IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta a ruolo il 9 settembre 1986 e segnata ai numeri 5775/86 r.g.; n. 1710/86 r. sez. avente ad oggetto: risarcimento danni da occupazione illegittima di terreno, promossa da Banchini Romano e Martini Bruna, elettivamente domiciliati in Firenze, via Venezia, n. 8 presso e nello studio dell'avv. C. Piazza, che li rappresenta e difende come da mandato a margine dell'atto di citazione; Attori contro il comune di Lastra e Signa, in persona del sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in Firenze, via delle Mantellate, n. 9, presso e nello studio dell'avv. A. Ragazzini, che lo rappresenta e difende come da mandato in calce all'atto di citazione; convenuto. All'udienza collegiale del 17 gennaio 1996 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni: per gli attori: "voglia il tribunale ecc.mo, respinta ogni contraria o diversa domanda, eccezione o deduzione, a) condannare il comune di Lastra a Signa a risarcire agli attori il danno da questi patito per l'ablazione di fatto del terreno di loro proprieta' esteso mq. 1523,54, da liquidarsi nella somma di L. 52.000 al metro quadrato, e cosi' complessivamente in L. 79.224.080 o quanto sia di giustizia, somma da rivalutarsi in proporzione del diminuito valore del denaro dal giorno dell'ablazione - 15 luglio 1985 - fino al giorno della liquidazione definitiva, con gli interessi legali sulla somma rivalutata dal di' della domanda all'effettivo saldo; b) condannare il comune di Lastra a Signa a risarcire agli attori il danno da questi patito a causa dell'occupazione illegittima ed abusiva del terreno di cui e' causa, perdurata dal 19 febbraio 1982 fino all'ablazione di fatto, da liquidarsi nella somma di complessive L. 41.870.000 o quanto sia di giustizia, somma da rivalutarsi in proporzione del diminuito valore del denaro dal giorno dell'ablazione fino al giorno del pagamento, con gli interessi legali dal di' della domanda all'effettivo saldo; c) condannare il comune di Lastra a Signa a rifondere integralmente agli attori le spese (comprese le notule dei consulenti tecnici di ufficio e di parte), i diritti e gli onorari del presente giudizio, oltre C.A.P. e l.V.A. sui compensi imponibili"; per il convenuto: "Voglia codesto tribunale disporre la rinnovazione della CTU onde accertare se, ai sensi dei valori introdotti dall'art. 5-bis legge 18 agosto 1992, n. 359, il terreno de quo possa considerarsi edificabile. Voglia comunque il Tribunale stesso determinare il valore del terreno in L. 12.000 al mq, o in quella maggior o minor somma che riterra' di giustizia". Fatto e diritto Con atto di citazione ritualmente notificato in data 1 settembre 1986, i sigg.ri Banchini Romano e Martini Bruna citavano in giudizio il comune di Lastra a Signa, in persona del sindaco pro-tempore, per sentirlo condannare, previo accertamento della illegittimita' dell'occupazione di un terreno di loro proprieta' sito nel territorio comunale, e della conseguente ablazione di fatto del loro diritto di proprieta' sul medesimo terreno, al risarcimento dei danni subiti dagli attori a causa di tale comportamento illecito, oltre agli interessi, alla rivalutazione monetaria ed al rimborso delle spese del giudizio. Si costituiva in giudizio il comune di Lastra a Signa, chiedendo il rigetto della domanda degli attori; nel corso del giudizio veniva espletata consulenza tecnica di ufficio diretta ad accertare: 1) l'identita', la consistenza e l'originaria destinazione dell'area di cui e' causa; 2) l'epoca in cui la trasformazione operata dal comune sia divenuta irreversibile, ove lo sia stata; 3) il valore venale dell'area, previa considerazione se essa debba essere considerata esente da speciali vincoli urbanistici, e fabbricativa all'epoca della trasformazione irreversibile; 4) la rendita ricavabile dal valore dell'area nel periodo corrente fra l'occupazione e la successiva trasformazione irreversibile. Infine le parti concludevano come sopra e la causa veniva trattenuta in decisione all'udienza collegiale del 17 gennaio 1996. Dai documenti allegati al fascicolo di parte attrice risulta che il Consiglio comunale di Lastra a Signa approvo' con delibera n. 126 del 23 aprile 1980, un progetto di sistemazione a verde pubblico di una vasta area sita nel territorio comunale, comprendente anche quella in proprieta' degli attori, posta tra le vie F. Turati, A. Grandi e T. Campanella, estesa mq. 1523,54 ed identificata al N.C.T. in foglio di mappa 6 dalle particelle 394 e 475; con successiva delibera n. 89 del 17 aprile 1981, mai notificata ai privati interessati, dichiaro' tale progetto di pubblica utilita', nonche' urgente ed indifferibile, deliberando altresi' di procedere all'acquisto di tale area attraverso la procedura di espropriazione secondo il metodo previsto dal titolo II della legge n. 865/71, approvando il piano particellare di esproprio, con elenco delle ditte da espropriare, autorizzando l'accesso ai terreni da espropriare ai fini della redazione degli stati di consistenza, e demandando infine al Sindaco i provvedimenti relativi all'occupazione temporanea di urgenza dei terreni interessati. Il sindaco con ordinanza n. 2 del 12 gennaio 1982 dispose l'occupazione temporanea di urgenza dei suddetti terreni, avvenuta in data 19 febbraio 1982, in assenza delle parti interessate (come emerge dal relativo verbale, agli atti) e successivamente furono eseguiti i lavori per la sistemazione delle aree a parcheggi e a verde pubblico, lavori terminati a fine anno 1985, senza peraltro che la procedura di esproprio avesse corso, dal momento che l'amministrazione comunale non ha mai provveduto ne' ad emanare il decreto di esproprio ne' a liquidare la relativa indennita' prevista dalla legge. Ritiene questo tribunale che il comune di Lastra a Signa, avendo adottato una delibera con la quale dichiarava il progetto di pubblica utilita' e le relative opere indifferibili ed urgenti, avesse inteso attuare una occupazione di urgenza preliminare all'espropriazione, finalizzata all'impossessamento immediato del bene in previsione della successiva emanazione del decreto di esproprio, da effettuarsi entro il termine di cinque anni, termine perentorio di durata e quindi presupposto di legittimita' dell'occupazione medesima: termine, questo, che nel caso di specie e' trascorso senza che l'amministrazione comunale abbia emanato il decreto di esproprio. Inoltre, essendosi verificata, a seguito dei lavori di sistemazione dell'area a verde pubblico e parcheggi, fatti eseguire dall'amministrazione comunale, una trasformazione irreversibile e radicale, tale cioe' da comportare la perdita definitiva dei caratteri e della destinazione propria dell'area occupata - trasformazione che si colloca temporalmente, come risulta dalla consulenza tecnica di ufficio, nel momento di conclusione dei lavori in data 15 luglio 1985 - deve ritenersi che in tale momento si sia verificato l'acquisto a titolo originario a favore del comune di Lastra a Signa del diritto di proprieta' sull'area occupata e, correlativamente, la perdita del medesimo diritto per gli attori, secondo la nota fattispecie di creazione giurisprudenziale della cd. accessione invertita o occupazione espropriativa (si vedano, in proposito, le sent. Cass. S.U. 26 febbraio 1983, n.1464, 10 giugno 1988, n. 3940 e 25 gennaio 1989, n. 418). L'occupazione protratta oltre il termine previsto dalla legge, da un lato, e la trasformazione irreversibile dell'area a seguito dell'esecuzione dell'opera pubblica, che ne ha determinato l'acquisto del diritto di proprieta' a favore della p.a. occupante, dall'altro, costituiscono illecito extracontrattuale, ai sensi dell'art. 2043 c.c., produttivo di danno ingiusto che deve essere risarcito agli attori da parte del comune di Lastra a Signa che lo ha cagionato. In relazione alla questione della quantificazione di tali danni, e' opportuno gia' da ora ricordare che il criterio adottato dalla giurisprudenza di merito e di legittimita', ormai senza piu' oscillazioni, e' quello del valore venale del fondo nel momento della perdita del diritto di proprieta' (coincidente con quello della trasformazione irreversibile del fondo), accertamento che costituiva l'oggetto del terzo quesito posto al C.T.U. Nelle more del presente giudizio e' entrata in vigore la legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza publica), il cui articolo 1, comma 65, ha modificato il comma sesto dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1992, n. 359, sostituendolo con la seguente norma: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Cio' equivale a dire che in ogni caso l'espropriante (od occupante, o cessionario) di aree edificabili sara' tenuto a versare all'espropriato una somma pari alla media del valore venale dell'immobile e del reddito dominicale rivalutato, ridotta ulteriormente del 40%, salvo in caso di cessione volontaria, ai sensi del primo comma dell'art. 5-bis legge n. 359/92. Dal momento che la nuova disposizione risulta applicabile anche ai giudizi in corso, poiche' il comma 244 dell'art. 3 della legge di accompagnamento della c.d. Finanziaria 1996 (per l'appunto la citata legge n. 549/1995) recita: "Le disposizioni della presente legge si applicano con decorrenza dal 1 gennaio 1996", questo tribunale, che ha trattenuto la causa in decisione all'udienza di discussione collegiale del 17 gennaio 1996, in ossequio ai voleri del legislatore dovrebbe rimettere la presente causa sul ruolo, al fine di procedere a nuovo accertamento tecnico sul bene oggetto dell'accessione invertita (la precedente c.t.u. aveva calcolato il valore venale del bene, in ossequio al consolidato orientamento giurisprudenziale di merito e di legittimita' in materia), da ritenersi avente quanto meno vocazione edificatoria, a causa delle sue caratteristiche, ubicazione, accessibilita', urbanizzazione, alla luce di quanto riferito nell'accertamento tecnico. Cio' in quanto il riferimento, contenuto nel citato comma 65 dell'art. 1, al risarcimento del danno non ancora determinato in via definitiva, non puo' che portare alla conclusione che il legislatore, per evidenti motivi di contenimento della spesa pubblica, ha voluto introdurre lo stesso sistema di calcolo dell'indennita' di esproprio anche per i ben diversi casi - come e' quello che qui interessa - di occupazione d'urgenza di un bene di privato ad opera di un ente pubblico, alla quale non sia seguito regolare decreto d'esproprio, bensi' l'esecuzione di fatto dell'opera pubblica, con irreversibile trasformazione del fondo privato sul quale l'opera sia stata eseguita. Il Tribunale non ritiene di dovere con ordinanza disporre la rimessione della causa sul ruolo istruttorio, bensi' ritiene di dover rilevare e sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nella parte in cui predetermina ex lege la misura del risarcimento del danno dovuto al titolare di un diritto di proprieta' sul fondo definitivamente acquisito all'ente pubblico a seguito di c.d. "accessione invertita" per violazione dell'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, nonche' dell'art. 3, primo comma della stessa Carta costituzionale. Per quanto sinora argomentato, appare di tutta evidenza la rilevanza della questione nel presente giudizio, che non potrebbe essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale prospettata; occorrerebbe diversamente ritenere che la dizione legislativa di "... entita' dell'indennizzo e/o risarcimento del danno" voglia fare riferimento a qualcosa di diverso dalla reintegrazione del patrimonio del privato leso da un comportamento del tutto illegittimo, anzi illecito, da parte della pubblica autorita': ma sinceramente non si vede cosa altro possa aver avuto in mente il legislatore nella fattispecie in esame, a meno che non si voglia sostenere la tesi del "refuso" letterale, e cioe' che quella congiunzione disgiuntiva "o" sia stato inserito per errore nel testo normativo. Tale circostanza appare chiaramente da escludere, proprio perche' al contrario la legge ha voluto ricomprendere in questa "soluzione finale" di tutte le questioni sulla quantificazione del giusto ristoro all'espropriato, sia il caso della cessione volontaria (il prezzo), sia il caso dell'indennita' di esproprio, sia il caso dell'occupazione legittima (congiunzione "e"), sia infine il caso dell'occupazione illegittima ab origine, che sta divenendo nei fatti quello maggiormente diffuso ed utilizzato nella pratica. L'art. 42 della Costituzione dispone, al secondo comma, che la proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge; al terzo comma, che quel diritto puo' essere espropriato per motivi di interesse generale e salvo indennizzo. Nella ricostruzione dottrinaria e giurisprudenziale, e limitatamente ai fini che qui rilevano, va ricordato che le citate norme sono state interpretate nel senso che sussiste una chiara affermazione del rango costituzionale della proprieta' privata, con un'unica previsione di affievolimento di quel diritto, che puo' verificarsi solo in presenza di alcuni ben precisi elementi costitutivi, vale a dire: a) solo la legge puo' stabilire i poteri della pubblica amministrazione in materia di esproprio, i procedimenti da osservare, gli interessi generali che consentono l'esercizio del relativo potere, quali siano i beni espropriabili; b) l'espropriazione ha come unico fine l'interesse generale e mai quello particolare; c) si impone un indennizzo, al fine di riequilibrare le condizioni economiche soggettive dell'espropriato, turbate dall'intervento autoritativo. Quindi, riguardo in particolare all'ultimo punto, la nostra normativa fondamentale ha voluto espressamente prevedere la possibilita' del sacrificio della proprieta' privata, in presenza di un'utilita' generale, solo in un'ottica di trasferimento di diritti dalla mano privata a quella pubblica "salvo indennizzo". Quest'ultimo concetto, nella nota sentenza della Corte costituzionale 30 gennaio 1980, n. 5, e' definito come "un serio ristoro per il proprietario", nel senso che, "... se pur esso non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita... non puo' tuttavia essere fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica... Perche' cio' possa realizzarsi, occorre far riferimento al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso". Ancora, nella successiva sentenza della Corte n. 223 del 19 luglio 1983, il richiamato orientamento viene ribadito, laddove si dice che "basta allo scopo un serio ristoro e tale da non ledere il principio di uguaglianza". Dunque, in tema di espropriazione legittima e rituale, quindi ad esempio nel caso di occupazione d'urgenza del bene seguita da emanazione di regolare decreto d'esproprio, il giudice delle leggi ha indicato con chiarezza che l'indennizzo deve essere pari, se non proprio al prezzo di mercato del bene medesimo, ad un valore che da esso non si discosti molto, perche' il riferimento obbligato e' quello alle potenzialita' economiche dello stesso, pena una lesione del principio di eguaglianza tra i cittadini. Nel caso sottoposto a questo tribunale, e' fatto pacifico l'assenza di un decreto di esproprio, per cui altrettanto pacificamente puo' concludersi che il provvedimento di occupazione d'urgenza in base al quale il terreno degli attori e' stato prima materialmente acquisito e poi irreversibilmente trasformato con l'esecuzione dell'opera pubblica, e' sfociato in una c.d. "occupazione illegittima", per inesistenza di alcun atto della procedura di esproprio. Di conseguenza, in simili fattispecie l'occupante e' tenuto a rispondere a titolo di illecito extracontrattuale, ed il relativo risarcimento del danno va determinato non secondo i criteri che disciplinano la indennita' di espropriazione, bensi' secondo quelli del danno causato da fatto illecito; in tal senso, la giurisprudenza di legittimita', ma anche quella di merito, sono ormai assolutamente costanti ed univoche nelle loro interpretazioni. E dunque, dal momento che il comma 65 dell'art. 1 della legge qui sospettata di incostituzionalita' ha del tutto equiparato l'ipotesi del regolare esproprio a quella dell'occupazione abusiva, in realta' la norma ha declassato a rango di indennizzo - tra l'altro, come si vedra', di valore in assoluto assai basso - quello che deve essere invece un pieno ristoro della perdita di un bene mediante equivalente monetario: di qui la lesione dell'art. 42, secondo comma, perche' la proprieta' privata non risulta nella fattispecie ne' riconosciuta, ne' garantita; ed anche la lesione del terzo comma di quell'articolo, pervenendosi ad un esproprio in senso sostanziale in assenza dei suoi presupposti formali. Ma ancora piu' evidente, nella nuova fattispecie legale in esame, appare la violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione "tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge". Quello ora invocato e' "... principio generale che condiziona tutto l'ordinamento nella sua obiettiva struttura: esso vieta, cioe', che la legge ponga in essere una disciplina che direttamente od indirettamente dia vita ad una non giustificata disparita' di trattamento delle situazioni giuridiche, indipendentemente dalla natura e dalla qualificazione dei soggetti ai quali queste vengano imputate..." (Corte cost., sent. n. 25/1966). La giurisprudenza costituzionale ha, nel corso della sua evoluzione, elaborato casi di violazione del principio di eguaglianza diversi dalla semplice disparita' di trattamento: qui interessano in particolare l'irragionevolezza dei motivi sottostanti la normativa di legge, e il c.d. eccesso di potere del legislatore, entrambi nell'ottica dell'incostituzionalita' "per avere il legislatore disciplinato in maniera eguale situazioni diverse". Il Collegio ritiene essere proprio questa la situazione venutasi a creare con la novella contenuta nella c.d. finanziaria 1996, e cioe' l'introduzione di una disciplina uniforme ed eguale per casi che richiederebbero, alla luce del disposto dell'art. 42, trattamenti differenziati. Infatti, pur in assenza di procedura e decreto d'esproprio, l'illegittima ablazione della proprieta' viene disciplinata, ai fondamentali fini della determinazione del ristoro al proprietario, come se si fosse regolarmente avuta applicazione del procedimento di esproprio costituzionalmente previsto come unica possibilita' di trasferimento dei beni privati alla mano pubblica; con la conseguenza che l'occupante abusivo potra' "regolare" la sua posizione non con il dovuto risarcimento del danno secondo il valore venale del bene, bensi' mediante il pagamento di un importo (media del valore venale e del reddito dominicale rivalutato, ridotta del 40%) che e' stato calcolato si aggiri intorno al 30-35 % del valore di mercato. Di qui un'eclatante violazione, a parere del Tribunale, del principio di ragionevolezza cui deve ispirarsi il legislatore, il quale al contrario nel caso in esame ha avuto come riferimento esclusivo un fine non espressamente tutelato a livello costituzionale, quello del contenimento - e non certo della "razionalizzazione" di cui al titolo della legge di accompagnamento alle disposizioni per la formazione del bilancio statale - della spesa pubblica, discendente da un abbattimento del 70% dei costi di quella che, tra l'altro, si avvia ad essere la procedura acquisitiva normale da parte degli enti pubblici (con l'ulteriore vantaggio di un termine di prescrizione piu' breve rispetto a quello ordinario valido per l'indennita' di esproprio). Sussiste poi una speculare violazione per eccesso di potere nella discrezionalita' del legislatore, poiche' quest'ultimo non ha perseguito, come gia' detto, un fine costituzionalmente protetto e di pari rango rispetto al principio di eguaglianza sostanziale, creando nel contempo una situazione di oggettivo sfavore verso una parte dei cittadini il cui diritto e' invece tutelato costituzionalmente ai piu' alti livelli.