IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 1564/90 r.g. tra Mileto Giovanbattista rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Raschella' ed il comune di Cinquefrondi, contumace. 1. - Mileto Giovambattista ha convenuto in giudizio innanzi a questo tribunale il comune di Cinquefrondi per sentirlo condannare al risarcimento del danno per l'occupazione - disposta con decreto sindacale n. 2129 dell'8 marzo 1985 - di un suolo sul quale era stata realizzata un'opera pubblica (serbatoio per la rete idrica comunale), senza che fosse intervenuto regolare provvedimento di espropriazione. Il consulente tecnico nominato dal giudice istruttore ha determinato il valore venale del suolo - ritenuto di natura agricola - in L. 8.560.000. La causa e' stata rimessa al collegio per la decisione, ma prima della deliberazione della sentenza e' intervenuta la legge 28 dicembre 1995, n. 549 contenente misure di razionalizzazione della finanza pubblica il cui art. 1, comma 65 testualmente recita: "Il comma 6 dell'articolo 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e' sostituito dal seguente: 6. - Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o il risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". 2. - La norma richiamata prescrive di adottare anche per il risarcimento del danno derivante da occupazione illegittima i criteri dettati dall'art. 5-bis della legge n. 359/92 per la determinazione della indennita' di espropriazione e consistenti, quanto alle aree edificabili, nella media - che eccettuati i casi di cessione volontaria, va ridotta del 40% - del valore venale e del reddito dominicale rivalutato; e quanto alle aree agricole o comunque non edificabili, nel valore agricolo medio determinato secondo le disposizioni del titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni ed integrazioni. 3. - A giudizio del tribunale si profila una questione di legittimita' costituzionale della norma di cui al comma 65 dell'art. 1 legge n. 549/95 per contrasto con gli artt. 2, 3, 42 e 97 della Costituzione. La questione e' rilevante poiche' la controversia fra le parti deve essere decisa in base alla nuova normativa che trova applicazione nel giudizio in corso, dato che l'entita' del risarcimento non e' stata ancora determinata in via definitiva. 4. - Il primo profilo di incostituzionalita' che deve essere rilevato e' quello del contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Il legislatore del 1995 nel parificare il risarcimento del danno per l'occupazione illegittima alla indennita' di espropriazione, ha ricollegato effetti giuridici eguali a situazioni profondamente diverse. Nell'espropriazione per pubblica utilita' la acquisizione del bene da parte della pubblica amministrazione avviene nel rispetto delle forme procedimentali previste dalla legge anche a garanzia delle istanze dei soggetti espropriati. Altrettanto non accade nei casi in cui l'acquisto si verifica in conseguenza della occupazione illegittima del bene, seguita dalla realizzazione dell'opera pubblica che rende impossibile la restituzione del bene al privato. Ed invero se nella prima ipotesi l'affievolimento del diritto di proprieta' del privato, che si converte nel diritto alla giusta indennita', si verifica nell'ambito di un procedimento ablatorio disciplinato dalla legge, invece nei casi di c.d. occupazione acquisitiva (che si svolge tra i due poli della dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera e della realizzazione dell'opera medesima, tra i quali si inserisce un'attivita' manipolatrice del bene altrui: cosi' Cass. S.U. 10 giugno 1988, n. 3940) e, a maggior ragione, nei casi di materiale apprensione con mancanza del decreto di occupazione, si rinviene un comportamento illecito della pubblica amministrazione che abusivamente occupa un bene privato ed "illecitamente ... vi costruisce l'opera pubblica, in consapevole violazione delle norme che stabiliscono in quali casi e con quale procedimento la proprieta' di un immobile puo' essere autoritativamente sacrificata per esigenze di pubblico interesse" (Cass. S.U. 25 novembre 1992, n. 12546). Le conseguenze che derivano da tali situazioni giuridiche, cosi' profondamente differenti l'una dall'altra, non possono non essere, anche loro, diverse e non e' consentito verificarle e confonderle. L'indennita' di espropriazione rappresenta "il massimo di contributo di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica amministrazione puo' garantire all'interessato" (Corte cost. n. 61/1957), invece il risarcimento del danno ha la funzione di reintegrare la perdita subita dal proprietario in conseguenza di un fatto illecito e non puo' discostarsi dal valore effettivo del bene occupato. I suddetti principi si trovano chiaramente enunciati anche nella sentenza 16 dicembre 1993, n. 442 della Corte costituzionale ove si afferma che le fattispecie della espropriazione e dell'accessione invertita non sono comparabili, poiche' "nella prima c'e' un procedimento secundum legem ... e quindi vengono in rilievo le opzioni (discrezionali) del legislatore in ordine al criterio del calcolo della indennita' di espropriazione; la seconda ipotesi si colloca fuori dai canoni di legalita' e quindi puo' operare il diverso principio per cui chi ha subito un danno per effetto di un'attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro". La norma censurata che accomuna indennita' di espropriazione e risarcimento del danno in un'unica determinazione quantitativa, riserva trattamenti eguali a situazioni diverse con evidente violazione dei principi sanciti dall'art. 3 della Costituzione. 5. - La limitazione dell'obbligo risarcitorio disposta dalla norma del richiamato comma 65 dell'art. 1, legge n. 549/95 appare anche in contrasto con gli artt. 2 e 42 della Costituzione per la ingiustificata violazione del diritto di proprieta' che la forte riduzione del risarcimento comporta. Vero e' che il diritto all'integrale risarcimento del danno non e' assistito da garanzia costituzionale, ma eventuali limitazioni imposte dal legislatore devono trovare giustificazione in un "equilibrato componimento degli interessi in gioco" che per un verso tenga conto di situazioni del danneggiante meritevoli di tutela e per l'altro non privi "di garanzia di certezza o adeguatezza" il diritto di chi subisce il danno (cfr. Corte cost. 6 maggio 1985, n. 132). La norma denunciata stabilisce livelli di risarcimento cosi' bassi ed inadeguati (per le aree edificabili, il ristoro e' di poco superiore al 30% del valore reale, mentre il valore agricolo medio si discosta sensibilmente dal valore di mercato e in talune situazioni, caratterizzate dalle particolarita' del caso concreto diviene anch'esso irrisorio) da privare di contenuto il diritto al risarcimento del danno dovuto per l'illecita violazione del diritto di proprieta'. Sul versante opposto, la limitazione della responsabilita' della pubblica amministrazione non e' giustificata da alcuna esigenza degna di prevalere sugli interessi dei danneggiati. Non pare che nella materia in esame si possa far riferimento alle esigenze della finanza pubblica o alle necessita' di sanare i pesanti dissesti dei bilanci pubblici. L'ordinamento giuridico pone a disposizione delle pubbliche amministrazioni lo strumento del procedimento espropriativo che consente l'acquisizione dei beni privati mediante il pagamento di contenute indennita'. E la legislazione degli ultimi anni non ha mancato di semplificare e rendere piu' agevole l'espropriazione con provvedimenti di favore per le amministrazioni pubbliche, ad es. attribuendo all'approvazione dei progetti di opere pubbliche il valore di dichiarazione di pubblica utilita' ed indifferibilita' ed urgenza delle opere (legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1); prorogando in misura notevole i termini di occupazione legittima (art. 20 legge n. 865/1971; art. 5, legge n. 385/1980; art. 1 d.-l. n. 901/1984; art. 14 legge n. 534/1987; art. 22 legge n. 158/1991 e cosi' via. Ciononostante le pubbliche amministrazioni operano con grande frequenza al di fuori del procedimento legale con prassi abusiva che conducono, dopo l'occupazione, per vie brevi all'acquisizione del bene privato. Siffatte soluzioni piu' onerose costituiscono, nella maggior parte dei casi, lo sbocco di ritardi, inefficenze, colpevoli omissioni, e pertanto non appare ammissibile che i maggiori costi provocati del cattivo funzionamento delle pubbliche amministrazioni vengano fatti ricadere sui privati proprietari. 6. - Anche sotto altro aspetto e' possibile cogliere l'irrazionalita' di una limitazione dell'obbligo risarcitorio e del suo accostamento alla indennita' di espropriazione. La maggiore praticita' e convenienza della occupazione acquisitiva determinerebbe una abrogazione di fatto dell'istituto dell'espropriazione per pubblica utilita', conducendo l'azione amministrativa volta all'acquisizione di beni fuori della legalita', con evidente violazione dell'art. 97 della Costituzione. 7. - Un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale in relazione all'art. 3 della Costituzione, concerne la retroattivita' della norma denunciata, che si applica ai risarcimenti che non sono stati ancora determinati in via definitiva alla data di entrata in vigore (28 agosto 1992) della legge 8 agosto 1992, n. 359 di conversione del d.-l. n. 333/92. Per principio piu' volte ribadito dalla Corte costituzionale, l'irretroattivita' della legge non penale, anche se non e' elevata a rango di principio costituzionale, rappresenta pur sempre una regola essenziale del nostro ordinamento giuridico (Corte cost. n. 155/91) per cui e' necessario che il legislatore, derogando ad essa, non violi il principio di ragionevolezza e di parita' di trattamento col "trasmodare in un regolamento irrazionale", ovvero con "l'incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti" (Corte cost. n. 822/1988 e n. 283/1993). E' di tutta evidenza la disparita' di trattamento che viene a crearsi tra soggetti che per evenienze non dipendenti dalla loro volonta' non hanno potuto conseguire prima della data indicata dalla legge censurata una pronuncia definitiva sul risarcimento del danno e soggetti che tale pronunzia, per circostanze piu' fortunate, hanno, invece, ottenuto. Ne' puo' ritenersi sorretta da razionale giustificazione una disciplina retroattiva che per un verso, senza alcuna apprezzabile esigenza se non quella di arginare i dissesti delle pubbliche amministrazioni cagionati da colpevole inerzia, sanziona con blande misure l'illecita occupazione di beni privati e per altro verso vanifica le aspettative (sovente non potute fatte valere a causa delle mensionate leggi di proroga dell'occupazione) di un completo risarcimento del danno, da sempre assicurato dalle norme concernenti la responsabilita' civile da fatto illecito (art. 2043 e segg. c.c.) e di recente riconosciuto - nella materia che ci occupa - anche dall'art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458 che ha previsto in favore del proprietario del bene l'integrale risarcimento del danno "in una completa ed adeguata valutazione degli interessi in gioco", (Corte cost. 31 luglio 1990, n. 384).