LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 1200/92 presentato il 30 gennaio 1992 (avverso: avv. classamento num. partita n. 595, contr. catastali) da Paladini Giorgio, residente a Firenze, in via Arnolfo 6/N; sul ricorso n. 1201/92 presentato il 30 gennaio 1992 (avverso: avv. classamento num. partita n. 595, contr. catastali) da Paladini Giorgio, residente a Firenze, in via Arnolfo 6/N; sul ricorso n. 1202/92 presentato il 30 gennaio 1992 (avverso: avv. classamento num. partita n. 130962, contr. catastali) da Paladini Giorgio, residente a Firenze, in via Arnolfo 6/N, contro l'U.T.E. di Firenze. Con tre separati ricorsi presentati in data 31 gennaio 1992 il signor Paladini Giorgio impugnava l'accertamento della rendita catastale fatto dall'Ufficio tecnico erariale di Firenze in relazione a tre beni immobili, siti in via Arnolfo e precisamente uno ai numeri civici 6/f, 6/g e 6/n, classato in categoria C/1, classe 8, zona censuaria 2, al quale era stata attribuita la rendita catastale di lire 43.682.100, il secondo al numero civico 6/s, classato in categoria C12, classe 7, z.c. 2, al quale era stata attribuita la rendita catastale di lire 2.895.900 ed il terzo ai numeri civici 6p, 6q e 6r, classato in categoria C/1, classe 7, z.c. 2, al quale era stata attribuita la rendita catastale di lire 26.016.000. Assumeva il Paladini in ciascuno dei tre ricorsi che tale rendita catastale era del tutto illegittima per violazione di legge ed eccesso di potere del d.m. Fin. 20 gennaio 1990 che ha disciplinato il procedimento di revisione delle tariffe d'estimo. Con memorie presentate il 5 maggio 1994 il ricorrente rilevava che i decreti ministeriali 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991 presentavano profili di illegittimita' in relazione ai quali erano stati annullati dal T.A.R. del Lazio (sez. II, 6 maggio 1992 n. 1184). Detti decreti, contrariamente a quanto previsto dal regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, approvato con d.P.R. n. 1142/1979 che privilegia quale parametro per la formazione delle tariffe d'estimo il reddito potenzialmente detraibile dall'immobile attraverso la sua locazione e solo eccezionalmente il criterio dell'interesse del capitale fondiario, hanno posto come base per la revisione delle tariffe d'estimo il valore di mercato ordinariamente ritraibile. Il dettato di tali decreti e' stato mantenuto in vita dal legislatore attraverso vari decreti non convertiti ed infine con decreto-legge n. 16/1993 convertito in legge con modificazioni dalla legge n. 75/1993. L'art. 2 di tale legge ha ritenuto applicabili in via transitoria i decreti ministeriali, conservando dal 1 gennaio 1992 e fino al 31 dicembre 1993, le tariffe d'estimo e le rendite gia' determinate in applicazione dei decreti medesimi, in attesa di una nuova revisione fondata su base reddituale anziche' patrimoniale. Concludendo, essendo pendente presso la Corte costituzionale una questione di legittimita' costituzionale di tale legge sollevata da varie commissioni tributarie e dal T.A.R. Umbria in relazione agli articoli 2, 3, 24 e 53 della Costituzione, chiedeva la sospensione dei tre procedimenti in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. A seguito della pronuncia della Corte costituzionale con la sentenza n. 263 del 24 giugno 1994, veniva disposta la prosecuzione dei tre procedimenti, che erano stati sospesi. Con memorie in data 4 novembre 1994 il ricorrente, esaminando tale decisione, rilevava che i giudici costituzionali hanno affermato che il ricorso al criterio del valore di mercato in luogo di quello locatizio per la determinazione delle rendite degli immobili urbani, pur giustificato dalla scarsa rappresentativita' attuale del mercato delle locazioni e dalla transitorieta' della disciplina, costituisce una regola procedimentale alla quale non e' logicamente estraneo il rischio di determinazione di rendite catastali tali da superare per la loro misura il reddito effettivo, ma non si sono occupati di tale profilo non essendo stata sottoposta la questione in termini specifici nelle varie ordinanze di rimessione; gli stessi giudici sul punto rilevavano che dette ordinanze "al di la' di generiche doglianze di non razionalita' non prospettano profili idonei a concretamente evidenziare una incongruita' dei criteri di determinazione dei valori adottati nella norma denunciata rispetto al fine che con essi si e' inteso perseguire". Eccepiva poi il ricorrente il difetto di motivazione dell'accertamento dell'Ufficio tecnico erariale nel determinare la rendita catastale oggetto di impugnativa: nella fattispecie si e' verificata l'ipotesi avanzata dai giudici costituzionali e cioe' il valore degli immobili derivante dalla rendita attribuita dall'Ufficio si e' rivelato molto piu' alto di quello effettivo (e precisamente lire 1.485.191.000 rispetto a quello di mercato che, come risulta dalle perizie allegate al ricorso, oscilla tra lire 693.000.000 e lire 739.000.000, per quanto attiene al primo immobile; lire 289.590.000 rispetto a quello di mercato che e' secondo le perizie allegate di lire 220.500.000, quanto al secondo immobile; lire 884.554.000 rispetto a quello di mercato che oscilla secondo le perizie tra lire 480.000.000 e lire 512.000.000, quanto al terzo immobile). Ora se si tiene conto che l'U.T.E., nel determinare la rendita catastale in applicazione delle nuove tariffe d'estimo, non ha alcun margine di discrezionalita', bensi' opera una automatica applicazione dei criteri stabiliti dalla legge, appare evidente che la legge in esame presenta profili di incostituzionalita', dando essa luogo ad una imposizione iniqua ed ingiusta, in violazione dei principi di uguaglianza e di capacita' contributiva. L'osservazione contenuta nella sentenza della Corte che la possibilita' di sindacare la legittimita' costituzionale della legge determinativa del nuovi estimi catastali si puo' avere solo in presenza di concrete applicazioni di essa che evidenziassero una incongruita' del criterio di determinazione dei valori dalla norma denunciati rispetto al fine che con essi si e' inteso perseguire e cioe' in sede di applicazione di ogni singola imposta, non sembra aver fondamento in quanto ad esempio in materia di IRPEF l'imposta viene applicata concretamente dallo stesso contribuente in base ad una sua autodichiarazione. Il ricorrente in base a tali rilievi chiedeva la rimessione degli atti dei tre procedimenti alla Corte costituzionale per il controllo di legittimita' in ordine all'art. 2 del d.-l. n. 16/1993 convertito in legge con modificazioni dalla legge n. 75/1993, nella parte in cui dispone l'applicabilita' delle tariffe d'estimo e le rendite gia' determinate in base al d.m. 20 gennaio 1990 e cio' in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione. Con successive memorie depositate il 4 febbraio 1995 il ricorrente solleva altri profili di legittimita' costituzionale. In particolare osserva che il legislatore legificando le tariffe d'estimo fissate dai dd.mm. 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991 e cioe' prevedendo che fino alla data del 31 dicembre 1993 restano in vigore e continuano ad applicarsi le tariffe d'estimo e le rendite gia' determinate in esecuzione del d.m. Fin. 20 gennaio 1990, non si sarebbe limitato a sostituire un nuovo parametro di imposizione fiscale a quello precedente ma si sarebbe spinto fino ad assegnare le nuove rendite alle nuove unita' immobiliare, appropriandosi di una funzione tipicamente amministrativa, ponendo quindi in essere una fattispecie di eccesso di potere legislativo e di irragionevolezza. Rileva, richiamando due decisioni della stessa Corte (n. 35 del 13 febbraio 1985 e n. 210 del 28 dicembre 1971) che i precetti legislativi non possono trasmodare in un regolamento irrazionale ed abitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustando cosi' l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello stato di diritto. Altro profilo di incostituzionalita' - si conclude nella citata memoria - e' quello attinente alla violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto essendo la funzione amministrativa concretamente assorbita dalla potesta' normativa, viene eliminata ogni possibilita' di tutela giurisdizionale sia di fronte al giudice tributario che a quello amministrativo. Le eccezioni sollevate dal ricorrente in merito alla legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge n. 16/1993 convertito nella legge n. 75/1993 non appaiono manifestamente infondate ed hanno rilevanza ai fini della decisione. La prima riguarda la violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione. Invero il criterio cui fa riferimento nel primo comma l'art. 2 del predetto decreto-legge e cioe' il criterio del valore unitario di mercato ordinariamente ritraibile ha esposto ed espone gli uffici tecnici erariali - nel periodo transitorio che doveva durare fino al 1994 ma che e' stato poi prorogato fino al 1 gennaio 1998 - al rischio concreto di attribuire rendite catastali superiori a quelle effettive, determinando cosi' nella liquidazione delle singole imposte una ingiusta erosione del patrimonio e dando luogo ad effettive situazioni di disparita' di trattamento con palese violazione del principio di uguaglianza e di quello della capacita' contributiva. I criteri predetti si appalesano incongrui rispetto al fine che si propone la norma che e' quello di una equa e ragionevole tariffazione in relazione alle rendite delle unita' immobiliari. Ne' giova osservare come fa la Corte costituzionale nella citata sentenza che la verifica del canone costituzionale andrebbe fatto nell'ambito della regolamentazione delle singole imposte, essendo agevole rilevare che in molti casi cio' appare praticamente impossibile come ad esempio in materia di IRPEF, imposta che viene applicata direttamente dal contribuente in base ad una sua autodichiarazione, che fa riferimento alla rendita immobiliare come determinata dall'U.T.E. in sede di classamento. Se dovesse valere il ragionamento dei giudici costituzionali, il cittadino sarebbe costretto ad iniziare un procedimento quanto mai macchinoso e dispendioso, non rispondente a principi di giustizia ed equita', per poter sollevare le eccezioni di legittimita' costituzionale: richiesta di rimborso all'amministrazione finanziaria, silenzio-rifiuto, ricorso avverso tale silenzio-rifiuto dinanzi alle commissioni tributarie. Rilevante e' quindi in questa sede il profilo di illegittimita' come sopra evidenziato. Nella fattispecie infatti - salvo verifica in sede di esame del merito - tenendo conto di quanto illustrato dal ricorrente nella memoria depositata il 4 febbraio 1995 si avrebbe, applicando la rendita catastale attribuita dall'U.T.E. in base ai parametri cui fa riferimento l'art. 2 del decreto-legge in esame, una notevole difformita' tra il valore catastale ed il valore reale di mercato degli immobili attuale o quello riferito al periodo 1988-1989 (vedi perizie allegate nei tre procedimenti riuniti). Ugualmente ammissibili e rilevanti sono gli altri due profili di incostituzionalita' in riferimento all'art. 3 ed agli artt. 24 e 113 della Costituzione. Invero, le disposizioni del decreto-legge n. 16/1993 aventi ad oggetto la legificazione delle tariffe d'estimo fissate dai dd.mm. 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991 comportano l'attribuzione di fatto, in linea diretta ed immediata, delle rendite catastall alle unita' immobiliari: in tal modo, il legislatore, come osservato dal ricorrente, si sarebbe sostituito alla pubblica amministrazione, esercitando una funzione tipicamente amminisitrativa e ponendo in essere un comportamento viziato da eccesso di potere ed irragionevolezza (art. 3 Costituzione. Infine, ultimo ma non meno rilevante profilo e' quello che mette in evidenza il contrasto tra la normativa di cui trattasi e gli artt. 24 e 113 della Carta costituzionale; invero, nessuna possibilita' di difesa giurisdizionale ha il cittadino di fronte ad una disciplina normativa che assorbe concretamente la funzione amministrativa, atta ad incidere - come osserva il ricorrente - sulle posizioni soggettive dei privati non gia' con riferimento alla potenzialita' reddituale ma con riguardo ai parametri di individuazione in concreto degli elementi di fatto da cui trae origine essa potenzialita' reddituale.