della decisione allo stato degli atti stabilito dall'art. 440, comma primo, c.p.p., che ha per oggetto proprio i documenti relativi alle indagini svolte dal p.m. e dalla polizia giudiziaria i quali, legittimamente acquisiti al fascicolo del p.m., ben possono essere utilizzati a fini decisori (cfr. Cass., SS. UU., 1 ottobre 1991, Sini). In altri termini, il giudice dell'abbreviato sarebbe chiamato ad una superfetazione di attivita' valutativa compiuta sulla base dei medesimi dati fattuali, il cui positivo apprezzamento in termini di probabile colpevolezza inizialmente espresso potrebbe condizionarlo all'atto della decisione finale di merito. Ne' varrebbe obiettare che l'apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza viene reso allo stato degli atti e che le successive acquisizioni potrebbero delineare un diverso (e piu' favorevole per l'indagato) quadro probatorio, poiche' questo ben puo' rimanere immutato o perche' la misura cautelare e' stata richiesta in prossimita' della conclusione delle indagini preliminari o perche' le iniziali indagini - in quanto complete ovvero non suscettibili di completamento - non hanno poi avuto alcuna evoluzione. Priva di pregio si appalesa, infine, l'obiezione pure sollevata in dottrina, secondo cui l'abbreviato, come il patteggiamento, si fonda sull'accordo delle parti, sicche' deriva da una libera scelta dell'imputato l'essere giudicato dallo stesso giudice che abbia applicato nei suoi confronti una misura cautelare personale. E' agevole replicare, infatti, che con il ricorso al rito speciale l'imputato, in cambio di un trattamento sanzionatorio piu' favorevole, accetta di esercitare il proprio diritto alla difesa nelle forme piu' limitate previste per l'udienza preliminare, conferendo al giudice il potere di definire il procedimento allo stato degli atti, senza, quindi, l'osservanza delle prescrizioni imposte per il dibattimento: ma cio' non implica, ovviamente, una contestuale (ed inammissibile) rinuncia ad essere giudicato da un giudice imparziale e libero da qualsiasi condizionamento derivante da un'anticipazione di giudizio. Sotto tale profilo la norma impugnata, non garantendo il pieno rispetto del diritto di difesa dell'imputato nell'ambito del c.d. giusto processo, appare in contrasto con l'art. 24, comma secondo, Cost. La rilevanza della questione nel presente giudizio e' in re ipsa, poiche', in caso di accoglimento questo Giudice non potrebbe definire il processo, avendo l'obbligo di astenervisi ex art. 36, comma primo, lett. g), c.p.p.