ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e  3  della
 legge  25  febbraio  1992,  n.  210 (Indennizzo a favore dei soggetti
 danneggiati  da  complicanze  di  tipo  irreversibile  a   causa   di
 vaccinazioni   obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione  di
 emoderivati), promosso con ordinanza emessa il  19  aprile  1995  dal
 pretore  di  Firenze nel procedimento vertente tra Brogini Roberto ed
 altra, n.q., e  Ministero  della  sanita'  iscritta  al  n.  417  del
 registro  ordinanze  1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto l'atto di costituzione di Brogini Roberto ed altra;
   Udito  nella  udienza  pubblica  del  23  gennaio  1996  il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Udito l'avvocato Sergio Grasselli per Brogini Roberto ed altra.
                           RITENUTO IN FATTO
   1. - Nel  corso  di  un  giudizio  civile,  promosso  dai  genitori
 esercenti  la  potesta' sul minore (nato il 26 marzo 1978) colpito da
 invalidita' permanente  a  seguito  della  vaccinazione  obbligatoria
 antipolio  cui  era  stato  sottoposto nel luglio 1978, e diretto sia
 alla richiesta di una diversa decorrenza dell'indennizzo riconosciuto
 sia alla determinazione di una misura superiore di esso,  il  pretore
 di  Firenze,  con  ordinanza  del  19  aprile  1995, ha sollevato, in
 riferimento all'art. 32 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale degli artt.  2 e 3 della legge 25  febbraio  1992,  n.
 210  (Indennizzo  a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di
 tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie,  trasfusioni
 e  somministrazione  di emoderivati) "nella parte in cui, nel caso di
 incidente vaccinale verificatosi anteriormente alla data  di  entrata
 in  vigore della legge stessa, fanno decorrere l'indennizzo dal primo
 giorno  del  mese  successivo  alla   presentazione   della   domanda
 posteriore  alla  legge  medesima,  e  non  dal verificarsi del danno
 all'integrita' fisico-psichica, o dalla conoscenza che di esso  abbia
 l'avente  diritto,  come  invece  e'  previsto  per  i  casi insorti"
 successivamente alla entrata in vigore della legge medesima.
   Il giudice a quo, premesso che la "sussistenza  e  la  causa  della
 menomazione  sono  comprovati in atti e sono stati accertati, in sede
 amministrativa, con le procedure di cui all'art. 4  della  legge",  e
 ravvisata  la  rilevanza  della  questione dal momento che "dalla sua
 soluzione  dipende  la  possibilita'  di   accogliere   la   domanda,
 quantomeno   sotto   l'aspetto   della   decorrenza  temporale  della
 prestazione attualmente goduta (il che potrebbe riflettersi anche sul
 capo  di  domanda  relativo  al  quantum)",  osserva  che  il  tenore
 dell'art. 3, comma 7, della legge, - ai sensi del quale e' concesso a
 coloro   che   abbiano   subi'to   menomazioni,   pregresse  rispetto
 all'entrata in vigore della legge stessa, il termine di tre  anni  da
 quest'ultima  data per la presentazione della domanda di indennizzo -
 non consente di interpretare in senso  retroattivo  il  disposto  del
 precedente  art. 2, comma 2, della legge che subordina la prestazione
 economica alla domanda, facendola decorrere  dal  mese  successivo  a
 quello di presentazione della domanda stessa.
   Esclusa  quindi  la  possibilita'  -  anche  per  il concorso degli
 ulteriori elementi documentali prescritti dall'art. 2, commi 4 e 5  -
 di  considerare utili le domande presentate anteriormente all'entrata
 in vigore della  legge,  cosi'  come,  agli  stessi  fini,  tutte  le
 precedenti  manifestazioni  di  volonta'  (nella specie, in concreto,
 intervenute),  nell'ordinanza  di  rimessione  si  sostiene  che   la
 normativa  impugnata,  nella  parte  in cui fa decorrere l'indennizzo
 dalla  domanda  presentata  dopo  la  legge  n.  210  e  non   invece
 dall'effettivo  insorgere  del  danno  alla  persona o comunque dalla
 conoscenza che di esso abbia l'avente diritto  nel  caso  in  cui  il
 danno sia insorto precedentemente, contrasterebbe con l'art. 32 della
 Costituzione  perche'  non  assicurerebbe  al  soggetto  leso, per il
 passato,  quella  "protezione  ulteriore"  della   quale   la   Corte
 costituzionale,  con  la  sentenza  n.  307  del  1990,  ha ravvisato
 l'indefettibile  necessita'  allorche'  si  verifichi  un  danno alla
 salute, "seppur non riferibile a  responsabilita'  di  alcuno",  reso
 possibile   dal  trattamento  di  vaccinazione  obbligatoria  imposto
 nell'interesse della collettivita'.
   La  decorrenza   del   beneficio   cosi'   determinata   priverebbe
 l'interessato  di  quell'indennita' che il principio di solidarieta',
 invocato da questa Corte nella sentenza citata,  reclamerebbe  invece
 fin  dal  configurarsi  della menomazione, cosi' come poi avviene per
 gli incidenti verificatisi dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge,
 potendo  la  domanda di indennizzo essere proposta non appena risulti
 la conoscenza del danno.
   2. - Si sono costituite le  parti  private,  ovverosia  i  genitori
 esercenti  la potesta' sul minore, esponendo in fatto che, in seguito
 alla menomazione del loro figlio  -  consistita  in  una  invalidita'
 permanente  con  paralisi  flaccida degli arti ed impossibilita' alla
 deambulazione autonoma - avevano  presentato,  in  data  19  novembre
 1981,  domanda  di  riconoscimento  di  invalidita' civile che veniva
 accolta il 16 settembre 1982,  e  che  in  piu'  occasioni  si  erano
 rivolti   ad   uffici   pubblici   sanitari  per  ottenere  anche  il
 risarcimento per i danni subi'ti, ricevendo pero' risposte negative.
   Nel marzo del 1991 - a seguito della notizia del  risarcimento  del
 danno  riconosciuto  dal  tribunale di Milano a persona contagiata da
 soggetto vaccinato nonche' della sentenza n. 307 del 1990  di  questa
 Corte  -  gli  interessati  chiedevano  formalmente l'attribuzione, a
 carico dello Stato, di un  indennizzo  a  favore  del  figlio,  e,  a
 seguito  dell'entrata  in vigore della legge n. 210 del 1992, in data
 27 aprile 1992 rinnovavano la formale domanda di indennizzo. Svolti i
 necessari  accertamenti  ed  accolta  la  domanda,  veniva  liquidato
 l'indennizzo  annuo a decorrere "dal primo giorno del mese successivo
 a quello di presentazione della domanda formulata  sulla  base  della
 legge  n.    210"  cit., senza tener conto delle precedenti richieste
 tendenti ad una decorrenza del beneficio anticipata.
   A sostegno delle considerazioni svolte nell'ordinanza di rimessione
 le parti private osservano che, una volta che lo Stato  riconosce  la
 propria   responsabilita'  per  i  danni  prodotti  alla  salute  dei
 cittadini da eventi temporalmente individuati, non possono poi essere
 fissati limiti alla decorrenza del diritto  al  risarcimento  in  una
 data,  arbitrariamente indicata, diversa da quella in cui l'evento si
 e' verificato, senza che cio' implichi una  violazione  dell'art.  32
 della  Costituzione  che  assicura  la tutela del diritto alla salute
 senza limitazioni temporali.
   Rilevano altresi' che, in  tema  di  pensioni  militari  per  fatti
 bellici  (materia  di  cui  sottolineano  l'analogia con quella degli
 indennizzi per danni a seguito di vaccinazioni obbligatorie, a  causa
 del ricorrere in entrambe dell'interesse della collettivita'), l'art.
 98  della  legge  23  dicembre  1978  n.  915  obbliga  l'ospedale  o
 l'istituto, che effettua la visita  di  controllo  del  militare  per
 l'accertamento delle menomazioni che comportano il diritto a pensione
 o  ad assegno di guerra, a rimettere d'ufficio la documentazione alla
 competente  commissione  medica  per  gli  accertamenti  sanitari  e,
 comunque,  l'art. 23 della stessa legge fa decorrere l'indennizzo per
 fatti di guerra dalla data  dell'evento.  Il  differente  trattamento
 riservato   a   coloro   che  abbiano  subi'to  danni  a  seguito  di
 vaccinazioni obbligatorie appare tanto piu'  ingiustificato,  ove  si
 consideri  che  la  poliomielite  e'  malattia  soggetta  a  denuncia
 obbligatoria da parte  dei  sanitari  che  la  rilevano  e  lo  Stato
 potrebbe  quindi  agevolmente  individuare  i  casi  da sottoporre ad
 accertamento,  senza  richiedere  domanda  di  sorta  da  parte   dei
 cittadini.
   Inoltre  la legge n. 210 creerebbe una ingiustificata disparita' di
 trattamento tra soggetti che  abbiano  subi'to  lo  stesso  danno  da
 vaccinazione  in  momenti  diversi;  difatti  la  mancata  previsione
 dell'indennizzo per il periodo compreso tra  il  momento  dell'evento
 (vaccinazione)  e  il momento della domanda si configurerebbe come un
 ostacolo d'ordine economico e sociale che perdura  nel  tempo  e  che
 l'art.  3,  secondo comma, della Costituzione impone di rimuovere fin
 dal suo sorgere.
   3. - In prossimita' dell'udienza le parti private hanno  presentato
 una  memoria  nella  quale  hanno  segnalato  che,  nel  procedimento
 legislativo di conversione del decreto-legge 29 aprile 1995, n.  135,
 era  stata  introdotta una norma sulla decorrenza dell'indennizzo per
 danno  da  vaccinazione  obbligatoria  dal  momento  della   lesione,
 riconoscendosi  cosi'  l'esigenza  di  tutelare  in  modo completo il
 diritto assoluto e inviolabile dell'individuo  alla  propria  salute,
 anche nel suo contenuto economico.
   Il   decreto-legge   veniva   approvato  da  entrambi  i  rami  del
 Parlamento, ma la legge di conversione veniva  rinviata  allo  stesso
 Parlamento per mancanza di copertura finanziaria.
   Cio'  posto,  nella  memoria  si  chiede  che  la  Corte, una volta
 chiarito   se    quanto    accaduto    costituisca    "riconoscimento
 stragiudiziale  del  diritto  almeno nei confronti dei ricorrenti che
 hanno agito in giudizio", estenda il  proprio  giudizio  anche  sulla
 misura dell'indennizzo "palesemente non adeguata all'estrema gravita'
 dei  danni  biologici subi'ti dall'interessato, anche in relazione ai
 danni che gli derivano in ordine alla vita di relazione ed  alla  sua
 capacita' lavorativa, derivati pur sempre dalla vaccinazione".
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il  pretore  di  Firenze  solleva  di  fronte a questa Corte
 questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  2  e  3  della
 legge  25  febbraio  1992,  n.  210 (Indennizzo a favore dei soggetti
 danneggiati  da  complicanze  di  tipo  irreversibile  a   causa   di
 vaccinazioni   obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione  di
 emoderivati), nella parte in cui stabiliscono che l'indennizzo per il
 danno derivante da vaccinazione obbligatoria "ha decorrenza dal primo
 giorno  del  mese  successivo  a  quello  della  presentazione  della
 domanda"  intesa  ad  ottenerlo  e  che "per coloro che, alla data di
 entrata in vigore della ... legge hanno gia' subi'to  la  menomazione
 ...,  il  termine  (per la presentazione della domanda) decorre dalla
 data di entrata  in  vigore  della  legge".  Ad  avviso  del  giudice
 rimettente,  le  norme suddette si porrebbero in contrasto con l'art.
 32 della Costituzione che tutela la salute "come fondamentale diritto
 dell'individuo  e  interesse  della  collettivita'",  in  quanto  non
 garantirebbero  un'indennizzabilita'  temporalmente piena a favore di
 coloro che abbiano subi'to menomazioni da  vaccinazione  obbligatoria
 nel tempo anteriore alla legge in questione.
   2.  - La parte privata, nei suoi atti difensivi, prospetta altresi'
 una  censura   di   incostituzionalita'   in   ordine   alla   misura
 dell'indennizzo  prevista  dalla legge impugnata. Ma tale censura non
 puo' trovare  accesso  nel  giudizio,  i  cui  termini  sono  fissati
 nell'atto introduttivo nei limiti teste' indicati.
   3.  - Deve innanzitutto essere chiarita la portata della denunciata
 disciplina della legge n. 210 del  1992,  in  relazione  agli  eventi
 dannosi  alla salute verificatisi in epoca anteriore alla sua entrata
 in vigore.
   L'art. 1, comma 1, stabilisce  con  norma  generale  che  "chiunque
 abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per
 ordinanza  di una autorita' sanitaria italiana, lesione o infermita',
 dalle quali sia derivata una menomazione permanente della  integrita'
 psico-fisica,  ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle
 condizioni e nei modi" che la legge stessa stabilisce negli  articoli
 seguenti.
   Con  altra  norma  di  portata altrettanto generale, l'art. 2, dopo
 aver  determinato   al   comma   1   la   struttura   e   l'ammontare
 dell'indennizzo,  al  comma  2  ne stabilisce la decorrenza dal primo
 giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda
 intesa ad ottenerlo.
   Tale domanda, secondo l'art. 3, comma 1, nel caso  di  vaccinazione
 obbligatoria, deve essere presentata al Ministero della sanita' entro
 3  anni. La decorrenza del triennio tuttavia e' diversa a seconda che
 il  danno  si  sia  verificato  in  epoca  successiva   o   anteriore
 all'entrata  in  vigore  della  legge.  Nel  primo  caso, il triennio
 decorre  dal  momento  della  conoscenza  del  danno;  nel   secondo,
 dall'entrata in vigore della legge (art. 3, comma 7).
   Le norme richiamate sono dunque chiare nel prevedere che gli eventi
 ante  legem, al pari di quelli post legem, sono indennizzabili e che,
 tanto per gli uni che  per  gli  altri,  la  decorrenza  del  diritto
 all'indennizzo  e'  fissata  al primo giorno del mese successivo alla
 presentazione della domanda. Percio', coloro che abbiano  subi'to  il
 danno  in  epoca  anteriore  all'entrata  in  vigore  della legge non
 potranno essere indennizzati che  per  il  periodo  successivo.  Essi
 sono,  per  cosi'  dire,  rimessi in termini ma solo proceduralmente,
 essendo loro consentito di presentare domanda anche oltre il triennio
 dall'evento (ma comunque entro il  triennio  dall'entrata  in  vigore
 della legge), non anche - per dir cosi' - sostanzialmente, valendo il
 previsto indennizzo soltanto per il tempo successivo alla domanda.
   Questa   disciplina   e'   tuttora   vigente,   pur  essendo  stata
 riconsiderata dal legislatore in sede di  conversione  in  legge  del
 decreto-legge 29 aprile 1995, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia
 di  assistenza  farmaceutica e di sanita'), nono decreto-legge di una
 serie  che  continua  tuttora  ed  e'  giunta  alla   quattordicesima
 reiterazione   (decreto-legge  26  febbraio  1996,  n.  89).  Con  un
 emendamento all'art. 6 del suindicato decreto-legge n. 135 del  1995,
 approvato tanto dalla Camera dei deputati (sedute del 17 maggio 1995,
 in prima lettura, e del 28 giugno 1995 in seconda lettura) quanto dal
 Senato   della  Repubblica  (seduta  del  21  giugno  1995),  si  era
 riconosciuto il principio dell'indennizzabilita' temporalmente piena,
 estendendo la decorrenza dell'indennizzo al tempo passato, dal  primo
 giorno  del  mese  successivo a quello in cui l'avente diritto avesse
 riportato la lesione o  l'infermita'.  Tale  innovazione  non  si  e'
 peraltro  tradotta  in una modifica delle norme impugnate, poiche' la
 legge di conversione, rinviata alle Camere dal Presidente del  Senato
 della  Repubblica  nell'esercizio  delle funzioni di Presidente della
 Repubblica, a norma dell'art. 74 della Costituzione (messaggio del 28
 giugno  1995),  in  relazione precisamente alle nuove norme contenute
 nell'art.  6  del  decreto-legge,  come  modificato  nel  corso   del
 procedimento  di  conversione in legge, non e' stata riapprovata e la
 catena dei decreti-legge,  spogliati  dell'innovazione  suddetta,  ha
 ripreso a scorrere.
   Di  qui  la presente questione di costituzionalita', essendo data a
 tutt'oggi  l'indennizzabilita'  temporalmente  solo  parziale,  cioe'
 esclusivamente  per  il  futuro,  degli  eventi  dannosi derivanti da
 vaccinazione    antipoliomielitica     obbligatoria,     verificatisi
 anteriormente  all'entrata  in  vigore  della  legge: indennita' solo
 parziale che risulta dal combinato disposto degli artt. 2, comma 2, e
 3, comma 7, che devono ritenersi le norme in concreto impugnate.
   4. - L'esatto inquadramento del problema di  costituzionalita'  che
 la  Corte  e'  chiamata a risolvere presuppone la chiarificazione del
 significato del diritto costituzionale alla salute con riferimento al
 caso in cui  la  sua  dimensione  individuale  confligga  con  quella
 collettiva,  ipotesi  che  puo'  ricorrere  tipicamente  nei  casi di
 trattamenti sanitari obbligatori, tra i quali rientra la vaccinazione
 antipoliomielitica.
   La disciplina  costituzionale  della  salute  comprende  due  lati,
 individuale  e  soggettivo l'uno (la salute come fondamentale diritto
 dell'individuo),  sociale  e  oggettivo  l'altro  (la   salute   come
 interesse  della  collettivita').    Talora  l'uno  puo'  entrare  in
 conflitto con l'altro, secondo un'eventualita' presente nei  rapporti
 tra  il  tutto e le parti. In particolare - questo e' il caso che qui
 rileva - puo'  accadere  che  il  perseguimento  dell'interesse  alla
 salute  della collettivita', attraverso trattamenti sanitari, come le
 vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il  diritto  individuale  alla
 salute,  quando  tali trattamenti comportino, per la salute di quanti
 ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate,  pregiudizievoli
 oltre il limite del normalmente tollerabile.
   Tali  trattamenti  sono  leciti,  per testuale previsione dell'art.
 32, secondo comma, della Costituzione, il quale li assoggetta ad  una
 riserva  di  legge, qualificata dal necessario rispetto della persona
 umana e ulteriormente specificata da questa Corte, nella sentenza  n.
 258   del  1994,  con  l'esigenza  che  si  prevedano  ad  opera  del
 legislatore tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare  il
 rischio  di  complicanze.  Ma  poiche'  tale  rischio  non  sempre e'
 evitabile,  e'  allora  che  la  dimensione  individuale   e   quella
 collettiva  entrano  in  conflitto.  Il  caso  da cui trae origine il
 presente  giudizio  di  costituzionalita'  ne  e'  un   esempio.   La
 vaccinazione   antipoliomielitica  comporta  infatti  un  rischio  di
 contagio,  preventivabile  in  astratto  -  perche'   statisticamente
 rilevato - ancorche' in concreto non siano prevedibili i soggetti che
 saranno  colpiti  dall'evento dannoso. In questa situazione, la legge
 che impone l'obbligo  della  vaccinazione  antipoliomielitica  compie
 deliberatamente   una   valutazione  degli  interessi  collettivi  ed
 individuali  in  questione,  al  limite  di  quelle  che  sono  state
 denominate  "scelte tragiche" del diritto: le scelte che una societa'
 ritiene  di  assumere  in  vista  di  un  bene  (nel   nostro   caso,
 l'eliminazione della poliomielite) che comporta il rischio di un male
 (nel  nostro  caso,  l'infezione che, seppur rarissimamente, colpisce
 qualcuno dei suoi componenti). L'elemento tragico sta  in  cio',  che
 sofferenza  e  benessere  non  sono equamente ripartiti tra tutti, ma
 stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri.
   Finche'  ogni  rischio  di  complicanze  non  sara'   completamente
 eliminato  attraverso  lo  sviluppo  della scienza e della tecnologia
 mediche - e per la vaccinazione antipoliomielitica non e' cosi' -, la
 decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria  apparterra'  a
 questo genere di scelte pubbliche.
   5.   -   L'anzidetto   carattere  della  vaccinazione  obbligatoria
 antipoliomielitica, in un ordinamento come e' il nostro, orientato  a
 riconoscere  valore  fondamentale alla persona come individuo (art. 2
 della Costituzione), comporta una condizione da  cui  ne  dipende  la
 legittimita',  condizione  ulteriore rispetto a quelle prescritte nel
 secondo comma dell'art.   32 della  Costituzione  -  quasi  un  altro
 elemento  di  rafforzamento  della  riserva  di  legge ivi prevista -
 secondo quanto e' chiarito nella sentenza n. 307 del 1990  di  questa
 Corte,  la quale costituisce il necessario punto di riferimento della
 presente decisione.
   In quell'occasione la Corte  costituzionale  ha  affermato  che  il
 rilievo dalla Costituzione attribuito alla salute in quanto interesse
 della collettivita', se e' normalmente idoneo da solo "a giustificare
 la  compressione  di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce
 al diritto di ciascuno alla salute in quanto  diritto  fondamentale",
 cioe'  a  escludere la facolta' di sottrarsi alla misura obbligatoria
 (si veda, altresi' la sentenza n. 258 del 1994),  non  lo  e'  invece
 quando   possano   derivare   conseguenze   dannose  per  il  diritto
 individuale alla salute. Impregiudicato qui il problema  del  rilievo
 da   riconoscersi   all'obiezione  di  coscienza  nei  confronti  dei
 trattamenti medicali, in nome del dovere di  solidarieta'  verso  gli
 altri  e'  possibile  che  chi ha da essere sottoposto al trattamento
 sanitario (o, come nel caso della vaccinazione antipoliomielitica che
 si pratica nei primi mesi  di  vita,  chi  esercita  la  potesta'  di
 genitore  o  la  tutela)  sia  privato  della  facolta'  di  decidere
 liberamente.  Ma  nessuno  puo'  essere  semplicemente   chiamato   a
 sacrificare  la  propria  salute  a  quella degli altri, fossero pure
 tutti gli altri. La  coesistenza  tra  la  dimensione  individuale  e
 quella   collettiva  della  disciplina  costituzionale  della  salute
 nonche'  il  dovere  di  solidarieta'  che  lega  il   singolo   alla
 collettivita', ma anche la collettivita' al singolo, impongono che si
 predisponga,  per  quanti  abbiano  ricevuto  un  danno  alla  salute
 dall'aver ottemperato  all'obbligo  del  trattamento  sanitario,  una
 specifica  misura  di  sostegno  consistente  in  un equo ristoro del
 danno.  Un ristoro, occorre aggiungere, dovuto per il semplice  fatto
 obiettivo   e   incolpevole  dell'aver  subi'to  un  pregiudizio  non
 evitabile, in un'occasione  dalla  quale  la  collettivita'  nel  suo
 complesso  trae  un  beneficio:  dovuto  dunque indipendentemente dal
 risarcimento  in  senso  proprio  che  potra'  eventualmente   essere
 richiesto  dall'interessato,  ove  ricorrano  le  condizioni previste
 dall'art. 2043 del  codice  civile.    E,  mentre  la  tutela  contro
 l'illecito  predisposta  dalla  norma  menzionata  ha necessariamente
 effetti risarcitori pieni anche del danno alla salute in quanto  tale
 -  secondo  la  "fermissima" giurisprudenza di questa Corte (sentenze
 nn. 455 del 1990, 1011 e 992 del 1988, 559 del 1987, 184 del  1986  e
 88  del 1979) -, non altrettanto e' per l'indennizzo in questione, il
 quale prescinde dalla colpa  e  deriva  dall'inderogabile  dovere  di
 solidarieta'  che,  in questi casi, incombe sull'intera collettivita'
 e, per essa, sullo Stato. Si  tratta  di  una  misura  che,  pur  non
 potendo  essere  irrisoria  e  -  come anche ha precisato la suddetta
 sentenza (n. 307 del 1990) - pur dovendo tenere  conto  di  tutte  le
 componenti del danno stesso, ha natura equitativa.
   Il   necessario   collegamento,  come  condizione  di  legittimita'
 costituzionale, che questa Corte ha affermato doverci essere  tra  la
 previsione  legislativa  dell'obbligo  di sottoporsi a vaccinazione e
 l'indennizzabilita' del pregiudizio da essa derivante,  rende  palese
 la  differenza  tra questa e tutte le altre evenienze in cui, in nome
 della solidarieta', la collettivita' assuma su di se',  totalmente  o
 parzialmente,  le  conseguenze  di eventi dannosi fortuiti e comunque
 indipendenti da decisioni che la  societa'  stessa  abbia  preso  nel
 proprio interesse. Nella prima ipotesi - che e' quella della sentenza
 n. 307 del 1990 e anche quella su cui cade la presente decisione - la
 solidarieta'  non  implica  soltanto,  come  invece nella seconda, un
 dovere al quale  il  legislatore  possa  dare  seguito  secondo  quei
 criteri   di   discrezionalita'   e   quella  necessaria  ragionevole
 ponderazione  con  altri   interessi   e   beni   di   pari   rilievo
 costituzionale   che   valgono   per  i  diritti  previsti  da  norme
 costituzionali   a   efficacia   condizionata   all'intervento    del
 legislatore (sentenza n. 455 del 1990), ma comporta un vero e proprio
 obbligo,  cui  corrisponde  una  pretesa  protetta direttamente dalla
 Costituzione.
   Si tratta percio' di un obbligo avente uno speciale carattere.  Per
 la collettivita' e' in questione non soltanto il  dovere  di  aiutare
 chi  si trova in difficolta' per una causa qualunque, ma l'obbligo di
 ripagare il sacrificio che taluno si trova a subi're per un beneficio
 atteso dall'intera collettivita'. Sarebbe contrario al  principio  di
 giustizia, come risultante dall'art. 32 della Costituzione, alla luce
 del  dovere  di  solidarieta'  stabilito dall'art. 2, che il soggetto
 colpito venisse abbandonato alla sua sorte e alle sue sole risorse  o
 che  il  danno  in  questione  venisse  considerato come un qualsiasi
 evento imprevisto al quale si sopperisce  con  i  generali  strumenti
 della   pubblica   assistenza,   ovvero  ancora  si  subordinasse  la
 soddisfazione   delle   pretese    risarcitorie    del    danneggiato
 all'esistenza  di  un  comportamento negligente altrui, comportamento
 che potrebbe mancare.
   6. - Riassumendo con ordine, la menomazione della salute  derivante
 da   trattamenti   sanitari   puo'  determinare  una  di  queste  tre
 conseguenze:    a)  il  diritto  al  risarcimento  pieno  del  danno,
 riconosciuto   dall'art.     2043  del  codice  civile,  in  caso  di
 comportamenti  colpevoli;  b)  il  diritto  a  un  equo   indennizzo,
 discendente  dall'art.  32  della  Costituzione  in  collegamento con
 l'art. 2, ove il danno, non derivante da fatto  illecito,  sia  stato
 subi'to  in  conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale; c) il
 diritto, a norma degli artt. 38 e 2 della Costituzione, a  misure  di
 sostegno   assistenziale   disposte   dal   legislatore,  nell'ambito
 dell'esercizio   costituzionalmente   legittimo   dei   suoi   poteri
 discrezionali, in tutti gli altri casi.
   7.  -  L'art.  1  della  impugnata  legge n. 210 del 1992 prevede -
 secondo il titolo della legge stessa - un "indennizzo  a  favore  dei
 soggetti  danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di
 vaccinazioni  obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione   di
 emoderivati".  Le ipotesi ivi previste sono assai varie, dal punto di
 vista tanto del tipo di danno, quanto  dei  soggetti  indennizzabili.
 Circa  il  danno,  si  tratta di menomazioni permanenti, di qualsiasi
 tipo,  da  vaccinazioni  obbligatorie,  di  infezioni  da   HIV,   da
 somministrazione   di   sangue   e   suoi   derivati   e  di  epatite
 post-trasfusionale. Quanto ai soggetti,  si  tratta,  a  seconda  dei
 casi,  di persone giuridicamente obbligate, semplicemente necessitate
 o non obbligate al  trattamento  medico,  di  persone  sottoposte  al
 trattamento o di persone entrate in contatto con soggetti infetti per
 qualsiasi  motivo,  ovvero  per  ragioni  attinenti  all'esercizio di
 professioni sanitarie. Questa complessa casistica non si presta a una
 valutazione unitaria, alla stregua  della  anzidetta  ricapitolazione
 tripartita.  Per  questa  ragione,  le  conclusioni  cui  qui si deve
 pervenire in ordine al diritto all'indennizzo dei  soggetti  colpiti,
 senza  colpa  di  altri,  da  menomazioni  conseguenti a vaccinazione
 obbligatoria antipoliomielitica non  possono  ritenersi  di  per  se'
 estensibili a tutte le altre ipotesi previste dall'art. 1 della legge
 in questione.
   8.  - L'ascrivibilita' all'anzidetta ipotesi sub b) (v. par. n.  6)
 della  situazione  giuridica  propria   dei   soggetti   colpiti   da
 menomazione  a seguito di vaccinazione antipoliomielitica spiega come
 questa Corte, con la sentenza n. 307 del 1990, abbia potuto non  solo
 dichiarare  l'incostituzionalita'  della legge 4 febbraio 1966, n. 51
 (Obbligatorieta' della vaccinazione antipoliomielitica), perche'  non
 prevedeva  alcuna  indennita' a carico dello Stato a favore di coloro
 che  avessero  subi'to  conseguenze  menomanti  la  loro  salute,  ma
 altresi'  dichiarare,  attraverso  l'applicazione diretta della norma
 costituzionale anche in  questo  caso,  l'esistenza  del  diritto  di
 costoro  a  ottenere  un  equo indennizzo, demandandone al giudice la
 quantificazione in  concreto,  fino  a  quando  -  si  intende  -  il
 legislatore non fosse intervenuto in materia.
   Cio'  e' avvenuto con la legge n. 210 del 1992, la quale ha operato
 la quantificazione dell'indennizzo e ha precisato  le  modalita'  per
 far  valere  la pretesa dell'indennizzo medesimo, cosi' dando seguito
 alla pronuncia della Corte costituzionale, del riferimento alla quale
 i    lavori    preparatori    portano    traccia    abbondante.    Ma
 contemporaneamente,  l'impugnato  art. 2, comma 2, in connessione con
 l'art. 3, comma  7,  ha  stabilito  una  limitazione  temporale,  che
 equivale   ad   una  riduzione  parziale  del  danno  indennizzabile:
 limitazione che risulta inammissibile alla stregua della  natura  del
 diritto  che  deve  essere  riconosciuto ai danneggiati, un diritto -
 come si e' visto - che il legislatore puo' modellare  equitativamente
 soltanto  circa  la misura. La disciplina impugnata, per la parte che
 interessa la presente questione di costituzionalita',  pertanto,  non
 soltanto  si e' posta contro il diritto alla salute sancito dall'art.
 32 della Costituzione, ma ha altresi' contraddetto la sentenza n. 307
 del 1990 di questa Corte, nella quale il riconoscimento  dell'obbligo
 di assicurare protezione alle vittime della vaccinazione obbligatoria
 antipoliomielitica  non  trovava particolari limitazioni di carattere
 temporale.
   La  dichiarazione  di  incostituzionalita'  che  si  rende   dunque
 necessaria  colpisce  le norme impugnate nella parte in cui escludono
 il diritto a un indennizzo per  il  tempo  anteriore  all'entrata  in
 vigore  della  legge e conduce, come conseguenza, a ripristinare, per
 quel  tempo,  la  portata  della  sentenza della Corte costituzionale
 illegittimamente ridotta. Pertanto, a coloro i quali abbiano  subi'to
 un    danno    da   vaccinazione   obbligatoria   antipoliomielitica,
 direttamente  o  anche  indirettamente,   a   causa   dell'assistenza
 personale prestata ai primi - come si ebbe a precisare nella sentenza
 n.  307  del  1990  -  spetta,  per  il  danno patito dal momento del
 manifestarsi dell'evento dannoso fino all'ottenimento dell'indennizzo
 previsto dalla legge, un equo ristoro determinato  alla  stregua  dei
 criteri indicati dalla predetta decisione di incostituzionalita'.