IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a carico di Corbo Michele, imputato dei reati di cui agli articoli 367, 61, n. 2, codice penale; 314, primo comma, codice penale, commessi entrambi in Giulianova in data 29 gennao 1994; 81 cpv., 323, secondo comma, commesso in Giulianova anteriormente e fino al febbraio 1994; Premesso che: con decreto in data 25 luglio 1994 il g.i.p. in sede disponeva il giudizio di Corbo Michele davanti a questo tribunale per rispondere dei reati sopra indicati, nonche' di una serie di altri reati di truffa, falso e peculato, alcuni dei quali commessi in concorso con Coccia Rita, giudicata separatamente, concernenti altro procedimento penale, riunito al primo in sede di udienza preliminare; all'udienza del 20 aprile 1995, su richiesta del p.m., si procedeva alla separazione dei predetti giudizi (in ordine ai reati di cui al procedimento originariamente riunito veniva pronunciata, previa richiesta dell'imputato, cui il p.m. prestava consenso, sentenza di applicazione di pena a norma dell'art. 444, secondo comma, c.p.p.) e, quindi, apertosi il dibattimento, si procedeva all'istruttoria dibattimentale e il processo veniva rinviato all'odierna udienza per l'esame di un teste e per la discussione finale; in tale sede il Tribunale - sul rilievo che due componenti l'attuale collegio giudicante (la dott. Franca Zacco quale presidente e il dott. Giuseppe Marcheggiani quale giudice) avevano partecipato al procedimento di appello ex art. 310 c.p.p., proposto dal p.m. davanti al Tribunale del riesame avverso l'ordinnza del g.i.p. in data 9 marzo 1994, con la quale era stata rigettata la richiesta di applicazione di misura cautelare personale nei confronti del predetto Corbo, all'epoca indagato solo per i delitti di simulazione di reato e di peculato, all'esito del quale, in accoglimento dell'impugnazione, era stata applicata al Corbo la misura degli arresti domiciliari, ritenuti sussistenti sia in gravi indizi di colpevolezza in ordine ad entrambi i reati contestati che le esigenze di cui all'art. 274, lettera c), c.p.p. - riteneva necessario valutare l'opportunita' di sollevare questione di costituzionalita' dell'art. 34 c.p.p. alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 432/1995, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato; Osserva che: sino alla pronuncia della decisione citata la Corte costituzionale aveva progressivamente esteso le cause di incompatibilita', affermando, peraltro, costantemente alcuni rilevanti principi: che il regime delle incompatibilita' indicato "nella delega risponde all'esigenza di evitare che la valutazione di merito del giudice possa essere (o possa ritenersi che sia) condizionata dallo svolgimento di determinate attivita' nelle precedenti fasi del procedimento o dalla previa conoscenza dei relativi atti processuali" (sent. n. 496/1990); che agli effetti della incompatibilita' con la funzione di giudizio cio' che rileva e' che il giudice abbia compiuto una valutazione non formale, ma sostanziale del contenuto delle indagini preliminari, entrando nel merito delle stesse, "complessivamente considerate nel loro stadio terminale, ai fini dell'eventuale adozione di un provvedimento idoneo a porre termine definitivamente al procedimento o a devolvere la regiudicanda alla sede processuale" (sent. n. 453/1994); che l'incompatibilita' "e' ragionevolmente circoscritta ai casi di duplicita' del giudizio di merito sullo stesso oggetto, dato che per attuare la garanzia costituzionale del giusto processo cio' che va evitato e' il rischio che la valutazione conclusiva di responsabilita' sia, o possa apparire, condizionata dalla propensione del giudice a confermare una propria precedente decisione" (sent. nn. 124/1992, 186/1992); che il pericolo di prevenzione del giudice va ad incidere sul concetto di indipendenza dello stesso, inteso come certezza di imparzialita' e terzieta' (sent. nn. 401/1991, 496/1991, 502/1991). Nell'applicazione concreta di tali principi la Corte ha, poi, coerentemente giudicato, valutando la concretezza delle specifiche situazioni determinanti l'incompatibilita' e, in particolare, in merito alla questione del giudice del dibattimento che aveva gia' conosciuto della posizione dell'imputato quale giudice del riesame, con la sentenza n. 502/1991 aveva ritenuto che la garanzia costituzionale di imparzialita' del giudice non "impone che sia assicurata la diversita' soggettiva tra il giudice del giudizio e quello chiamato a provvedere in tema di liberta' personale dell'imputato" e cio' in quanto i provvedimenti sulla liberta' personale "non comportano una valutazione che si traduca un giudizio sul merito della res iudicanda, idoneo a determinare un pregiudizio che mini l'imparzialita' della decisione conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato". Con la sentenza n. 432/1995 la Corte, ritenendo di dover affermare "un piu' pregnante significato dei valori costituzionali del giusto processo (e del diritto di difesa che ne e' componente essenziale) anche a seguito della normativa della legge 8 agosto 1995, n. 332", ha affermato che il giudizio espresso dal giudice che provvede sulla richiesta di misura cautelare e' "non di mera legittimita', ma di merito (sia pure prognostico e allo stato degli atti) sulla colpevolezza dell'imputato; giudizio analogo, ai fini che qui interessano, alle ipotesi gia' esaminate da questa Corte nelle sentenze nn. 124 e 186 del 1992" e, quindi, idoneo a radicare una incompatibilita' ravvisabile in una anticipazione di giudizio suscettibile di minare l'imparzialita' del giudice. I principi sui quali la Corte ha fondato la propria decisione rendono inevitabile e, comunque, doverosa la prospettazione alla stessa del dubbio in ordine alla costituzionalita' dell'art. 34, secondo comma, c.p.p. con riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma e 27, secondo comma, della Costituzione nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a svolgere funzioni di giudice del dibattimento dei componenti del Tribunale del riesame che abbia ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273 c.p.p. nei confronti dell'imputato. Le argomentazioni della Corte e le conclusioni pienamente condivisibili - e da piu' parti auspicate - cui la stessa e' pervenuta non possono non far porre la questione di legittimita' costituzionale anche nella fattispecie in esame, considerato che il Tribunale del riesame ha dovuto procedere anch'esso a quelle valutazioni in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, gia' effettuate, sia pur in senso negativo, dal g.i.p. cui la richiesta di misura era stata avanzata. Nel caso di specie - come gia' precisato in premessa - due componenti dell'attuale collegio giudicante hanno partecipato al collegio del tribunale del riesame che, con la sopra menzionata decisione, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del Corbo in ordine ai medesimi fatti (ad eccezione del delitto di cui all'art. 323 c.p.) su cui oggi e' chiamato a pronunciarsi. Tale circostanza, come sopra evidenziato, puo' concretare quel pericolo di "prevenzione", nel senso indicato nella sentenza n. 432/1995, che, se pure riferita alla incompatibilita' del g.i.p., contiene in parte motiva alcuni riferimenti che sembrano dare per implicita l'illegittimita' costituzionale nei termini sopra prospettati. La questione, per tutto quanto sinora osservato, appare ictu oculi rilevante e non manifestamente infondata. La necessita' di ulteriore puntualizzazione da parte della Corte costituzionale dei principi in materia appare anche opportuna in relazione alle conseguenze connesse allo sviluppo logico dei postulati sui quali si articola la motivazione della sentenza, sicche' la Corte potra' dichiarare, come previsto dall'art. 27 legge n. 87/53, quali sono le altre disposizioni legislative la cui illegittimita' deriva come conseguenza della decisione adottata. Oggettivamente e', infatti, ipotizzabile una situazione di incompatibilita' evidente in sede, ad esempio, di giudizio direttissimo, allorche' il collegio abbia provveduto alla convalida dell'arresto ed abbia applicato misura cautelare. In conclusione, ad avviso di questo giudice, ove si consentisse la partecipazione al giudizio dibattimentale del giudice componente del Tribunale del riesame che abbia ritenuto sussistere i gravi indizi, ne deriverebbe una evidente violazione dei principi costituzionali di parita' di trattamento di situazioni analoghe (art. 3 Cost.), della inviolabilita' della difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, secondo comma, Cost.), nonche' della stessa presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva (art. 27, secondo comma, Cost.). E, invero, l'identita' del giudice nelle situazioni sopra richiamate comporterebbe una disparita' di trattamento rispetto al cittadino sottoposto al giudizio di giudici la cui valutazione conclusiva sulla responsabilita' non sia, o non possa apparire, "condizionata dalla c.d. forza della prevenzione" e, cioe', - nel senso precisato dalla Corte costituzionale nella menzionata decisione - "da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento", nonche' il pregiudizio dell'esercizio del diritto di difesa davanti a siffatto giudice, che, al contempo, non apparirebbe garantire adeguatamente all'imputato il suo diritto a non essere considerato colpevole sino alla sentenza di condanna definitiva. La sussistenza di tali presupposti di fatto e di diritto impone al Tribunale la sospensione del presente processo, che, per evidenti ragioni di economia processuale, si estende anche all'ulteriore imputazione ascritta al Corbo, e la tramissione degli atti alla Corte Costituzionale.