IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza nei confronti di Pasquini Annalia nata a Carrara il 28 novembre 1969 e residente in Prato, attualmente detenuta casa circondariale di Sollicciano p.a.c., imputata del delitto di cui all'art. 341, primo ed ultimo comma c.p., per avere offeso l'onore ed il prestigio di Lapio Angiolina, agente del Corpo di polizia penitenziaria, pronunciando al di lei indirizzo la frase "e te che cazzo vuoi da me". Con l'aggravante sopra contestata per avere commesso il fatto in presenza di piu' persone. In Pisa, il 13 luglio 1993. Motivi All'esito del procedimento con rito abbreviato nei confronti di Pasquini Annalia in sede di irrogazione della pena, si e preso atto che alla luce dell'art. 59 comma primo e secondo, legge 24 novembre 1981 n. 689 risulta inibita la facolta' del giudice di disporre la sostituzione della pena detentiva breve irrogabile per il fatto contestatole (v. certificato penale in atti). Ritiene altresi' il pretore che vuoi per la modestia e le circostanze dell'episodio, vuoi per la personalita' dell'imputata, vuoi al fine di realizzare, sin dalla fase del giudizio le finalita di cui all'art. 27, comma terzo, Cost., la sostituzione di pena nelle forme della liberta' controllata risulterebbe soluzione adeguata al caso. Ritiene il giudicante che in tal senso si ponga un problema di legittimita' costituzionale non manifestamente infondato dell'art. 59, comma primo e secondo, legge 24 novembre 1981 n. 689 in riferimento agli artt. 3, comma secondo e 27, comma terzo, Cost. La disposizione in questione costituisce un limite posto al giudice e derivante dai precedenti dell'imputato, di esercitare la facolta' di sostituire pene detentive brevi con sanzioni sostitutive. Tale limite, ragionevole ed opportuno nel sistema ideato nel 1981, appare oggi da un lato non piu' ragionevole, dall'altro contrastante con il principio di applicabilita' del disposto dell'art. 27, comma terzo, Cost. anche alla fase del giudizio come affermato compiutamente ed in via definitiva dalla Corte cost. con sentenza n. 341/1994 con riferimento a quanto gia' indicato nelle sentenze nn. 313/90, 343/93 e 422/93. E' noto in primo luogo che all'epoca di emanazione della legge sulla depenalizzazione il sistema regolato dalla legge sull'ordinamento penitenziario stabiliva una serie di limitazioni alla possibilita' di concedere l'affidamento in prova al servizio sociale nonche' la semiliberta'. In particolare e' interessante notare in particolare, oltre ad altri dati ulteriori, come l'affidamento in prova non potesse essere concesso dalla liberta' e necessitasse comunque di un periodo di tre mesi di osservazione in carcere prima di poter essere concesso dal tribunale di Sorveglianza - in allora sezione di sorveglianza -, il che oltretutto, considerati i tempi di fissazione e trattazione dell'udienza, comportava inevitabilmente tempi piu' lunghi di decisione ed eventuale concessione di talche' un affidamento in prova difficilmente poteva avere corso prima di cinque o sei mesi dall'inizio della esecuzione in carcere. Da qui anche la sostanziale impossibilita' di procedere con misure alternative per le pene particolarmente brevi (sicuramente quelle contenute in tre mesi, presumibilmente quelle contenute in sei mesi). Cio' poteva considerarsi armonizzato con l'impossibilita' di concedere misure sostitutive in casi di recidiva reiterata specifica o cumulo materiale di pene oltre i due anni di pena detentiva riportate nell'ultimo quinquennio dall'imputato. Attualmente viceversa non soltanto non sussistono piu' limiti soggettivi od oggettivi all'applicazione dell'affidamento in prova, ma oltretutto da un lato e' stato enormemente ampliato il settore di intervento stante che l'affidamento e' concedibile per qualsiasi situazione di residuo effettivo di pena da espiare non superiore ad anni tre - in precedenza invece trattavasi di condanne giudiziali non superiori ad anni due e mesi sei -, ma soprattutto l'affidamento - e tutte le altre misure alternative - sono concedibili direttamente dalla liberta' attraverso la procedura sancita dall'art. 47, comma quarto, ord. pen. Ne risulta che mentre non e possibile per il giudice della cognizione, nei casi previsti dall'art. 59 n. 689/1981, sostituire la pena breve con le sanzioni sostitutive, nei medesimi casi il tribunale di sorveglianza puo' provvedere con concessione dell'affidamento in prova - o di altra misura alternativa - previa istanza dalla liberta' del condannato senza che egli debba transitare per il carcere. Cio' risulta particolarmente stridente con i principi costituzionali suindicati nei casi - come quello in esame - ove da subito, gia' nel giudizio, e' possibile affermare che il carcere non costituisce adeguata sanzione e soprattutto non appare adeguato strumento in termini di risocializzazione, potendo al contrario costituire ulteriore momento di separazione tra il cittadino condannato ed il sociale, di riduzione delle sue opportunita' di reinserimento, di frustrazione del percorso rieducativo. Si consideri ulteriormente due dati: il primo concerne la assoluta lentezza attuale del processo penale - e' dato di comune esprienza, di tale gravita' ormai da aver costituito fondamento di censura per lo Stato italiano da parte degli organismi della Giustizia Europea -. Il caso in esame e' esemplare laddove trattasi di un modesto fatto di oltraggio commesso in carcere nel luglio 1993. In tal senso appare gia' possibile per il giudice della cognizione valutare la situazione personale dell'imputato rispetto al fatto ed all'epoca di sua commissione - non diversamente da come potrebbe fare il tribunale di sorveglianza a momento dell'esecuzione -, in termini di individuazione delle concrete esigenze punitive nonche' delle concrete possibilita' di rieducazione e reinserimento del reo per il tramite della misura sanzionatoria adottata ed eseguibile. Da cio' in particolare consegue che il giudice della cognizione, non diversamente dal Giudice di Sorveglianza, puo' gia' al momento del giudizio formulare una valutazione che, tenuto conto di tutti i parametri normativi e di quelli di fatto a disposione, possa escludere il carcere dal novero delle misure utilizzabili nel caso di specie. Il secondo concerne invece le prospettive di riforma, ormai avviate e sufficientemente sviluppate, del codice penale, laddove sono previsti appunto una serie di meccanismi processuali attraverso i quali il giudice della cognizione puo' addirittura disporre le misure alternative alla detenzione - in particolare l'affidamento in prova al servizio sociale - sin dal momento della condanna, riservandosi gli spazi di decisione del Giudice di Sorveglianza ai casi piu' gravi che hanno reso necessario essenzialmente per l'entita' della pena irrogata, un periodo - normalmente non breve - di internamento in carcere. Da questo quadro, sommariamente descritto e rispetto al quale la Corte costituzionale ha ovviamente tutti gli strumenti per poter sviluppare le proprie considerazioni, pare emergere un contrasto della disposizione dell'art. 59 legge n. 689/1981 con il principio di ragionevolezza sancito dall'art. 3, comma 2, Cost. e 27, comma 3, Cost., poiche allo stato della legislazione in materia sanzionatoria ed esecutiva viene inibito al giudice della cognizione di espletare una adeguata e completa valutazione circa la sanzione che nel caso di specie, alla luce dei parametri sanciti dalla legge - primo fra tutti quello dell'art. 133 c.p. -, si appalesi come la migliore per realizzare gli obiettivi che la legge penale persegue, in particolare quelli di uguaglianza e quello della rieducazione del condannato. Alla luce di quanto sopra si ritiene di dover rimettere la valutazione della questione alla Corte Costituzioale sospendendo il giudizio.