LA CORTE D'APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza letta la dichiarazione di ricusazione proposta con atto depositato il 22 novembre 1995 da Laquara Vittorio nei confronti del giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Napoli dott. Di Stefano, motivata dal fatto che quest'ultimo, avendo quale giudice per le indagini preliminari emesso a suo carico, nello stesso procedimento, un ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, non potrebbe ricoprire la funzione di giudice dell'udienza preliminare; Ritenuta l'ammissibilita' dell'istanza in quanto proposta dall'imputato nei termini e con le forme dell'art. 38 c.p.p. nell'ambito del procedimento penale attualmente pendente a suo carico presso il citato ufficio (n. 7408/95 g.i.p.); All'esito della odierna udienza tenutasi in camera di consiglio a norma dell'art. 127 c.p.p.; O s s e r v a Non sussiste la ragione di incompatibilita' sollevata all'imputato con riferimento alle funzioni di giudice per le indagini preliminari come effettivamente svolte da parte del dott. Di Stefano, designato nello stesso procedimento alle ulteriori funzioni di giudice dell'udienza preliminare, atteso il carattere tassativo delle ipotesi previste dalla norma di cui all'art. 34 c.p.p., non suscettibile di interpretazione estensiva ed analogica. Per contro, conformemente all'orientamento espresso da altre sezioni di questa Corte, va ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, c.p.p. sollevata dall'imputato per i motivi che seguono. In via generale va premesso che, in base al costante indirizzo della Corte costituzionale, seguito dalla Suprema Corte (Cass., sez. III, 18 maggio 1993, Ferlito), l'incompatibilita' determinata da atti compiuti nel procedimento va circoscritta ai casi di duplicita' di giudizio di merito da parte dello stesso giudice, ovvero ai casi in cui lo stesso giudice abbia effettuato una valutazione dei fatti non solo formale bensi' di contenuto. Sotto tale secondo profilo e' ben noto il recentissimo indirizzo costituzionale, citato dall'imputato, secondo cui i provvementi sulla liberta' personale possono comportare una valutazione che si traduce sul merito della res iudicanda, idonea a determinare (o a far apparire) un pregiudizio, atto a minare l'imparzialita' della decisione conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato (cfr. Corte cost. 15 settembre 1995 n. 432, in tema di incompatibilita' tra giudice del dibattimento e g.i.p. che abbia adottato la misura cautelare nei confronti dell'indagato successivamente rinviato a giudizio). Detto indirizzo, seppure non applicabile alla ipotesi, qui esaminata, di partecipazione all'udienza preliminare da parte di g.i.p. che aveva adottato una misura cautelare coercitiva, costituisce a nuova base di partenza per l'odierno esame, da circoscriversi alla natura dei poteri cognitivi e valutativi attribuiti al giudice dell'udienza preliminare. Premesso infatti che attraverso l'emissione di provvedimento applicativo di misura cautelare personale il g.i.p. ha gia' compiuto una valutazione contenutistica dei risultati dell'istruttoria, si tratta di accertare se questa interferisce nella futura valutazione conclusiva dell'udienza preliminare. Sotto tale profilo e' ben vero che la questione e' stata gia' disattesa dalla Corte costituzionale (cfr. sentt. 25 marzo 1992 n. 124, 30 dicembre 1991 n. 502 e 12 novembre 1991 n. 401), sulla premessa che la valuazione conclusiva della udienza preliminare non integra una decisione di merito, configurabile per tradizione legislativa solo rispetto al giudizio vero e proprio, sicche' una qualsiasi attivita' del g.i.p. che in precedenza lo abbia indotto ad un giudizio di merito sarebbe inidonea a porre detto giudice in condizioni di incompatibilita' a partecipare, all'udienza preliminare, tale incompatibilita' essendo stabilita, allo stato, solo per la sua partecipazione ai giudizi dibattimentale e abbreviato. Non di meno la questione merita di essere rimessa alla Corte costituzionale la quale sara' nuovamente chiamata a verificare la natura del provvedimento conclusivo di tale udienza, alla luce del progressivo ampliamento dei poteri decisori del g.u.p. (conseguenti alla intervenuta modifica dell'art. 425 c.p.p. per effetto della legge 8 aprile 1993 n. 105), tenuto ora a valutare la ricorrenza di cause di proscioglimento non piu' con esclusivo riferimento al parametro della evidente infondatezza dell'accusa, bensi' utilizzando piu' ampie regole di giudizio attraverso il controllo di merito degli elementi probatori. Detto rafforzamento dei poteri valutativi del giudice, che in quanto non piu' limitati al mero controllo di legittimita' e correttezza delle fonti di prova, possono essere qualitativamente assimilati, restando immutato il quadro probatorio, a quelli attribuiti al giudice del dibattimento (la cui diversita' di apprezzamento, nel caso di acquisizione di nuove prove, e' solo di ordine quantitativo), determina l'inclusione della sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.p nell'ambito delle decisioni di merito, rimesse al detto giudice investito della richiesta del p.m. di rinvio a giudizio. Consegue che avendo a suo tempo il g.i.p. Di Stefano interloquito entro gli illustrati limiti decisionali nella richiesta del p.m. di applicazione della misura coercitiva, cosi' compiendo una prima valutazione contenutistica dei risultati delle indagini, egli ha adottato una pronunzia suscettibile di influenzare lo svolgimento della sua successiva attivita' e, in particolare, di condizionare la valutazione, circa la sussistenza delle condizioni per assoggettare l'imputato al giudizio di merito, che andra' ad affermare in sede di emissione del provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare. Appare pertanto in contrasto con gli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione l'art. 34, comma secondo, c.p.p., nella parte in cui non prevede detto caso di incompatibilita'. La diversita' di trattamento e' ravvisabile nei confronti di coimputato dello stesso reato nel medesimo procedimento, non raggiunto da misure cautelari personali, rispetto al quale la decisione del g.u.p. sara' frutto di un approccio valutativo non pregiudicato. La lesione del diritto di difesa e' conseguenza inevitabile del possibile condizionamento che puo' inquinare il convincimento di detto giudice, per la ridotta valenza che assumono le argomentazioni difensive di fronte alla c.d. forza della prevenzione, e cioe' a quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento. L'identita' soggettiva tra il g.i.p., che ha disposto l'applicazione di una misura cautelare personale, esprimendosi in termini di valutazione di alta probabilita' di fondamento dell'accusa, e il g.u.p., chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, e' infine idonea a determinare (o fare paventare) un pregiudizio atto a minare la garanzia costituzionale di imparzialita' del giudice, riflessa nel presidio della precostituzione del giudice naturale.