ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11, nono comma,
 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni  per  ampliare  le
 basi   imponibili,   per   razionalizzare,  facilitare  e  potenziare
 l'attivita'  di  accertamento;  disposizioni  per  la   rivalutazione
 obbligatoria  dei  beni immobili delle imprese, nonche' per riformare
 il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti  tributari
 pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di
 aministia  per  reati tributari; istituzione dei Centri di assistenza
 fiscale e del conto fiscale), promosso con  ordinanza  emessa  il  29
 marzo  1994 dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano sui
 ricorsi  riuniti  proposti  da  Rosalba  Squintani  ed  altra  contro
 l'Intendenza  di  finanza  di Milano, iscritta al n. 540 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto l'atto di costituzione di Rosalba Squintani ed altra, nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 21  febbraio  1996  il  Giudice
 relatore Massimo Vari;
   Ritenuto  che,  con  ordinanza emessa il 29 marzo 1994 (r.o. n. 540
 del 1995) - nel giudizio proposto da  Giovanna  e  Rosalba  Squintani
 avverso  il  silenzio rifiuto dell'Intendenza di finanza di Milano in
 ordine all'istanza di rimborso dell'imposta versata sulle plusvalenze
 realizzate  nel  1991,  in  occasione  della  cessione   di   un'area
 assoggettata  a  procedura  ablatoria  - la Commissione tributaria di
 primo grado di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e
 97  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.    11,  nono  comma,  della  legge 30 dicembre 1991, n. 413
 (Disposizioni per ampliare le basi  imponibili,  per  razionalizzare,
 facilitare e potenziare l'attivita' di accertamento; disposizioni per
 la  rivalutazione  obbligatoria  dei  beni  immobili  delle  imprese,
 nonche' per riformare il contenzioso e per la  definizione  agevolata
 dei   rapporti   tributari   pendenti;  delega  al  Presidente  della
 Repubblica per  la  concessione  di  amnistia  per  reati  tributari;
 istituzione dei Centri di assistenza fiscale e del conto fiscale);
     che  ad  avviso  del  rimettente  la  disposizione  denunciata  -
 nell'assoggettare  retroattivamente   ad   imposizione   fiscale   le
 plusvalenze conseguite in occasione di procedimenti ablatori solo ove
 il  trasferimento  non  abbia  scontato l'imposta sugli incrementi di
 valore degli immobili - si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53
 della Costituzione in quanto:
      a) opera  "una  inspiegabile  ed  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento  tra  due  situazioni  che  nel  medesimo  testo  vengono
 equiparate" ed attratte, in futuro, nello stesso regime impositivo;
      b) comporta "un trattamento esonerativo in dipendenza  di  fatti
 del  tutto  avulsi  dai criteri di imponibilita' diretta del reddito,
 con l'effetto di porre in essere una tassazione  ispirata  a  criteri
 del tutto incomprensibili e casuali";
      che,   inoltre,   secondo  il  giudice  a  quo  la  disposizione
 denunciata apparirebbe ledere, oltre che i principi di uguaglianza  e
 di   capacita'   contributiva   di  cui  agli  artt.  3  e  53  della
 Costituzione,  anche  il  principio  di   imparzialita'   dell'azione
 amministrativa di cui all'art.  97 della Costituzione, in quanto:
      a) incidendo su "contratti gia' conclusi", determina, attraverso
 un   nuovo  prelievo  fiscale,  una  ingiustificata  alterazione  del
 sinallagma in precedenza valutato e accettato dalle parti, devolvendo
 per di piu' ad una delle  parti  (ai  sensi  dello  stesso  art.  11,
 undicesimo   comma)  il  provento  dell'imposta  prelevata  a  carico
 dell'altra;
      b)  in  ragione  del  riferimento "all'atto o provvedimento" che
 costituisce la discriminante  cronologica  della  retroattivita',  fa
 dipendere  l'imposizione  dalla  maggiore o minore solerzia dell'ente
 espropriante nell'emanazione del decreto di esproprio;
     che si sono costituite le parti private, le quali  insistono  per
 l'accoglimento  della questione, ribadendo l'asserito contrasto della
 norma con il principio di imparzialita'  dell'azione  amministrativa,
 vulnerato,  in particolare, dalla destinazione del provento fiscale a
 beneficio dello stesso ente espropriante;
     che e' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  infondata,  rilevando
 l'erronea  interpretazione  dell'assunto  di  parte,  secondo  cui il
 provento fiscale retroattivamente  introdotto  andrebbe  a  beneficio
 dello  stesso  ente  espropriante,  dal  momento  che quest'ultimo si
 limita ad eseguire, per obbligo di  legge,  la  ritenuta  fiscale  in
 qualita' di sostituto, salva successiva redistribuzione del prelievo,
 secondo criteri da fissarsi in prosieguo, a favore degli enti locali,
 ma  senza  alcun  nesso  diretto  tra  l'espropriazione singola ed il
 soggetto espropriante;
     che  il  medesimo  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   a
 giustificazione  della  razionalita' della imposizione retroattiva di
 fattispecie non assoggettate ad INVIM,  evidenzia  il  fatto  che  le
 alienazioni  libere,  oltre  ad  essere  assoggettate  ad  INVIM, ben
 potevano, in passato, "dar luogo a plusvalenza tassabile  in  ipotesi
 di operazione speculativa, dimostrata o presunta";
   Considerato  che  l'ordinanza  di rimessione solleva questioni che,
 nei termini in cui vengono  riproposte,  hanno  formato,  nella  gran
 parte,  gia' oggetto di esame da parte della Corte, da cui sono state
 ritenute non fondate segnatamente sotto  il  profilo  della  asserita
 disparita'    di   trattamento,   in   quanto,   nel   quadro   della
 discrezionalita' spettante al legislatore per l'individuazione  degli
 indici  concretamente  rivelatori  di ricchezza, non e' irragionevole
 che la retroattivita' della disposizione censurata sia stata limitata
 alle  ipotesi  di  mancato  assoggettamento  all'altra  imposta   sul
 plusvalore  immobiliare  in  capo  al  dante  causa e cioe' all'INVIM
 (sentenze nn. 14 e 410 del 1995);
     che,  contrariamente  a  quanto  assume  la  parte  privata,  per
 sorreggere   la   ragionevolezza  della  scelta  legislativa  non  e'
 richiesta una perfetta equivalenza fra le due imposte ne'  dal  punto
 di  vista  della  disciplina  giuridica, ne' da quello dell'incidenza
 economica;
     che, del pari, per quanto  attiene  alla  pretesa  ingiustificata
 alterazione  del  sinallagma in precedenza valutato e accettato dalle
 parti,  la  Corte,  a  suo  tempo,  nel  rilevare  gli  elementi   di
 prevedibilita'  dell'imposta,  ha  gia'  evidenziato che si tratta di
 effetti connaturati alla successione delle leggi nel tempo  (sentenza
 n. 410 del 1995);
     che,  inoltre,  non risponde a realta' l'asserita devoluzione del
 provento fiscale a favore dell'ente espropriante,  in  quanto,  anche
 nel  caso  in  cui  questo  fosse lo Stato, cio' non consentirebbe di
 confondere  due  aspetti  nettamente  tra   loro   distinti:   quello
 dell'esercizio  del  potere  ablatorio,  in sede di espropriazione, e
 quello  dell'esercizio  della potesta' impositiva e della conseguente
 scelta  finanziaria  nella  ripartizione  delle  pubbliche   entrate,
 secondo politiche discrezionali non censurabili in questa sede;
     che,  infine,  quanto  al  profilo  relativo  al  momento preso a
 riferimento per la tassazione retroattiva, e cioe' quello dell'atto o
 provvedimento,  cui  si  collega  l'erogazione  dell'indennizzo,   il
 criterio  seguito dal legislatore si giustifica per il fatto che tale
 atto costituisce il presupposto giuridico per la realizzazione  della
 plusvalenza,  oggetto  di  imposizione  quale  palese  espressione di
 capacita' economica ed incisa secondo la regola che,  a  ben  vedere,
 disciplina anche l'imposizione a regime;
     che   l'ordinanza   in   epigrafe   non   introduce   profili   o
 argomentazioni nuovi rispetto a quelli gia' esaminati dalla Corte  o,
 comunque,  suscettibili  di  indurre  a  diverso  avviso,  sicche' le
 questioni vanno dichiarate manifestamente infondate;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi
 alla Corte costituzionale.