IL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza  visti  gli  atti  del
 procedimento a carico di Ragazzini Stefano, attualmente in  stato  di
 arresti  domiciliari  presso  una comunita' terapeutica, imputato dei
 reati di cui agli artt. 628 e 582, 576 c.p.;
   Rilevato  che  questo  giudice  ha  applicato misura di custodia in
 carcere ai sensi dell'art. 27 c.p.p. dopo l'emissione della misura da
 parte di  altro  giudice  che  contemporaneamente  si  e'  dichiarato
 incompetente  e che detta misura e' stata tramutata dal tribunale del
 riesame in arresti domiciliari presso una comunita' terapeutica;
   Rivelato che alla odierna udienza preliminare l'imputato  ha  fatto
 richiesta di rito abbreviato, che il p.m. ha prestato il suo consenso
 e  che  questo  giudice  ha ammesso il rito ritenendo il procedimento
 definibile allo stato degli atti;
   Rilevato che a questo punto il difensore ha sollevato eccezione  di
 incostituzionalita'  dell'art. 34, secondo comma, c.p.p. in relazione
 agli artt. 3, 24, secondo comma, della Costituzione, nella  parte  in
 cui  non prevede la incompatibilita' a partecipare al rito abbreviato
 del g.i.p. che ha  applicato  nel  corso  delle  indagini  la  misura
 cautelare,  richiamando  il  contenuto  della  sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 432/1995 e  alcune  ordinanze  di  rimessione  gia'
 pronunciate da altri giudici sullo stesso argomento;
                             O s s e r v a
   La richiesta avanzata dalla difesa, e basata sui principi affermati
 dalla  Corte  con  la  decisione  n.  432/1995,  impongono  e rendono
 doverosa la prospettazione  del  dubbio  di  costituzionalita'  anche
 della situazione del g.i.p. che dopo aver emesso una misura cautelare
 venga  poi  chiamato  a celebrare il rito abbreviato. Tale necessita'
 nasce  a  parere  di  chi  scrive  dall'invito,   implicitamente   ma
 chiaramente,  contenuto  nella sentenza citata ad affrontare da parte
 dei giudici anche questo sospetto  di  illegittimita'  costituzionale
 fondato  sulla  "possibilita'  che alcuni apprezzamenti sui risultati
 delle indagini preliminari determinino un'anticipazione  di  giudizio
 suscettibile   di   minare  l'imparzialita'  del  giudice".  L'intera
 sentenza riferisce chiaramente di analogie tra  il  caso  trattato  e
 quello  attuale  e  con  il richiamo alla necessita' di riaffermare i
 valori costituzionali di un giusto processo impone implicitamente  al
 singolo  giudice,  su richiesta di un imputato detenuto, di sollevare
 la questione.
   In via  preliminare  tuttavia,  questo  giudice  ritiene  di  dover
 valutare   anche   gli   elementi   che   militano   a  favore  della
 costituzionalita' della norma e segnala le seguenti osservazioni:
     il rito abbreviato e' si' un  giudizio  di  merito,  ma  per  sua
 natura  celebrato  da  un  giudice  che deve conoscere tutti gli atti
 d'indagine  compiuti  dal  p.m.  e  ora,  a  seguito  della  modifica
 dell'art.  38  disp.    trans.,  anche  dalla  difesa,  e  in cio' si
 distingue totalmente dal giudizio ordinario;
     i motivi per i quali il legislatore aveva  previsto  questo  rito
 erano  di  dare  all'imputato  la  possibilita' di scegliere se farsi
 giudicare o meno da un giudice che avesse cognizione piena e non solo
 eventuamente parziale degli atti d'indagine compiuti, ed  infatti  il
 rito e' una scelta dell'imputato;
     questa   incompatibilita'   creerebbe,  soprattutto  nei  piccoli
 tribunali nei  quali  spesso  vi  e'  un  unico  g.i.p.,  due  figure
 distinte,  quella  del  giudice  delle  indagini e quella del giudice
 dell'udienza,  e  cio'   oltre   che   determinare   gravi   problemi
 organizzativi,  sarebbe  in  contrasto  col principio di unicita' del
 giudice;
     la   suddetta   impostazione   comporterebbe   come   conseguenze
 inevitabili ulteriori frazionamenti delle indagini  perche'  vi  sono
 altre decisioni che impongono al giudice di effettuare la valutazione
 sui gravi indizi, come ad esempio le intercettazioni telefoniche;
     incompatibilita'  dovrebbe  necessariamente investire non solo il
 giudice che ha applicato la misura ma anche quello  che  comunque  ha
 deciso  su  una  misura,  ben  potendo  esserci  casi  nei  quali pur
 valutandosi i gravi indizi non  si  ritenga  sussistano  le  esigenze
 cautelari,  ed  anche  il  giudice  che  ha rigettato la richiesta di
 applicazione della misura in quanto ha comunque espresso un  giudizio
 sulla  non  esistenza  di gravi indizi, e tutto cio' distruggerebbe i
 principi di economicita'  delle  risorse  umane  nella  gestione  dei
 procedimenti  ed  in  ultimo  l'intera  impostazione  del  codice  di
 procedura;
     in molti casi concreti non e' affatto vero che  il  giudizio  che
 presiede  all'applicazione di una misura sia definitivo, ma spesso e'
 basato solo su atti forniti dalla p.g. o dal p.m. senza  che  si  sia
 instaurato  alcun  contraddittorio  e  quindi  grazie  agli  obblighi
 imposti dai nuovi art. 291, primo comma, e 292, comma 2-c-bis e 2-ter
 c.p.p. la rivalutazione dei gravi indizi e delle  esigenze  cautelari
 e' divenuto un principio inderogabile del sistema ed uno strumento di
 controllo;
     tale situazione diventa conclamata ogni qualvolta la misura viene
 applicata  in  sede  di  convalida dell'arresto o del fermo o come in
 questo caso come mera reiterazione di altra emessa da giudice che  si
 ritiene incompetente;
     la riforma della custodia cautelare che ha determinato la Corte a
 pronunciare    la    incostituzionalita'    richiamata,   mentre   ha
 profondamente  inciso  sulle  esigenze  cautelari  non  ha   innovato
 minimamente  sulla  valutazione  dei  gravi  indizi  se non imponendo
 obblighi di motivazione ulteriori e piu' specifici;
     la    totale    equiparazione    che    detta    eccezione     di
 incostituzionalita'  contiene  tra  giudice  che  conosce  e  giudice
 prevenuto contravviene a ogni principio  deontologico,  logico  e  di
 economia processuale.
   Queste  obiezioni  non consentono certo di eliminare il sospetto di
 incostituzionalita' della norma e i principi del  giusto  processo  e
 della imparzialita' assoluta del giudice richiamati dalla Corte nella
 sentenza  impongono  di  dichiarare  non  manifestamente infondata la
 eccezione sollevata dalla  difesa,  intendendosi  qui  riportata  per
 intero,  questione  inoltre  chiaramente rilevante nel procedimemo di
 cui ci si occupa.