IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile promossa da Scutti Silvio nei confronti del comune di Termoli con atto di citazione notificato il 21 dicembre 1991. Con sentenza in data odierna questo tribunale, in accoglimento della domanda proposta da Scutti Silvio nei confronti del comune di Termoli, ha condannato quest'ultimo al risarcimento del danno, da liquidarsi in prosieguo di causa, cagionato all'attore dall'occupazione appropriativa o acquisitiva del terreno di sua proprieta' sul quale e' stata realizzata un'opera di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata. Trattandosi di dannum iniuria datum il suo risarcimento doveva essere determinato alla stregua del valore effettivo di mercato dell'area alla data in cui si e' verificata, con la realizzazione dell'opera, l'occupazione appropriativa. Nelle more del giudizio, pero', e' entrata in vigore la legge 28 dicembre 1995, n. 549 la quale con l'art. 1, comma 65, ha sostituito l'art. 5-bis, sesto comma, d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992 n. 359. Il nuovo testo di tale comma e' il seguente: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". In sostanza con tale norma si prevede che il criterio stabilito per le espropriazioni di aree edificabili (la media del valore di mercato del bene e del reddito dominicale rivalutato) si applichi, a tutti i casi in cui alla data di entrata in vigore della legge n. 359/1992 l'entita del risarcimento del danno non sia stato ancora determinata in via definitiva. La norma, senz'altro applicabile al caso in esame, posto che l'entita' del risarcimento non e' ancora stata determinata in via definitiva (id est, con sentenza passata in giudicato), appare illegittima per contrasto con l'art. 3 Cost., avendo disciplinato in modo uguale due fattispecie (indennita' di espropriazione e diritto al risarcimento del danno) profondamente diverse tra loro, come e' stato evidenziato proprio dalla Corte costituzionale con la sentenza del 16 dicembre 1993 n. 442 con la quale, affrontando il problema della legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, commi primo e secondo della citata legge n. 359/1992, ha precisato che diverse sono le fattispecie dell'espropriazione di aree edificabili e quelle dell'accessione invertita o occupazione appropriativa (e quindi dell'indennita' di espropriazione e del risarcimento del danno). Osserva testualmente la Corte: "Le fattispecie a confronto sono infatti, assolutamente divaricate e non comparabili. Nella prima c'e' un procedimento espropriativo secundum legem (ossia nel rispetto dei presupposti formali e sostanziali che rappresentano altrettante garanzie per il proprietario espropriato) e quindi vengono in rilievo le opzioni (discrezionali) del legislatore in ordine al criterio di calcolo dell'indennita' di espropriazione; la seconda ipotesi si colloca fuori dai canoni di legalita' (perche' e' la stessa realizzazione dell'opera pubblica sull'area occupata, ma non espropriata, ad impedire di fatto la retrocessione e a comportare l'effetto traslativo della proprieta' del suolo per accessione all'opera stessa), e quindi ben puo' operare il diverso principio secondo cui chi ha subito un danno per effetto di un'attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro. Per altro verso e' giustificato che l'ente espropriante, il quale non faccia ricorso ad un legittimo procedimento espropriativo per acquisire l'area edificabile, subisca conseguenze piu' gravose di quelle previste ove invece sia rispettoso dei presupposti formali e sostanziali prescritti dalla legge perche' si determini l'effetto di oblazione dell'area". Non manifestamente infondata e' pertanto la questione che si prospetta: la norma, infatti, nella parte relativa all'indennita' di espropriazione appare in linea con il parametro costituzionale di cui al secondo comma dell'art. 42 della Costituzione e con la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui il termine indennita' significa non integrale ristoro del sacrificio subito per effetto dall'espropriazione, ma solo il massimo di contributo e di riparazione che nell'ambito degli scopi di generale interesse la pubblica amministrazione puo' garantire all'interesse privato. Rientra, quindi, nel potere discrezionale del legislatore stabilire in concreto la misura di tale indennizzo mediante una valutazione comparativa degli interessi generali e dall'interesse privato e del modo come pervenire al massimo dalla rispettiva soddisfazione, che deve essere il risultato di un complesso e vario esame di elementi tecnici, economici, finaziari e politici, con l'unico limite rappresentato dall'esigenza di evitare un indennizzo apparente e meramente simbolico. Diversamente e' a dirsi a proposito del risarcimento del danno, che deve costituire integrale ristoro dell'interesse giuridicamente protetto, leso dall'azione illecita. Non dovrebbe infatti essere consentito al legislatore di disciplinare la fattispecie dell'illecito extracontrattuale in modo diverso da quello previsto dal codice civile (art. 2043 e seguenti) solo perche' autore dell'illecito e' la pubblica amministrazione, meno che mai applicando una normativa dettata per una fattispecie completamente diversa. Del resto, diversamente opinando, verrebbe meno in ultima analisi qualsiasi distinzione fra indennita' di esproprio e risarcimento del danno sicche' la norma de qua finirebbe col rendere inutile la normativa in tema di espropriazione per pubblico interesse. Ne consegue che, non essendo la questione di costituzionalita' manifestamente infondata e non potendo il giudizio essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione, gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale, previa sospensione del giudizio.