ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 430 del  codice
 di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1995
 dal Tribunale di Alba nel procedimento  penale  a  carico  di  Sandri
 Carlo,  iscritta  al  n. 464 del registro ordinanze 1995 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  36,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nella camera  di  consiglio  del  6  marzo  1996  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri.
                            Ritenuto in fatto
   1.   -   Il   Tribunale   di  Alba  ha  ritenuto  rilevante  e  non
 manifestamente infondata, in riferimento agli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione,  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 430 del codice di procedura penale, "nella parte in cui  non  prevede
 che  le  dichiarazioni rese da testimoni avanti al pubblico ministero
 nella fase  dell'attivita'  integrativa  di  indagine  compiuta  dopo
 l'udienza  preliminare possano essere utilizzate per le contestazioni
 ai sensi dell'art. 500 del codice di procedura penale".
   2.  -  Premette  il  giudice  a  quo  che  nel  corso  dell'udienza
 dibattimentale  il  pubblico  ministero  si e' avvalso, ai fini delle
 contestazioni ex art. 500  del  codice  di  procedura  penale,  delle
 dichiarazioni  rese  da alcuni testi in fase di attivita' integrativa
 di  indagine,  ai sensi dell'art. 430 del codice di procedura penale;
 attivita' svolta nelle more tra il  rinvio  a  giudizio  e  l'udienza
 dibattimentale, e della quale e' stato dato avviso ai difensori delle
 parti,  ai  sensi  dell'art.  18 del regolamento per l'esecuzione del
 codice di procedura penale.
   La difesa dell'imputato ha eccepito  l'inutilizzabilita'  di  dette
 dichiarazioni  ai fini previsti dall'art. 500 del codice di procedura
 penale,  in   quanto   la   norma   impugnata   consente   l'utilizzo
 dell'attivita' di indagine solo ai fini delle richieste di ammissione
 delle prove in dibattimento.
   Diversamente  ragionando  si consentirebbe al pubblico ministero di
 avvalersi  di  prove  non   conosciute   dall'imputato   al   momento
 dell'udienza  preliminare,  con conseguente impossibilita' di tenerne
 conto ai fini  dell'accesso  ai  riti  alternativi,  con  particolare
 riferimento al giudizio abbreviato.
   3.  -  L'art.  500  del  codice  di  procedura  penale  - rileva il
 tribunale - cosi' come  modificato  dalla  legge  n.  356  del  1992,
 consente  alle parti di avvalersi, ai fini delle contestazioni, delle
 dichiarazioni rese dal teste  durante  le  indagini  preliminari,  le
 quali,  ai  sensi  del quarto e del quinto comma della norma, possono
 assumere anche efficacia probatoria. Tale  previsione  si  fonda  sul
 rilievo che e' preminente, nel giudizio, l'interesse all'accertamento
 della  verita'  "nel  rispetto  del diritto dello Stato all'effettivo
 esercizio dell'azione penale sancito dall'art. 24, primo comma, della
 Costituzione" e del diritto di difesa (quando le contestazioni  siano
 mosse dalle parti private) sancito dall'art. 24, secondo comma, della
 Costituzione.    Ai fini del perseguimento di tali interessi, il caso
 delle contestazioni mosse ad un teste sulla base di dichiarazioni  da
 questi  rese nel corso delle indagini preliminari, non e' differente,
 a  giudizio  del  Tribunale  rimettente,  dal  caso  in   cui   dette
 dichiarazioni  siano  state rese nel corso dell'attivita' integrativa
 di indagine.
   Escludere la possibilita' di utilizzare dette dichiarazioni ai fini
 delle contestazioni, significherebbe, quindi, privare il  giudice  di
 possibili  fondamentali  elementi  di  conoscenza  della  verita'  ed
 impedire piu' approfondite valutazioni in  ordine  all'attendibilita'
 del teste.
   In contrario avviso, inoltre, non puo' essere addotto che ammettere
 le  contestazioni  fondate  sull'attivita'  integrativa  di  indagine
 significherebbe  consentire   al   pubblico   ministero   un'indebita
 estensione  dei  suoi  poteri  d'indagine,  con violazione dei limiti
 temporali previsti per  tale  attivita';  ne'  che  in  tal  modo  il
 pubblico   ministero  potrebbe  sottrarsi  alla  discovery  svolgendo
 artatamente attivita' di indagine dopo l'udienza preliminare.
   Tali  argomenti  non  tengono  conto  che  e'  la  stessa  legge  a
 consentire  al  pubblico  ministero  di indagare anche dopo l'udienza
 preliminare, e che esso e' organo di giustizia tenuto a rispettare la
 legge e quindi a svolgere ogni attivita' istruttoria nei tempi e  nei
 modi  che  consentano  il  sostanziale  e  integrale  rispetto  delle
 garanzie di difesa.
   4. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
   Rileva,  detta  difesa,  che l'attivita' integrativa di indagine e'
 del tutto eccezionale, tanto che e' consentita al pubblico  ministero
 ove   non   debbano  compiersi  atti  per  i  quali  e'  prevista  la
 partecipazione dell'imputato o del suo difensore.
   Cio' in quanto detta  attivita'  interrompe  il  normale  nesso  di
 continuita' tra l'udienza preliminare e il dibattimento, ed introduce
 nel   processo   fatti  nuovi  che,  se  tempestivamente  conosciuti,
 avrebbero potuto orientare  diversamente  l'attivita'  di  difesa  ed
 indurre l'imputato a chiedere l'accesso ai riti alternativi.
   Pertanto,  ad  avviso dell'Avvocatura, detto eccezionale strumento,
 per risultare legittimo, deve essere contenuto entro limiti ristretti
 e non puo' equivalere, in tutto e per tutto,  all'  attivita'  svolta
 prima dell'udienza preliminare.
   Le   situazioni   raffrontate  sono  assai  dissimili,  sicche'  le
 dichiarazioni rese durante l'attivita' integrativa di  indagine  sono
 utilizzabili limitatamente ai fini della formulazione delle richieste
 del  pubblico ministero al giudice del dibattimento, non evincendosi,
 quindi, alcun contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
   In conclusione, l'Avvocatura ritiene che l'ultrattivita' del potere
 di indagine, eccezionalmente prevista a favore del pubblico ministero
 nell'interesse dello Stato alla  repressione  dei  reati,  sia  stata
 opportunamente   bilanciata   limitando  l'utilizzazione  degli  atti
 compiuti, in modo da assicurare il rispetto del contrapposto  diritto
 di  difesa  dell'imputato,  si'  da  ritenersi  pienamente rispettato
 l'art. 24 della Costituzione.
                         Considerato in diritto
   1. - Il Tribunale di Alba, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24
 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art.   430
 del  codice  di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che
 le dichiarazioni rese da testimoni avanti al pubblico ministero nella
 fase dell'attivita' integrativa di indagine compiuta  dopo  l'udienza
 preliminare  possano  essere utilizzate per le contestazioni ai sensi
 dell'art. 500 del codice di procedura penale".
   2. - In  sintesi,  il  giudice  remittente  ritiene  che  la  norma
 impugnata   -   in   quanto   non   prevede  l'utilizzabilita'  delle
 dichiarazioni rese  al  pubblico  ministero,  in  sede  di  attivita'
 integrativa  di indagine, ai fini delle contestazioni ex art. 500, ma
 solo ai fini delle richieste di prova al giudice del  dibattimento  -
 contrasti   con   l'art.   3   della  Costituzione  per  il  difforme
 trattamento,   in   ordine   all'utilizzabilita'   ai   fini    delle
 contestazioni,   dell'attivita'   d'indagine  compiuta  dal  pubblico
 ministero prima e dopo l'udienza preliminare, nonche' con  l'art.  24
 della  Costituzione  per  quanto  "impinge al diritto di difesa dello
 Stato" e al diritto di difesa delle parti private.
   3. - La questione non e' fondata.
   Le argomentazioni del giudice a  quo  hanno  origine  da  un'errata
 lettura  dell'art.  430  del codice di procedura penale, in combinato
 disposto con gli articoli  433,  terzo  comma,  e  500  dello  stesso
 codice.
   Va,  innanzitutto,  chiarito  che  l'art. 430, nel prevedere che l'
 attivita' integrativa di indagine sia finalizzata  alla  formulazione
 delle  richieste  di  prova  al  giudice  del dibattimento, impone al
 pubblico ministero di rendere  disponibile  la  documentazione  cosi'
 raccolta  ai  difensori delle parti, i quali possono anch'essi, sulla
 medesima base, formulare proprie richieste.
   Requisito  essenziale,  affinche' i verbali di tale attivita' siano
 poi  utilizzabili  ai  fini  delle  contestazioni  e',   secondo   la
 disposizione  letterale del primo comma dell'art. 500, che essi siano
 contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, e quindi che le altre
 parti siano state messe in  condizione  di  prenderne  visione  e  di
 estrarne  copia,  in  modo  da poter formulare anch'esse, al pari del
 pubblico ministero, contestazioni fondate sugli stessi atti.
   Una volta, quindi, che ai sensi dell'art. 433, terzo comma, in quel
 fascicolo sia stata introdotta la documentazione relativa  agli  atti
 integrativi  d'indagine,  nessuna  norma  autorizza  a distinguere il
 regime di utilizzabilita' di detti atti da  quello  previsto  in  via
 generale,  dal  cit.  art.  500,  per  tutti  gli  atti contenuti nel
 fascicolo del pubblico ministero.
   La soluzione, cosi' come prospettata dal  remittente,  e',  quindi,
 gia' positivamente prevista e disciplinata nelle disposizioni citate,
 la   cui   lettura   in   questo  senso  e',  del  resto,  confermata
 dall'orientamento della Corte di cassazione.