LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n. 975 r.g. affari contenziosi civili anno 1994, tra il comune di Nicolosi in persona del sindaco signor Ascenzio Borzi', rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Sangiorgio, appellante e la Monte Nero S.p.a. (ora curatela fallimento Monte Nero S.r.l.) in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Nicolo' D'Alessandro, appellata. La causa e' stata posta in decisione all'udienza di discussione del 19 gennaio 1996. Letti gli atti di causa e sentito il relatore; Rilevato che la presente controversia ha per oggetto il risarcimento del danno da illegittima occupazione di un tratto di terreno di proprieta' della societa' appellata, e che, prima dell'udienza di discussione del 19 gennaio 1996, e' entrato in vigore il comma 65 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 1995 n. 549, contenente "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica"; Considerato che la nuova normativa sembra voler incidere sulla determinazione della misura del risarcimento nelle ipotesi, come quella in esame, di occupazione appropriativa, sostituendo al criterio del valore venale pieno, fin qui pacificamente adottato, quello di cui all'art. 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1992 n. 359 per la determinazione dell'indennita' di espropriazione per le aree edificabili "in tutti i casi in cui non siano stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno"; Ritenuto che il significato della nuova legge, anche alla luce delle finalita' perseguite e delle espressioni adoperate, non puo', ad avviso del collegio, essere vanificato in via interpretativa, pur tenendo conto del tenore complessivo dell'articolo 5-bis (che appare tuttora rivolto alla determinazione dell'indennita' di espropriazione per le aree edificabili "fino all'emanazione di un'organica disciplina di tutte le espropriazioni"), e della difficolta' di adattare la procedura di cui al secondo comma alle ipotesi di risarcimento del danno da accessione invertita, nelle quali non appare ipotizzabile una cessione volontaria del bene, tanto meno prima del giudizio; Valutato che, anche con riferimento ai giudizi in corso, l'immutato tenore del comma 7 dell'art. 5-bis (per il quale nella determinazione dell'indennita' di espropriazione per i procedimenti in corso si applicano le disposizioni di cui al presente articolo) non esclude l'immediata applicabilita' della nuova normativa "in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno", e quindi, attesa la latitudine delle espressioni adoperate, in tutti i casi di giudizio non ancora concluso con sentenza passata in giudicato; Ritenuto che la nuova normativa, cosi' interpretata, sembra collidere con alcuni principi costituzionali, e segnatamente: a) con l'articolo 3 della Carta fondamentale, in quanto non solo parifica irragionevolmente fattispecie che la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto "assolutamente divaricate e non compatibili" (sentenza n. 442 del 16 diocembre 1993) ma addirittura pone il proprietario vittima dell'illecita ablazione in una condizione deteriore rispetto a quello nei cui confronti e' intervenuta una corretta procedura espropriativa; cio' perche' la misura "normale" dell'indennita', prevista dal primo comma, e' data dalla semisomma del valore venale e dei redditi dominicali dell'ultimo decennio, ridotta del quaranta per cento, e la riduzione puo' essere evitata, in ogni fase del procedimento espropriativo, solo con la cessione volontaria del bene (o comunque con la accettazione dell'indennita' determinata secondo i nuovi criteri, anche nei giudizi in corso, secondo quanto stabilito con la sentenza n. 283 del 16 giugno 1993) ma tale cessione non e' facilmente ipotizzabile (oltre che per ragioni processuali, nel caso di specie, essendo la nuova legge intervenuta poco prima dell'udienza di discussione) nella ipotesi di occupazione appropriativa, in cui non vi e' una indennita' da accettare e neppure una corretta procedura espropriativa, con offerta e determinazione preventiva della indennita'; b) ancora, sotto lo stesso profilo, sembra venire in rilevo anche l'articolo 42 della Costituzione, che garantisce la proprieta' privata e ne prevede l'espropriazione "nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo", in quanto ben diverso e' il caso di un procedimento espropriativo secundum legem (ossia nel rispetto dei presupposti formali e sostanziali che rappresentano altrettante garanzie per il proprietario espropriato), nel quale "quindi vengono in rilevo le opzioni (discrezionali) del legislatore in ordine al criterio di calcolo dell'indennita' di espropriazione" (sentenza n. 442/1993), da quello di una fattispecie che si colloca, come riconosce la stessa Corte di legittimita' delle leggi, fuori dai canoni di legalita', e nella quale quindi opera il principio di carattere assolutamente generale (qui ingiustificatamente derogato) per cui ha subito un danno per effetto di una attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro. Oltretutto, come osservato sempre dalla citata sentenza della Corte, appare pienamente giustificato che (salve le eventuali responsabilita' dei suoi organi) l'ente espropriante, il quale non faccia ricorso ad un legittimo procedimento espropriativo per acquisire l'area edificabile, "subisca conseguenze piu' gravose di quelle previste ove invece sia rispettoso dei presupposti formali e sostanziali prescritti dalla legge perche' si determini l'effetto di ablazione dell'area"; Considerato che la questione prospettata appare rilevante per il giudizio in corso, che non puo' essere definito indipendentemente dalla sua decisione, e deve quindi essere sollevata d'ufficio;