LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 4593/1994 presentato il 18 ottobre 1994 (avverso: avv. di rett. n. 824263/94, I.V.A., 91) da: Trevisan Giancarlo, residente a Piombino Dese, in via Zanganili, 14/B, contro l'ufficio I.V.A. di Padova. Il sig. Trevisan Giancarlo ricorre contro l'avviso di rettifica dell'ufficio I.V.A. di Padova n. 824263/94 relativo al debito d'imposta, pene pecuniarie ed interessi riguardante la dichiarazione I.V.A. dell'anno 1991 pari alla somma complessiva di L. 278.176.000. In detto avviso, l'ufficio I.V.A. evidenzia come il ricorrente, gia' titolare di una societa' commerciale avente come oggetto sociale la compravendita di bestiame, nel corso del 1991, e precisamente il 7 luglio 1991, abbia creato un nuovo soggetto fiscale, con la denominazione Trevisan Giancarlo, sotto la forma dell'imprenditore agricolo e successivamente, in data 19 luglio 1991, si sia reso cessionario del ramo d'azienda della societa' Commerciale agraria s.a.s. di Pilotta Alfonso, la cui unica attivita' era rappresentata da 605 bovini. Quindi entro il medesimo periodo d'imposta il sig. Trevisan: a) vendeva tutti i bovini acquistati tramite la cessione del ramo d'azienda, di cui sopra, fatturando un imponibile di L. 1.271.131.980 ed un'I.V.A. di L. 127.113.198, imposta che pero' non versava in quanto il sig. Trevisan si avvaleva, nell'ambito dell'impresa individuale agricola, del regime speciale previsto dall'art. 34 del d.P.R. n. 633/1972, portandosi in detrazione l'I.V.A. relativa agli acquisti per un importo pari a quello delle vendite; b) inoltre, sempre nel corso del 1991, veniva cessata l'attivita' dell'impresa individuale, appena costituita. L'ufficio I.V.A. rifacendosi alle risoluzioni ministeriali n. 343376 del 7 dicembre 1983, n. 3555550 dell'11 ottobre 1985 e alla delibera del Secit n. 143/1992, contesta l'applicabilita' del regime agevolativo previsto dall'art. 34 del succitato decreto e, conseguentemente, non riconosce il diritto alla detrazione forfettizzata, affermando che l'operazione di acquisto di bovini, tramite un'operazione fuori campo I.V.A., come e' quella realizzata attraverso l'acquisto del ramo d'azienda, ai sensi dell'art. 2, terzo comma, lettera E del d.P.R. n. 633/1972, non e' inquadrabile nella disciplina di cui al primo comma dell'art. 34 in base a quanto disposto recentemente dall'art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537. Il ricorrente eccepisce l'illegittimita' dell'avviso di rettifica rilevando che la tesi dell'Ufficio I.V.A. si fonda essenzialmente su risoluzioni che riguardo esclusivamente attivita' di societa' commerciali ed operazioni estranee a quanto previsto dall'art. 2135 cc. per il quale il legislatore ha ritenuto opportuno la previsione di un regime speciale agevolativo ai sensi del primo comma dell'art. 34. Il contribuente, inoltre, pone in rilievo come l'obbligo del versamento I.V.A., relativo alla cessione di bovini, acquistati rendendosi cessionario di un ramo d'azienda, e' stato introdotto dal legislatore nel corso del 1993 con la legge del 23 dicembre n. 537, la quale ha modificato il regime speciale per i produttori agricoli, previsto dal primo comma dell'art. 34 del d.P.R. n. 633/1972. Pertanto l'efficacia di questa nuova disposizione, decorre solamente dal 10 gennaio 1994, mentre le operazioni in questione, oggetto di rettifica da parte dell'Ufficio I.V.A. sono state poste in essere nel 1991: dunque sarebbero escluse dalla previsione normativa dell'art. 14 della succitata legge, rimanendo invece ancora valido, per esse, l'agevolazione regolata dall'art. 34, primo comma, del decreto I.V.A. Per questa Commissione risulta evidente che l'operazione di acquisto del ramo d'azienda e la successiva vendita di bovini e' stata posta in essere dal contribuente allo scopo esclusivo di usufruire del vantaggio fiscale offerto dal primo comma dell'art. 34 del d.P.R. n. 633/1972 il quale statuisce che "per le cessioni di prodotti agricoli e ittici..., effettuate da produttori agricoli, la detrazione prevista nell'art. 19 e' forfettizzata in misura pari all'importo risultante dalla applicazione, all'ammontare imponibile delle operazioni stesse, delle percentuali di compensazione stabilite, per gruppi di prodotti con decreto del Ministro delle finanze". Infatti, il sig. Trevisan, non solo ha creato un nuovo soggetto fiscale al fine di renderlo cessionario del ramo d'azienda della societa' commerciale agraria s.a.s., ma ha anche provveduto a vendere i bovini acquistati con la suddetta operazione ed entro lo scadere del medesimo periodo d'imposta ha cessato l'attivita' relativa. La fattispecie sopradescritta risulta pienamente inquadrata nel contenuto e nello spirito della norma antielusiva, di cui all'art. 10 della legge 29 dicembre del 1990 n. 408, quale modificato dalla recente legge n. 724 del 23 dicembre 1994, in quanto ci sono tutti gli elementi per affermare che non sussistano, nella fattispecie, valide ragioni economiche (di carattere extra fiscale) per compiere gli atti giuridici sopradescritti, quali l'acquisto d'azienda, la compravendita di bovini e la cessazione dell'attivita', ma anzi che tali strumenti siano stati utilizzati allo scopo esclusivo di porre in essere, artificiosamente, le condizioni richieste dalla legge affinche' venisse azzerato il debito I.V.A. per le detrazioni forfetizzate sugli acquisti spettanti all'imprenditore agricolo. Pertanto, il vantaggio fiscale conseguito appare palesemente indebito proprio alla luce della norma teste' citata. Il ricorrente, quindi, ha concorso alla spesa pubblica non in base alla reale ed effettiva capacita' contributiva, evidenziata dalla vendita dei vitelli, ma in base a quella artefatta, rappresentata dalla concatenazione delle operazioni giuridiche sopraindicate, violando, cosi', il principio dell'art. 53 della Costituzione, il quale si pone come vincolo non solo per l'attivita' legislativa, ma anche per la libera esplicazione dell'autonomia privata. Dunque, il contribuente, anche se ha agito nel rispetto formale del dettato normativo vigente all'epoca dei fatti, usufruendo di un regime agevolativo previsto espressamente da un articolo di legge (art. 34 decreto I.V.A.), ha, comunque, violato, nella sostanza, il principio cardine dell'ordinamento tributario, e precisamente l'art. 53 C, laddove ha realizzato le condizioni indicate dall'art. 34, allo scopo esclusivo di ottenere in modo artefatto un risparmio d'imposta al di fuori di qualsiasi obiettivo economico meritevole di tutela. Le varie operazioni poste in essere dal ricorrente, non sono infatti altro che il frutto di una volonta' rivolta esclusivamente a creare, nella forma, i presupposti dell'agevolazione prevista dall'art. 34, senza che esista la sostanza economica alla cui agevolazione e' indirizzata tale norma fiscale. Nella fattispecie che qui e' stata evidenziata non sembra direttamente applicabile, quale rimedio di contrasto a tale attivita', la quale appare difforme allo spirito e al dettato dell'art. 53 della Costituzione, l'art. 10 della legge n. 408/1990 (in quanto, tra l'altro, al tempo dei fatti non era operante), ne' l'azione di nullita' prevista dall'art. 1344 del c.c., poiche' il diritto tributario (come piu' volte affermato sul punto dalla Corte di cassazione) e' caratterizzato in questo aspetto da autonomia, specialita', distinzione rispetto all'ordinamento giuridico generale (infatti il sistema tributario essendo dotato di un complesso di norme sanzionatorie di per se' esaustive, prevede, per ogni illecito, compresa la frode fiscale, la propria sanzione). Per non dire che, secondo autorevole opinione dottrinale, la trasposizione in materia tributaria dell'art. 1344 c.c. comporterebbe la necessita' di percorrere una via senz'altro impraticabile, come appare quella di proporre azione di nullita' innanzi al giudice ordinario da parte dell'amministrazione finanziaria. La commissione ritiene, invece, che l'operazione di cessione del ramo d'azienda, posta in essere dal ricorrente, potrebbe teoricamente rientrare nella previsione dell'art. 10 della legge n. 408, quale modificata dalla recente legge n. 724 del 23 dicembre 1994, laddove, vengono presi in considerazione (e disapplicati) i vantaggi fiscali derivanti da cessioni di beni mobili (nella speicie, la cessione di aziende) operate fraudolentemente, senza ragioni economiche e al puro fine di risparmio fiscale. Applicando dette norme - e cio' si dice anche al fine del giudizio sulla "rilevanza" della questione di costituzionalita' - la Commissione potrebbe disapplicare gli effetti dell'agevolazione fiscale di cui l'art. 34 decreto I.V.A. e quindi dichiarare dovuta allo Stato tutta l'I.V.A. di cui alla vendita di bovini, senza alcuna detrazione forfettaria. Sennonche' il secondo comma dell'art. 28 della succitata legge 23 dicembre 1994, limitando l'applicazione di tale rimedio antielusivo, alle sole operazioni verificatesi nei periodi d'imposta successivi al 30 settembre 1994, proprio perche' lascia incolmato un vuoto legislativo per le operazioni fraudolente accertate nei periodi precedenti, crea, a parere della Commissione, un problema di legittimita' costituzionale. Il legislatore, infatti, cosi' disponendo, ha finito per valutare in modo diverso, fattispecie imponibili indicanti una medesima capacita' contributiva e cio' solo perche' verificatesi in tempi diversi, sanzionando (con la disapplicazione), il risparmio d'imposta illecito, verificatosi successivamente al 30 settembre 1994 e lasciando invece irragionevolmente impunito il contribuente che, prima di tale data, ha utilizzato fraudolentemente norme agevolative, facendo apparire artificiosamente una capacita' contributiva ridotta al solo scopo di usufruire del vantaggio fiscale. In altre parole, per gli anni anteriori al 1994, il legislatore consentirebbe che comportamenti fraudolenti (perche' cosi' sono definiti nell'art. 10 legge 1990, n. 408) siano pienamente produttivi di vantaggi tributari. Orbene sembra che anche senza invocare l'art. 53 (peraltro certamente applicabile), e invocando solo il principio di coerenza di cui all'art. 3 della Costituzione, non possa il legislatore tributario (ma anche il legislatore in genere) consentire che comportamenti qualificati come fraudolenti abbiano riconoscimento giuridico se effettuati prima di una certa data e disconoscimento solo se effettuati successivamente. Se poi si valuta l'art. 10, legge 1990, n. 408, alla luce degli artt. 3 e 53, e' chiaro che un'eguale situazione di capacita' contributiva darebbe luogo a concorso alle spese pubbliche se effettuata dopo una certa data, mentre non darebbe luogo a concorso alle spese pubbliche se effettuata prima; e cio' per il mero ritardo del legislatore ordinario nel predisporre norme puntuali idonee a contrastare i comportamenti fraudolenti. In tale situazione sussiste violazione del principio di capacita' contributiva (distinto dal principio di eguaglianza tributaria), perche' l'artefatta creazione dei presupposti dell'agevolazione (ante 1994) comporta che, pur in presenza di reale capacita' contributiva (connessa alla vendita dei bovini), non ci sia concorso alle spese pubbliche (l'I.V.A. riscossa, non e', infatti, versata allo Stato grazie all'indebita detrazione forfettaria); sussiste altresi' violazione del principio di eguaglianza tributaria (artt. 3 e 52 della Costituzione), perche' a parita' di capacita' contributiva il trattamento e' diverso secondo la data di entrata in vigore del provvedimento legislativo antifrode. In base a quanto esposto: a) la fattispecie in esame e' fattispecie di frode ex art. 10, legge 1990, n. 408, quale modificato dalla legge n. 724 del 23 diembre 1994; b) peraltro esiste in tale norma un limite di decorrenza temporale; c) ma tale limite temporale (posto ad una norma antifrode) si pone in contrasto con il principio di coerenza (art. 3 della Costituzione), con il principio di capacita' contributiva (art. 53 della Costituzione), con il principio di eguaglianza tributaria (artt. 3 e 53 della Costituzione). A questo punto, la scrivente Commissione si e' posta il problema dell'interpretazione adeguatrice: nella specie, dell'applicazione retroattiva dell'art. 10, legge 1990, n. 408, quale appunto modificato dalla legge n. 724 del 23 dicembre 1994. E' sembrato peraltro a questo giudice che l'interpretazione retroattiva sia resistita da una piana interpretazione della legge ordinaria e, quindi, dalla necessita' di tener conto di altro principio costituzionale qual'e' il principio di riserva di legge ex art. 23 della Costituzione (e il connesso principio di certezza del diritto). In mancanza, nel 1991, di una norma come quella introdotta con legge 23 dicembre 1994, n. 724; considerato che l'ordinamento tributario italiano ha sempre contrastato l'elusione fiscale con norme ad hoc; in tale situazione, la violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione e' imputabile alla mancanza, appunto nel 1991, della norma antielusiva del 1994 e, quindi, il problema costituzionale e' la non retroattivita' della norma antifrode introdotta nel 1994 in applicazione (tardiva) degli artt. 3 e 53 della Costituzione. Ne' puo' dirsi che la norma tributaria non puo' essere retroattiva. Certo esiste il principio di attualita' della capacita' contributiva, ma questo principio non puo' trovare tutela di fronte a comportamenti fraudolenti che violino il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacita' contributiva e il dovere di eguaglianza tributaria (ex art. 3 e 53 della Costituzione). Nella specie, la retroattivita' e' richiesta proprio per dare attuazione a comportamenti che fraudolentemente sottraggono a tassazione capacita' contributive esistenti e sottratte in modo artificioso al dovere di solidarieta' del concorso alle spese pubbliche (ex artt. 3 e 53 della Costituzione). Inoltre la disapplicazione a fini fiscali (rimedio antifrode del citato art. 10), non puo' nemmeno considerarsi misura sanzionatoria prevista dall'art. 25 della Costituzione (laddove esclude la retroattivita' delle misure punitive) dal momento che anche la Corte costituzionale, con sentenza del 23 febbraio-6 marzo 1995, n. 80, ha chiarito che tale divieto si riferisce unicamente alle sanzioni penali incriminatrici, mentre il rimedio antielusivo previsto dall'art. 10 della legge n. 408 (come sopra modificato dalla legge n. 724 del 23 dicembre 1994), non e' ne' sanzione penale, ne' sanzione amministrativa. Pertanto, ad avviso della Commissione, il campo di applicazione dell'art. 10, legge 1990, n. 408, modificato con legge 23 dicembre 1994, deve essere esteso a tutte le ipotesi di elusione fraudolenta (per artificiosa creazione dei presupposti di norma agevolativa senza finalita' economica), in modo che, per la medesima operazione, caratterizzata dal conseguimento fraudolento del risparmio d'imposta, debba essere preteso il medesimo rimedio e non un trattamento che si differenzia esclusivamente in funzione del fatto che tali operazioni siano state poste in essere prima o dopo il 30 settembre 1994.