IL PRETORE
   Verificate  l'ammissibilita',  tempestivita'  e  regolarita'  della
 domanda  e del versamento, la data di ultimazione dei lavori entro il
 termine  del  31  dicembre  1993,  la  volumetria  entro   i   limiti
 prescritti,  viene  in  rilievo  il  riconoscimento della sussistenza
 della causa di  improcedibilita'  sopravvenuta  e  della  fattispecie
 estintiva del cosiddetto condono edilizio o, piu' precisamente, della
 "definizione  agevolata  delle  violazioni edilizie" ex art. 39 della
 legge 23 dicembre 1994, n. 724.
   Il legislatore con la disciplina del nuovo condono edilizio  si  e'
 posto  nell'antico filone di produzione normativa che scinde il reato
 dalla punibilita', scinde, cioe', la lesione del bene tutelato  dalla
 norma penale, dal dover essere della pena, successivo alla lesione.
   Questo  tipo  di scelta pone un problema di inquadramento dogmatico
 dell'istituto  e  impone  un  esame  dei  suoi  effetti  sul  sistema
 repressivo,  con  particolare  riferimento al nesso tra rinuncia alla
 pretesa punitiva  e  realizzazione  dell'esigenza  della  prevenzione
 generale   della   normativa   penale   interessata,   esigenza   che
 l'indefettibilita' della pena tende ad assicurare.
   Quanto al primo problema interpretativo, la Corte costituzionale ha
 suggerito - con la sentenza n. 369/1988 - di considerare  il  condono
 edilizio  come  "causa di improcedibilita' sopravvenuta, tenuto conto
 che  il  giudice  penale,  a  seguito   della   verificazione   della
 fattispecie  estintiva,  e'  tenuto  a  concludere  il  processo  con
 sentenza di non doversi procedere per estinzione del  reato  (formula
 usuale)".
   Giustamente  la  dottrina  ha  messo  in luce la relativa autonomia
 della punibilita' rispetto al reato e la sua possibile subordinazione
 a valutazioni estranee al piano dell'offesa realizzata.  La  sanzione
 minacciata  nella  norma penale diventa un titolo di credito, cedendo
 il  quale,  il  legislatore  intende  ottenere  dal  reo  determinate
 prestazioni,  siano  esse  antagoniste  o  meno  rispetto  all'offesa
 incriminata.
   Questa  autonomia  della  punibilita'  deve  rispettare  limiti ben
 precisi, ricavabili  dal  quadro  costituzionale,  onde  evitare  che
 all'impunita' segua un incentivo all'illegalita'.
   Nella citata sentenza la Corte ha osservato che "tutte le volte che
 si  rompe il nesso costante fra reato e punibilita' e quest'ultima e'
 usata per fini estranei  a  quelli  relativi  alla  difesa  dei  beni
 tutelati  attraverso  l'incriminazione penale, tale uso puo' incidere
 negativamente  sul  principio  di  uguaglianza  ex   art.   3   della
 Costituzione  e  deve  trovare  la  sua  giustificazione  nel  quadro
 costituzionale che determina il fondamento e i limiti dell'intervento
 punitivo dello Stato.
   La non punibilita' o la  non  procedibilita'  dovuta  a  situazioni
 successive  al  commesso  reato,  come nel caso del condono edilizio,
 deve comunque essere valutata in funzione di finalita' proprie  della
 pena: ove l'estinzione della punibilita' irrazionalmente contrastasse
 con  tali  finalita', ove risultasse veramente arbitraria, tale, come
 e' stato esattamente considerato, da svilire il  senso  stesso  della
 comminatoria  edittale  e  della  punizione non potrebbe considerarsi
 costituzionalmente  legittima  ...  La  non  punibilita'  o  la   non
 procedibilita',  di  cui  ai  moderni  condoni  penali, specie quando
 cancellano reati lesivi di  beni  fondamentali  della  comunita',  va
 usata  negli  stretti  limiti  consentiti dal sistema costituzionale;
 quest'ultimo precisa fondamento, finalita' e  limiti  dell'intervento
 punitivo   dello   Stato.      Contraddire,   vanificare,   sia  pure
 temporaneamente,  le  ragioni  prime  della  punibilita',  attraverso
 l'esercizio  arbitrario della non punibilita' equivale non soltanto a
 violare l'art. 3 della Costituzione, ma ad alterare, con il principio
 dell'obbligatorieta'  della  pena,  l'intero  "volto"   del   sistema
 costituzionale in materia penale".
   L'arbitrarieta'  dell'incongruita'  funzionale  di questo condono e
 l'impossibilita' di ricondurlo entro  limiti  funzionali  accettabili
 vengono alla luce considerando:
      A)   il  carattere  finanziario  delle  circostanze  "speciali",
 esterne al  piano  dell'offesa  del  bene  tutelato,  che  dovrebbero
 giustificare la nuova disciplina premiale;
     B)  l'incentivo  alla fiducia nell'impunita' che deriva da questa
 normativa, alla luce dell'eccezionalita', unicita' ed irrepetibilita'
 del  condono  del  1985,  disegnate  a  sostegno  della  legittimita'
 costituzionale di quest'ultimo.
    La  scaturigine  prima del provvedimento in esame - come si evince
 dall'andamento dei lavori parlamentari - non si riconduce tanto  alla
 esigenza  di  regolarizzare  l'abusivismo  edilizio  di  massa, ma si
 colloca nel contesto di una manovra finanziaria, nella prospettiva di
 ampliare le  entrate  e  di  ridurre  il  deficit  con  provvedimento
 extra-ordinem.
   Secondo  l'esponente  di maggioranza Dotti, uno stato di necessita'
 ha imposto il reperimento immediato di risorse attraverso  l'atto  di
 clemenza  (seduta  della  Camera  14  novembre 1994). La finalita' di
 carattere  finanziario,  al  di  la'   delle   ammissioni   dell'area
 governativa, trova dimostrazione:
      1) nell'affannosa reiterazione di decreti-legge e nella rincorsa
 verso la riapertura dei termini per sollecitare nuove domande e nuovi
 versamenti,  culminate  nella  questione di fiducia, posta a garanzia
 della rapida approvazione della nuova disciplina;
     2)  nella  collocazione  dell'atto  di  clemenza  della  legge di
 bilancio, tra spese ed entrate;
     3) nella rilevanza, per  esigenze  di  equita'  contributiva,  di
 minorate  condizioni  reddituali  (art.  39,  commi  13  e  15) nella
 determinazione dell'importo  della  somma  da  versare  a  titolo  di
 oblazione.
    Le  finalita'  economiche  e  finanziarie  del  precedente condono
 edilizio  non  sono  sfuggite  alla   Corte   costituzionale,   nella
 suindicata  decisione  e in quella n. 427/1995 anche se il rifiuto di
 collocare il condono edilizio tra le eccezionali  misure  predisposte
 per  fronteggiare  lo  "stabile"  stato di necessita' finanziario (al
 fianco delle varie privatizzazioni e vendite di immobili)  si  ricava
 implicitamente ma inequivocabilmente dalla decisione n. 369/88.
   L'irripetibilita'  del  condono  edilizio del 1985 e' stata posta a
 fondamento per giustificare lo strappo alla  pretesa  punitiva  dello
 Stato  impresso  dalla  legge  n.  47/1985.  Con questo nuovo atto di
 clemenza il legislatore ha dimostrato di non accettare l'accredito  -
 conferitogli  nel  recente  passato - di una volonta' di "chiudere un
 passato illegale".  Dimostra invece che dinanzi alla  illegalita'  di
 massa,  nel  campo  dell'edilizia, intende periodicamente dialogare e
 negoziare, a fini di bilancio. Lo Stato non si limita a  orientare  -
 facendo  balenare  l'ipotesi  della esclusione della punibilita' - la
 condotta del reo susseguente all'illecito; con questo condono orienta
 anche la condotta del  cittadino  antecedente  all'illecito.  Facendo
 balenare   questa  reiterata  rinuncia  alla  punibilita'  dei  reati
 edilizi, finalizzata a fronteggiare un cronico deficit della  finanza
 pubblica,  e'  ben  individuabile a quali approdi di illegalita' sono
 orientati, anzi incentivati i cittadini che  abbiano  difficolta'  ad
 ottenere la concessione edilizia, o che comunque intendano rinunciare
 al controllo dell'iter concessorio.
   Va  inoltre rilevato che l'apparente equilibrio riscontrabile nella
 complessiva disciplina del 1985  tra  rigore  e  clemenza  (il  primo
 rivolto a un probabile futuro; la seconda rivolta a un certo passato)
 e'  oggi  infranto  a  favore  della  seconda. Infatti da un lato, il
 legislatore ha predisposto una semplificazione se non addirittura una
 cancellazione dei controlli preventivi  (vedi  norme  in  materia  di
 controllo,   di   semplificazione   dei   procedimenti   in   materia
 urbanistico-edilizia e di incentivazione dell'attivita' edilizia,  di
 cui  al  d.-l.  26 gennaio 1995, n. 24, sostituito dal d.-l. 27 marzo
 1995, n. 88, sostituito dal d.-l. 26 maggio 1995, n. 193,  sostituito
 dal  d.-l.  26 luglio 1995, n. 310, sostituito dal d.-l. 20 settembre
 1995, n. 400, sostituito dal d.-l. n. 498/1995), controlli visti come
 ostacoli allo sviluppo economico e produttivo del  settore  edilizio.
 Dall'altro   lato,  a  questa  nuova  filosofia  liberalizzatrice  il
 legislatore ha accompagnato la sconfessione di quella vecchia (rigore
 e chiusura con il passato  di  illegalita'),  ampliando  lo  spessore
 della  clemenza  attraverso  criteri  selettivi di ampio respiro e di
 ampia elasticita'.
   Come e' stato giustamente osservato il comma 1 dell'art. 39,  nella
 parte  in  cui stabilisce che le disposizioni della sanatoria valgono
 anche  per  le  opere  abusive,  relative  a  nuove  costruzioni  non
 superiori  a  750  mc,  fa  riferimento  a ogni "singola richiesta di
 concessione edilizia  in  sanatoria".  L'oscura  e  vaga  espressione
 "nuove  costruzioni"  lascia  intendere  che  dietro  di essa si celi
 pudicamente la  chiara  volonta'  del  legislatore  di  estendere  la
 clemenza negoziata a volumetrie anche superiori all'apparente limite,
 purche'   ciascun  richiedente  si  presenti  come  titolare  di  una
 contenuta frazione del piu' vasto complesso immobiliare.
   Il comma 16 dello  stesso  articolo,  contempla  che  le  riduzioni
 previste dal comma 7 dell'art. 34 della legge n. 47/1985 (riguardante
 costruzioni   o   impianti   destinati   ad   attivita'  industriali,
 artigianali, commerciali, turistico-ricettive ecc.)  siano  applicate
 "anche in deroga ai limiti di cubatura di cui al primo comma". Questo
 limite  eludibile  e  ampliabile a dismisura, se arricchira' le casse
 dello   Stato,   impoverira'    irreversibilmente    il    patrimonio
 paesaggistico  e il territorio del nostro paese (vedi in tal senso le
 osservazioni del pretore di Roma ord. 10 luglio 1995).
   Non convince la recente giurisprudenza costituzionale, che:
      a) ancora la  eccezionalita'  della  disciplina  ex  art.  39  a
 "ragioni   contingenti  e  straordinarie  di  natura  finanziaria"  -
 costituite dal  deficit  pubblico  -  che  si  protraggono  da  tempo
 immemorabile,   senza  concrete  prospettive  di  venir  meno  e  con
 tendenziale proiezione ad aggravarsi;
     b) ancora tale  disciplina  a  "condizioni  di  straordinarieta'"
 costituite dalla "persistenza dell'abusivismo" cioe' a un fenomeno di
 illegalita'  di  massa assolutamente indenne da crisi o da flessioni,
 passate presenti o future;
     c) affida il recupero della illegalita'  proprio  all'ampliamento
 della  non  punibilita'  (sia esso nuovo o novellato), senza spiegare
 come e perche' i cittadini, dinanzi all'estendersi  nel  tempo  della
 rinuncia  dello Stato alla pretesa punitiva, dovrebbero rinunciare ad
 avere fiducia nell'impunita' (troppo sottile e' l'abbozzato distinguo
 tra autonomia della normativa del 1994 e sua gemmazione da quella del
 1985 - v. par. 2.2 sent. n. 427/1995, che  richiama  la  sentenza  n.
 416/1995).
   Questa  rinuncia alla punibilita' dei reati urbanistici, cosi' come
 modellata dalla presente legge, ha  una  carica  criminogena  che  ne
 rende  evidente  l'irragionevolezza  e  il  conseguente contrasto con
 l'art. 3 della Costituzione.
   Il punto di crisi di questo provvedimento e' segnato - dinanzi a un
 fenomeno di illegalita' di  massa  -  dalla  utilizzazione  reiterata
 della  non  punibilita'  o  della  non  procedibilita'  come merce di
 scambio,  in  corrispettivo  di   entrate,   per   raggiungere   fini
 economico-finanziari,  posti  su piano totalmente eccentrico rispetto
 al bene tutelato e offeso dall'altro contraente del negozio premiale.
   L'incongruenza funzionale di questa disciplina premiale e' di  tale
 entita'  da  minare  irreversibilmente  la  tutela  del  paesaggio  e
 dell'equilibrato sviluppo del territorio.
   Questa   carica   criminogena   ha   una   sua   naturale    radice
 nell'impossibilita'  di chiedere all'offensore una qualsiasi condotta
 "antagonista" rispetto all'attivita' antigiuridica posta in essere.
   In un'altra ipotesi di resa dinanzi al fenomeno  della  illegalita'
 di  massa  (condoni  tributari)  la  prassi legislativa ha posto come
 condizione minima il pagamento del tributo evaso,  per  mantenere  la
 causa  estintiva  in  un rapporto reale con l'offesa realizzata e per
 evitare che essa finisca con il premiare  puramente  e  semplicemente
 l'illegalita',  riducendo  coloro che avessero soddisfatto per intero
 il loro obbligo "al  rango  di  poveri  allocchi".  Anche  in  questa
 ipotesi,  nel  lontano  1982,  il legislatore ha invocato lo stato di
 necessita',    trattandosi    di   assicurare   proventi   finanziari
 "indispensabili  nell'attuale  contingenza".  Questa  motivazione  e'
 stata ritenuta inammissibile, perche' provvedimenti di clemenza cosi'
 motivati  costituiscono  ammissione  di debolezza, impotenza o scarsa
 funzionalita' degli  strumenti  di  controllo,  che  stimola  fiducia
 nell'impunita'  della illegalita'.   Il denaro che raggiunge le casse
 dell'erario ha immediatamente effetti positivi,  equilibratori  degli
 effetti   negativi   dell'evasione,  ma  ha  effetti  successivamente
 negativi,in  quanto  la  clemenza  cosi'  motivata,  incentivando  la
 fiducia  nell'impunita',  aumenta  l'evasione, diminuisce le entrate,
 aggrava lo stato di necessita'. Di  contingenza  in  contingenza,  si
 intrecciano  storie  di clemenza senza fine: al condono previdenziale
 (d.-l. n. 463/1983), al  condono  tributario  con  connesse  amnistie
 (d.-l.  n.  429/1982,  d.P.R.  n.  525/1982  e d.P.R. n. 43/1983), al
 condono edilizio (legge n. 47/1985), al  condono  fiscale  (d.-l.  n.
 69/1989)  e  a  quello  ad  esso  collegato (artt. 7 e 8 del d.-l. n.
 83/1991), al condono fiscale (legge  n.  413/1991)  e  alla  connessa
 amnistia  (d.P.R.    n.  23/1992)  e'  seguito il condono edilizio in
 esame.
   Giustamente e' stato osservato che al diritto penale legittimato da
 una prospettiva di tutela,  si  affianca  un  sistema  parallelo  che
 necessariamente  sfugge  alle regole del primo. "Esso infatti investe
 solo in  termini  mediati  interessi  meritevoli  di  tutela  penale;
 tuttavia  il  surplus sanzionatorio che, in gran parte simbolicamente
 prospetta,  la  punibilita'  periodicamente  scambiata  incidono   su
 terreni  - dominati dalle esigenze erariali - su cui pare giocarsi la
 stessa sopravvivenza politica del sistema".
   Da questo reiterato o novellato  condono  edilizio  emerge  che  le
 norme   penali   sull'abusivismo   edilizio  sono  entrate  (o  hanno
 consolidato l'ingresso) nel diritto penale "parallelo" caratterizzato
 dal   sistema   sanzionatorio   "simbolico"   e   dalla   punibilita'
 "periodicamente scambiata"?
   Si  sta  formando una fascia di norme che, lungi dal proteggere nel
 campo urbanistico, beni penalmente  e  costituzionalmente  rilevanti,
 servono,  grazie alla loro infrazione, ad alimentare, un serbatoio di
 risorse finanziarie, cui attingere periodicamente?
   La risposta necessariamente  positiva  a  questo  interrogativo  si
 carica   di  un  significato  ancor  piu'  spiccatamente  criminogeno
 determinato dall'assoluta eccentricita' tra offesa del  territorio  e
 condotta  "riparatrice".  Alla prima - consacrata, con questo secondo
 condono, come variabile indipendente dalla pena - segue una  condotta
 "guidata"  dal  legislatore, che neanche immediatamente ha un effetto
 riequilibratore rispetto agli effetti negativi dell'abuso edilizio.
   L'incentivo  all'illegalita'  -   gia'   evidente   nel   caso   di
 compravendita  di  impunita'  per  omessi  versamenti  di denaro - e'
 ancora piu' forte nel caso di compravendita di  impunita'  per  abuso
 edilizio:  esclusa  (naturalmente  e  razionalmente) l'unica condotta
 "antagonista" realmente  riparatrice  dell'offesa  (la  riduzione  in
 pristino  dello  stato  dei  luoghi),  la  secca monetizzazione della
 reazione dello Stato cancella ogni rapporto reale tra  causa  di  non
 punibilita'  o di non procedibilita' e interesse penalmente tutelato.
 L'interesse erariale domina incontrastato;  la  politica  finanziaria
 prevale sul diritto penale.
   Si puo' concludere che appaiono conseguenze certe di questo condono
 edilizio la caduta di credibilita' del precetto penale che assiste la
 normativa  urbanistica,  nonche' il diffondersi della convinzione che
 "ad un condono ne seguira' un altro" e che l'abuso  nell'urbanistica,
 in  definitiva  e  alla lunga, paghi piu' dell'osservanza della legge
 (riservata ai "poveri allocchi").
   Nel caso in esame, quindi, la sconfessione dell'impegno al  maggior
 rigore  per  l'abusivismo post-ottantacinque; la reiterata ammissione
 di debolezza nei confronti dell'illegalita' di massa; la  consolidata
 collocazione  tra  le  entrate dello Stato della rinuncia a pagamento
 della pretesa punitiva conducono a ritenere sussistente l'ipotesi  di
 esercizio  arbitrario  della  non punibilita', idoneo "non soltanto a
 violare l'art. 3 della Costituzione, ma ad alterare, con il principio
 dell'obbligatorieta' dell'azione penale, l'intero volto  del  sistema
 costituzionale in materia penale".
   Di condono in condono o di riapertura dei termini in riapertura dei
 termini,  si  innalzano  veri e propri "monumenti" alla illegalita' e
 all'impunita',  in  corrispettivo  di  alcune  migliaia  di  miliardi
 entrate,  preventivate  (e  neanche  interamente  incassate,  v. dati
 dell'Ente Poste sul "gettito inferiore al previsto",  divulgati  l'11
 gennaio 1996).
   La  fiducia  nell'impunita'  dei  cittadini  -  nei  quali  non  e'
 difficile ipotizzare un'aspettativa  di  altri  condoni  edilizi,  in
 attesa dei quali iniziare o completare immobili abusivi - puo' e deve
 essere annullata.
   Va  anche rilevato che alla svendita della pretesa punitiva e della
 tutela dell'esigenza di prevenzione si accompagna la  svendita  della
 tutela  di  altra  esigenza  fondamentale,  sottesa  al  governo  del
 territorio (tutela del  paesaggio  e  dell'equilibrato  sviluppo  del
 territorio ex art. 9 della Costituzione).
   L'ordinanza  pret.  Roma  10  luglio 1995 ha giustamente richiamato
 l'elaborazione  dottrinale  e   giurisprudenziale   che   attribuisce
 importanza  preminente  alla  tutela  del paesaggio, definiti "valore
 primario ed insuscettivo di essere  subordinato  a  qualsiasi  altro"
 (vedi decisioni Corte costituzionale nn. 94/1985, 359/1985, 151/1986,
 153/1986).    La  nozione  di  paesaggio,  da  un  originario  ambito
 concettuale    ancorato    alla     valorizzazione     di     aspetti
 estetico-culturali,  si  e' integrata con quella fornita dall'art. 80
 del d.P.R. n. 616/1977, coincidente con il  concetto  di  equilibrato
 sviluppo del territorio, realizzantesi anche mediante la salvaguardia
 di beni di pregio naturalistico.
   Questo  sacrificio di un valore primario e insuscettibile di essere
 subordinato a qualsiasi altro viene imposto a fini di bilancio, senza
 che si evidenzi o comunque risulti che il mezzo praticato sia l'unico
 e insostituibile da  utilizzare  per  la  realizzazione  di  un  fine
 (risanamento   del   disavanzo   pubblico)   sia   pure   di  rilievo
 costituzionale.
   Per di piu', si provvede alla copertura delle spese pubbliche -  al
 di  la'  della  marginale disposizione ex art. 39, commi 13 e 15), in
 base non alla capacita' contributiva (cosi' come  previsto  dall'art.
 53  della  Costituzione)  o  alla  ripartizione  dei costi di servizi
 divisibili, ma  in  base  al  requisito  dell'antigiuridicita'  della
 condotta, cioe' della quantita' e qualita' dell'abuso edilizio.
   Piu'  ampia  e'  la  violazione della norma penale, piu' alta e' la
 somma riequilibratrice del  disavanzo  pubblico,  piu'  alti  sono  i
 meriti  agli  effetti  del  superamento di questo problema di rilievo
 costituzionale.  Si scopre la funzione sociale dell'illegalita'.
   Questo declassamento della potesta' punitiva dello  Stato  e  della
 tutela  dei  beni costituzionalmente protetti, derivante dall'anomalo
 atto di diritto premiale, in casi di abusivismo edilizio  di  rilievo
 non certo bagatellare, puo' esserer fermato solo da una pronuncia del
 giudice  delle  leggi  che, rispondendo anche alle argomentazioni sin
 qui eluse, espresse dalla regione Emilia-Romagna  (vedile  richiamate
 nella  sentenza  n.  416/1995, punto 4 e pag. 82 Gazzetta Uffficiale,
 prima serie speciale, n. 32 del  2  agosto  1995),  ristabilisca  una
 corretta  gerarchia  e  un  corretto  equilibrio tra beni e valori di
 rilievo costituzionale; cancelli la filosofia della  contingenza  che
 diventa   permanenza;   esprima   una  inequivoca  valutazione  sulla
 quotazione in bilancio (nel caso  di  specie  5.000  miliardi)  della
 rinuncia  dello  Stato  alla  pretesa  punitiva  e sul nuovo ruolo di
 gabelliere  profilantesi  per  il  giudice  penale;  cancelli  questa
 manifestazione di "tassa sull'illegalita'" o di "tassa di redenzione"
 (indicativa  in  tal senso e' l'espressione "esercizio della facolta'
 penitenziale"  usata  nella  relazione  al  disegno   di   legge   di
 conversione del d.-l. 25 novembre 1995, n. 498).
   Ci  e'  stato  autorevolmente ricordato che il granduca Leopoldo di
 Toscana, nel 1786, boccio' questo modo di sanare  (o  di  tentare  di
 sanare)  il bilancio dello Stato: "Per la stessa ragione di non voler
 assolutamente che il nostro  fisco  giammai  profitti  dei  disordini
 meritevoli  di  punizione,  e  perche'  ancora  riconosciamo  come un
 assurdo intollerabile  l'abuso  introdotto  che  le  pene  afflittive
 decretate  dai  giudici  si  possano  redimere dai rei con pagare una
 somma di denaro al fisco, vogliamo che da qui in avanti resti abolito
 questo abuso e proibita ogni e qualunque convenzione  con  il  fisco,
 mediante   la   quale  il  condannato  possa  ottenere  condonazione,
 minorazione e permutazione di pena afflittiva in pecuniaria".