L'assemblea regionale siciliana, nella seduta del 24 marzo 1996, ha
 approvato  il  disegno  di  legge  n.  1172-1174-1175-1215 dal titolo
 "Interventi urgenti per l'economia.  Norme  in  materia  di  impresa,
 agricoltura,  artigianato,  lavoro,  turismo e pesca. Disposizioni su
 altre materie, modifiche ed abrogazioni di norme", pervenuto a questo
 commissariato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 28 dello  statuto
 speciale, il 27 marzo 1996.
   Il   provvedimento   legislativo  in  argomento,  ultimo  approvato
 dall'Assemblea regionale a conclusione della undicesima  legislatura,
 si connota come una nuova legge contenitore in cui sono confluiti gli
 emendamenti  attinenti alle piu' svariate materie il cui contenuto in
 buona parte  corrisponde  a  disegni  di  legge  non  tempestivamente
 esitati dalle commissioni di merito.
   Cio'  e'  accaduto  perche',  nonostante  codesta  ecc.ma Corte con
 sentenza n. 94/1995  abbia  avvertito  che  rientra  nei  poteri  del
 presidente  dell'Assemblea regionale garantire "che non siano ammessi
 emendamenti ritenuti eterogenei rispetto al  progetto  di  legge  cui
 quelli  si  riferiscono",  questi non e' riuscito ad impedire che nel
 corso del convulso dibattito in aula fossero esaminate  ed  approvate
 decine  di  norme  che  non avevano alcuna attinenza con l'originario
 disegno di legge in discussione.
   L'inserimento repentino di disposizioni, come  accennato,  relative
 ai  piu'  svariati  settori  di  competenza  regionale,  senza  alcun
 preventivo approfondimento  da  parte  delle  competenti  commissioni
 permanenti  dell'A. R.S. rende ancor piu' gravoso e difficile l'esame
 delle iniziative legislative ai fini  dell'esercizio  del  potere  ex
 art.   28   dello  statuto  speciale,  specie  in  circostanze,  come
 l'attuale, in cui sono stati approvati ben  ventisette  provvedimenti
 legislativi sulla conformita' dei quali ai principi costituzionali lo
 scrivente  deve  esprimersi  entro  il termine di cinque giorni dalla
 ricezione.
   Questo ufficio puo' soltanto  auspicare  che  il  nuovo  parlamento
 nazionale  provveda  a realizzare il necessario, tante volte rinviato
 coordinamento delle  norme  statutarie  con  la  Costituzione  o  che
 codesta Corte (anche se in questo momento riesce difficile immaginare
 gli  strumenti  processuali) alla prima occasione possa riconsiderare
 le argomentazioni che nel 1957 (sentenza n. 38) portarono a  ritenere
 che,   cessate   le   funzioni   dell'Alta   Corte,   la  specialita'
 dell'autonomia giustificava la modalita' ed i termini per l'esercizio
 del controllo preventivo di costituzionalita' delle  leggi  approvate
 dall'A. R.S.
   In  considerazione  di  quanto  rappresentato,  il presente atto di
 gravame, come gli altri di pari data, si  limita  necessariamente  ad
 una  succinta  esposizione  dei  motivi su cui esso si fonda, facendo
 riserva degli opportuni approfondimenti con separate memorie, in  cui
 si  rendera'  edotta  codesta  ecc.ma  Corte  anche  degli  ulteriori
 elementi di fatto desumibili dai chiarimenti gia' richiesti, ai sensi
 dell'art. 3 d.P. R. n. 488/1969, agli organi regionali ed ancora  non
 pervenuti.
   Cio'  premesso, si rileva che le disposizioni contenute negli artt.
 30,  31,  33,  35  e  56,  tutte  volte  ad   assicurare   stabilita'
 occupazionale  e progressioni di carriera o miglioramenti economici a
 dipendenti pubblici o privati, si pongono in palese contrasto  con  i
 principi  di  cui  agli  artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, nonche'
 dell'art.  2 lett.  o) e  r) della legge n. 421/1992.
   L'Assemblea   regionale   siciliana,   a   conclusione   della   XI
 legislatura,   ha   approvato  diversi  disegni  di  legge  con  cui,
 direttamente o indirettamente, si e'  disposta  l'assunzione  e/o  la
 stabilizzazione  di  oltre  duemilacinquecento  unita'  di  personale
 presso l'amministrazione regionale o enti  dalla  stessa  vigilati  o
 finanziati.
   Come  gia'  rilevato nel contesto degli altri ricorsi notificati in
 data odierna, la regione siciliana non ha proceduto  alla  necessaria
 preventiva  verifica dei carichi di lavoro dei propri dipendenti ne',
 tantomeno, al conseguente  riordino  degli  uffici,  in  ottemperanza
 all'obbligo previsto dalla vigente normativa statale di riferimento.
   Appare,  invero,  evidente  che il legislatore siciliano, piuttosto
 che procedere all'attuazione dei principi  posti  dall'art.  2  della
 legge  n.  421/1992 ritenuti, per ormai consolidata giurisprudenza di
 codesta Corte, vincolanti anche per le regioni  a  statuto  speciale,
 intenda  proseguire  nell'attuazione  di  una  politica occupazionale
 volta ad alleviare  l'alto  tasso  di  disoccupazione  esclusivamente
 mediante    l'immissione    di    nuove    unita'   nelle   pubbliche
 amministrazioni.
   In particolare, gli artt. 30  e  31  dispongono  l'inserimento  nei
 ruoli  della  societa'  RESAIS,  istituita ai sensi dell'art. 2 della
 l.r. n. 54/1981, di un non quantificato numero di dipendenti ritenuti
 in esubero dalla I.M.E.A.  S.p.a.  (societa'  secondo  i  chiarimenti
 forniti  ex  art.  3  d.P.  R.  n.  488/1969, a totale partecipazione
 pubblica) e di tutto  il  personale  dipendente  da  non  individuate
 societa'  a  totale partecipazione degli enti economici regionali, in
 passato interessate da processi di ristrutturazione.
   Le suddette norme suscitano dubbi  di  costituzionalita'  sotto  il
 profilo  del  mancato rispetto del principio del buon andamento della
 p.a., in quanto si appalesa incongruo  ed  intempestivo  il  previsto
 inserimento  di ulteriori unita' di personale nel contingente gestito
 dalla RESAIC - societa' che dovrebbe anche essa essere  liquidata  in
 tempi  brevi, perche' costituita interamente con capitale dell'ESPI -
 con  conseguente  implementazione  dei  dipendenti,  di  cui  risulta
 oltremodo ardua la prossima collocazione nel mercato del lavoro.
   Le  disposizioni  in  argomento, infatti, non tengono in preminente
 considerazione, come dovrebbero, l'interesse pubblico alla corretta e
 razionale utilizzazione delle risorse umane ed omettono,  quindi,  di
 valutare  preventivamente  se  ed in quale misura ulteriori unita' di
 personale possano essere utilizzate presso gli uffici pubblici, anche
 se con rapporto di dipendenza dalla societa'.
   Nella societa' RESAIS, infatti, sono confluite le maestranze  delle
 imprese  collegate  agli  enti  economici regionali che, in relazione
 all'esecuzione  di  piani  di   risanamento   e   dei   processi   di
 razionalizzazione,  non  hanno  potuto trovare utile collocazione nei
 processi produttivi.
   Nel corso degli anni, la societa' in  questione  si  e'  trovata  a
 gestire   oltre  3.000  dipendenti  di  varia  professionalita',  che
 soltanto in virtu' dell'art. 1, sesto  comma  della  l.r.  n.  7/1986
 hanno  trovato  collocazione  effettiva presso enti eo organizzazioni
 locali   di   carattere   pubblico,   nonche'   presso   la    stessa
 amministrazione regionale, per lo svolgimento dei servizi socialmente
 utili  o  per la frequenza di corsi di qualificazione e quindi con un
 minimo di utilita' di ritorno per la  regione  che  ne  ha  sostenuto
 interamente   (circa   centottantacinque   miliardi  l'anno)  l'onere
 finanziario.
   Il legislatore regionale adottando le  norme  censurate  mostra  di
 dimenticare  che proprio per porre argine alla continua immissione di
 nuove unita' di personale, a  cui  risultava  sempre  piu'  difficile
 trovare  collocazione,  con  l'art.  2  della  l.r. n. 18/1990, aveva
 precluso  la  possibilita'  di  ulteriore  applicazione  del  cennato
 meccanismo che ora stranamente intende riattivare.
   E' quasi superfluo rilevare che le norme in questione costituiscono
 un  costoso  ammortizzatore sociale limitato ad una ristretta cerchia
 di destinatari, in palese contrasto  sia  con  la  generale  politica
 occupazionale  prevista  dalla  legislazione  nazionale  sia  con gli
 obiettivi -  da  perseguirsi  unitariamente  da  tutti  gli  apparati
 pubblici  -  di  efficienza e razionalizzazione dei mezzi economici e
 della professionalita' dei dipendenti (C.C. n. 478/1995).
   Ulteriore motivo di gravame e' la mancata espressa previsione degli
 oneri derivanti dall'iniziativa e della  conseguente  loro  copertura
 finanziaria,  in  palese violazione dell'art. 81, quarto comma, della
 Costituzione.
   Codesta ecc.ma Corte, con  costante  giurisprudenza,  ha,  infatti,
 chiarito che una nuova o maggiore spesa, come indubbiamente quella in
 questione,  per  la  quale  la  legge di autorizzazione non indichi i
 mezzi per farvi fronte, non puo' trovare la  sua  copertura  mediante
 l'iscrizione  negli  stati  di previsione della spesa (cap. 65117 del
 bilancio della regione), siano quelli gia' approvati o  in  corso  di
 attuazione,  siao  ancora  quelli  da  predisporre,  giacche' ad ogni
 stanziamento  di  spesa  per  nuovi  oneri   da   quantificare   deve
 corrispondere  specificatamente  l'indicazione positiva dei mezzi per
 garantirne la copertura.
   Anche la previsione dell'art. 33 si  rivela  consurabile  sotto  il
 profilo  della violazione dell'art. 97 della Costituzione, atteso che
 consente l'inserimento a domanda nei ruoli della regione di ulteriori
 unita' di personale provenienti dal Corpo statale delle  miniere,  in
 posizione di comando nel corrispondente Corpo regionale.
   Con  tale  previsione,  che  si  pone in contrasto con la normativa
 nazionale di riferimento, infatti, si dispone l'immediato inserimento
 a domanda di nuovo personale senza che prima l'amministrazione  abbia
 posto  in essere, per colmare le vacanze organiche di taluni settori,
 le ordinarie procedure di mobilita' interna.
   Siffatta inadempienza appare ancor piu' censurabile se si considera
 che sussistono  presso  l'amministrazione  regionale  ruoli  speciali
 transitori  in  cui  e' confluita, a seguito di precedenti leggi, una
 pletora di personale tecnico (ad es. legge r. n. 11/1990).
   Si soggiunge che l'inquadramento dei dipendenti statali  transitati
 alla  regione, operato in considerazione dell'anzianita' di servizio,
 anche fuori ruolo,  maturata,  pregiudicherebbe  le  aspettative  del
 personale   gia'   inserito   nei   ruoli   della  regione  influendo
 negativamente nella gestione dei relativi servizi.
   Di dubbia costituzionalita', per arbitrarieta' ed irragionevolezza,
 si manifesta, altresi', la norma dell'art. 33 laddove si  prevede  la
 stipula  di contratti di lavoro da parte dei consorzi ASI di Siracusa
 e Palermo, con onere a carico della regione per il corrente esercizio
 finanziario,  con  il  personale  impiegatizio dipendente da societa'
 private.
   La  disposizione  cennata   si   configura   come   una   esplicita
 ingiustificata  assunzione    ad  personam  di  determinati soggetti,
 atteso che si fa espressa indicazione addirittura della data  in  cui
 questi    ultimi   prestavano   servizio,   indipendentemente   dalla
 considerazione che gli stessi potrebbero avere nel frattempo  trovato
 occupazione  e  senza  soprattutto,  una  preventiva  verifica  delle
 esigenze effettive dell'ente  e  dei  compiti  da  affidare  a  detto
 personale non ritenendosi sufficienti le generiche indicazioni di cui
 al primo comma.
   L'art.  56,  primo  comma  costituisce,  infine,  palese violazione
 dell'art.   2,  lett.    o),  della  legge  n.  421/1992,  in  quanto
 conferisce   alle   guardie   forestali   una  automatica,  non  piu'
 ammissibile, progressoine in carriera e retributiva.
   Illegittimo, per violazione dell'art. 12 dello statuto, si appalesa
 il secondo comma dello stesso articolo con il quale si stabilisce che
 con decreto dell'assessore del ramo (anziche'  del  presidente  della
 regione) verranno disciplinate le modalita' di inquadramento.
   Parimenti,  il  secondo  comma  dell'art.  10  si  pone  in  palese
 contrasto con l'art. 12 dello statuto  speciale  atteso  che  demanda
 all'assessore  la  determinazione  della  disciplina  della modalita'
 applicativa della norma contenuta nello stesso articolo.
   Poiche'  detto   decreto   assessoriale   avrebbe   chiara   natura
 regolamentare,  esso,  alla stregua degli artt. 12 e 13 dello statuto
 speciale,  puo'  essere  emanato  esclusivamente  dal  Governo  della
 regione  (e  quindi con decreto del presidente) non essendo, infatti,
 ammissibile nel sistema delle  fonti  dell'ordinamento  regionale  un
 atto  normativo emanato dall'assessore (come peraltro riconosciuto da
 codesta ecc.ma Corte con sentenza  n.  32/1961  ed  evidenziato  piu'
 volte   dalla   Corte   dei   conti  e  dal  Consiglio  di  giustizia
 amministrativa).
   Suscitano censure di legittimita'  costituzionale  anche  le  norme
 contenute  nell'art. 27 per violazione del principio di imparzialita'
 e  di  buon  andamento  della  p.a.  nonche'   dell'art.   25   della
 Costituzione.
   La  norma  in  questione  intende integrare la precedente normativa
 (legge regionale n. 3/1986) individuando alcune altre fattispecie  di
 illecito  amministrativo  in  materia  di  artigianato e comminare le
 relative sanzioni innovando procedure ed organi competenti.
   L'intero impianto della norma di  che  trattasi  e',  a  parere  di
 questo  commissariato,  irragionevole,  lacunoso,  non  in  grado  di
 raggiungere la finalita'  che  si  prefigge  e  formulato  in  palese
 violazione  del  principio  di  legalita'  di cui all'art. 1 legge 24
 novembre 1981 n.  689 ed all'art. 25 della Costituzione.
   Oltre alla difficolta' di inquadrare esattamente le fattispecie  di
 illeciti,  previsti sia dal punto di vista dei soggetti sia dal punto
 di vista  dei  comportamenti  che  si  intendono  sanzionare,  e'  da
 rilevare  che  il  legislatore  regionale  fatte  salve  le  sanzioni
 previste dalle normative  vigenti  (di  carattere  fiscale,  igienico
 sanitario  ecc.), si discosta palesemente dai principi della legge n.
 689/1981 individuando un procedimento del tutto  anomalo,  sia  nella
 fase    dell'accertamento    delle   violazioni,   sia   nella   fase
 dell'applicazione delle previste sanzioni.
   Al comma secondo vengono individuate le commissioni provinciali per
 l'artigianato, gia' istituite con la l.r. n. 3/1986, quali organi cui
 compete  un  indefinito potere di proposta formulato "a maggioranza",
 (come  se  l'accertamento   degli   illeciti   potesse   non   essere
 un'operazione  assolutamente  neutra  e  non  soggetta  a valutazioni
 discrezionali di organi collegiali), e la successiva segnalazione  al
 sindaco del comune territorialmente competente.
   Danno  adito a censure di costituzionalita', sotto il profilo della
 violazione dell'art. 120 Cost. nonche' dell'art. 6, lett.   q)  della
 legge n. 833/1978, gli artt. 52 e 53.
   L'art.  52 integra la disposizione dell'art. 71 l.r. n. 25/1993 (di
 cui  si  chiede  a  codesta  ecc.ma   Corte   di   voler   dichiarare
 l'illegittimita'  ai  sensi  dell'art. 27 della legge n. 87/1953) con
 cui  e'  stato  istituito  un  registro  speciale   degli   esercenti
 l'attivita' di ottico, esplicitando che l'esercizio della professione
 in questione e' quello previsto dall'art. 140 r.d. n. 1265/1934 e dal
 r.d. n. 1334/1928.
   Orbene,  con  tale  previsione,  unitamente a quella del successivo
 art.  53  (relativa  all'istituzione  del  Registro  degli  esercenti
 l'attivita'  di  tecnico  audioprotesista),  il  legislatore esorbita
 dalla sfera delle proprie competenze intervenendo  nell'ambito  della
 disciplina  delle  professioni sanitarie ausiliarie che, per espressa
 disposizione dell'art. 6, lett.  q) della legge n.  933/1978,  e'  di
 esclusiva spettanza dello Stato.
   La  prescritta  subordinazione all'iscrizione nei suddetti registri
 speciali (addirittura effettuata d'ufficio per coloro che  alla  data
 di  entrata  in vigore della norma esercitano di fatto l'attivita' di
 tecnico audioprotesista, secondo il quarto comma  dell'art.  55)  per
 l'esercizio  di  professioni  non  soggette ad alcuna limitazione nel
 rimanente territorio nazionale costituisce  anche  palese  violazione
 del principio di cui all'art. 120 della Costituzione.
   Secondo  detta  norma  costituzionale  e',  infatti, posto espresso
 divieto alle regioni, comprese quelle a statuto speciale, di limitare
 il diritto  dei  cittadini  di  esercitare  in  qualunque  parte  del
 territorio  nazionale  la  loro  professione,  impiego  o  lavoro con
 conseguente esclusione, per esse, della  possibilita'  di  introdurre
 vincoli quali quello dell'iscrizione ai registri in questione, ignoti
 alla legislazione nazionale (C.c.  sent. n. 168/1987).
   Le  vigenti norme primarie e secondarie dello Stato disciplinano in
 modo esaustivo la materia attinente a dette libere  professioni,  che
 non possono essere assoggettate ad ulteriori norme regionali inutili,
 oltre che illegittime per difetto di competenza.