IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nella causa iscritta al n.
 2756 del r.g./89, passata in decisione  all'udienza  del  16  gennaio
 1996  tra  Myrian,  Domenico  e  Carmine  Antonio  De  Pietro,  tutti
 elettivamente domiciliati in Benevento, alla piazza Guerrazzi  n.  4,
 presso  lo  studio  dell'avv.  Sergio  Belperio, che li rappresenta e
 difende, giusta mandato a margine citazione, attori, e il  comune  di
 S.  Angelo  a  Cupolo,  in  persona  del  sindaco p.t., elettivamente
 domiciliato presso lo studio  dell'avv.  Feliciano  Salierno,  giusta
 mandato a margine della comparsa di costituzione, convenuto.
                       Svolgimento del processo
   Con  atto  di  citazione  notificato in data 27 settembre 1989; gli
 attori sopra indicati Myriam, Domenico e  Carmine Antonio  De  Pietro
 convenivano  in  giudizio  il comune di S. Angelo a Cupolo, esponendo
 che il suddetto ente aveva occupato a fini espropriativi un fondo  di
 loro  proprieta',  sito  in  S.  Angelo  a  Cupolo, irreversibilmente
 trasformato dall'opera pubblica realizzata nel  corso  della  stessa,
 senza che la procedura espropriativa fosse stata perfezionato.
   Alla   stregua   di   quanto  esposto,  gli  attori  chiedevano  il
 risarcimento dei danni  per  la  ravvisata  illegittima  "occupazione
 acquisitiva"  di  suolo subita, nonche' il pagamento delle indennita'
 per i periodi di occupazione legittima ed illegittima.
   Si costituiva  il  comune,  riportandosi  a  quanto  esposto  nella
 comparsa  di  costituzione  (che,  pero',  unitamente al fascicolo di
 parte, non risulta acquisito agli atti). Nel  corso  dell'istruzione,
 il  g.i.  nominava un C.T.U., al fine di determinare il valore venale
 del suolo occupato, gli altri danni eventualmente recati, nonche'  le
 indennita' per i periodi di occupazione legittima ed illegittima.
   Precisate le conclusioni, la causa veniva rimessa al collegio, che,
 all'udienza del 16 gennaio 1996, si riservava la decisione.
                        Motivi della decisione
   Rileva il tribunale che nelle more del presente giudizio, in virtu'
 della  modifica  apportata  dall'art.  1,  comma  65,  della legge 28
 dicembre 1995, n. 549 ("Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
 pubblica")  entrata  in  vigore  dal  1  gennaio  1996  come previsto
 dall'art. 244), e' stata estesa l'applicazione del criterio legale di
 determinazione delle indennita' espropriative di cui  all'art.  5-bis
 del  d.-l.    n.  333/92  convertito con modificazioni nella legge n.
 359/92 anche alla misura dei risarcimenti dovuti  in  conseguenza  di
 illegittime occupazioni acquisitive.
   Come e' noto, l'art. 5-bis cit. nel testo previgente disponeva, tra
 l'altro  (comma  n.  1)  che,  fino all'approvazione di una "organica
 disciplina   per   tutte   le   espropriazioni"   preordinate    alla
 realizzazione   di  opere  di  pubblica  utilita',  la  misura  delle
 indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di
 cui all'art. 13/III della legge n. 2892 del 1895, sostituendo in ogni
 caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il  reddito  dominicale
 rivalutato  di  cui all'art.  24 e segg. del t.u. 22 dicembre 1986 n.
 917, (in pratica opperando la media aritmetica tra il  valore  venale
 del suolo e la rendita catastale rivalutata degli ultimi dieci anni),
 riducendo  poi  l'importo  ottenuto del 40% (salvi i casi di cessione
 volontaria  e  quelli  equiparati  a  seguito della sent. n. 283/1993
 della Corte costituzionale). Il  sesto  comma  dell'articolo,  citato
 escludeva  dall'applicazione  dei  criteri indennitari sopra indicati
 solo i casi in cui l'indennita' fosse stata accettata dalle parti,  o
 fosse divenuta non impugnabile con sentenza passata in giudicato alla
 data  di  entrata  in  vigore della legge di conversione del d.-l. n.
 333/92 (in pratica all'8 agosto 1992).
   L'art.  1,  comma  65,  della  legge  n.   549/95   ha   sostituito
 integralmente  tale  ultimo comma, nei termini testuali seguenti: "Le
 disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi
 in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo,
 l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno,  alla  data
 di conversione del presente decreto".
   Che  il  risarcimento  dei danni di cui al nuovo disposto normativo
 sia quello relativo  alla  perdita  della  proprieta',  nei  casi  di
 "occupazione acquisitiva" o "accessione invertita", non e' seriamente
 contestabile,  tenuto  conto  dell'operato abbinamento, disgiuntivo e
 congiuntivo,  nella   previsione   legislativa,   all'indennita'   di
 espropriazione e considerato che, nella materia de qua, il solo altro
 risarcimento   ipotizzabile  e'  quello  da,  occupazione  temporanea
 illegittima,  per  la  determinazione,  del  quale   e'   del   tutto
 inconcepibile  il  ricorso  ai criteri determinativi sopra menzionati
 (in cui uno dei valori da mediare e' dato dal valore cd. "pieno"  del
 suolo).  Evidente  e', dunque, l'intenzione del legislatore il quale,
 per palesi esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto
 di equiparare del tutto, sul  piano  patrimoniale,  alle  conseguenze
 derivanti  dalle  espropriazioni  legittime,  quelle  derivanti dalle
 illegittime ablazioni di "fatto", poste in essere dalla  p.a.  o  dai
 soggetti  per  conto  della stessa operanti, facendo salve solo (come
 gia' avvenuto nel 1992) le determinazioni divenute  inoppugnabili  in
 sede amministrativa o per effetto di giudicato.
   Prescindendo   da   ogni   considerazione,   non   rilevante  nella
 fattispecie, in ordine ai  dubbi  di  applicabilita'  intertermporale
 (nel  periodo  compreso  tra  l'8  agosto  1992  e  1  gennaio  1996)
 dell'ultima disposizione, e'  certo  che  nella  vertenza  in  esame,
 essendo  ancora,  tra l'altro, controverso l'importo del risarcimento
 dovuto  agli  attori  in  conseguenza   della   subita   "occupazione
 acquisitiva"   la   cui   verificazione,   peraltro,   e'   pacifica,
 controvertendosi solo in ordine alla risalenza della stessa, se  alla
 scadenza  del  quinquennio  o  del  successivo biennio di una assunta
 proroga legale dell'occupazione di urgenza), non si e' ancora formato
 un "giudicato" in ordine all'"entita'" di tale spettanza e, pertanto,
 occorre applicare necessariamente il jus superveniens alla principale
 delle questioni, di carattere sostanziale, dibattuta tra le parti.
   Da quanto sopra considerato  discende  la  rilevanza  ai  fini  del
 presente  giudizio, come richiesto dall'art. 23, comma secondo, della
 legge 11 marzo 1953, n.  87,  della  questione  di  costituzionalita'
 dell'art.   1, comma sessantacinquesimo, legge n. 549/1995, attesa la
 natura di area edificabile del fondo degli attori, come emerso  dalla
 C.T.U.
   Tanto  premesso,  osserva  il  tribunale  che  tale  questione,  si
 configura, in relazione agli artt. 3  e  42  e  97  della  Cost.  non
 palesamente infondata.
   L'operata  parificazione  tra  le  conseguenze  patrimoniali  delle
 ablazioni lecite e di quelle illecite  si  risolve,  infatti  in  una
 irrazionale  e  non  adeguatamente  giustificata attenuazione, se non
 elusione, del principio di legalita' delle  espropriazioni,  poste  a
 garanzia  del  diritto  di proprieta' privata che, come ripetutamente
 affermato dalla giurisprudenza della Suprema corte  di  cassazione  e
 della  Corte  costituzionale,  puo'  essere  si'  sacrificato  previo
 indennizzo,  in  vista  delle  esigenze  della  collettivita'  ed  in
 considerazione della sua funzione sociale, ma nei casi previsti dalla
 legge   e   nel   rispetto  delle  rigorose  forme  dei  procedimenti
 amministrativi finalizzati alla espropriazione.    I  seri  dubbi  di
 legittimita' costituzionale, in relazione al principio di uguaglianza
 di cui all'art. 3, si pongono sotto un duplice profilo:
     1)   per  l'ingiustificata  discriminazione,  rispetto  ad  altre
 categorie di soggetti passivi di atti illeciti,  dei    titolari  dei
 diritti  di  proprieta'  immobiliare illegittimamente acquisiti dalla
 p.a.  o  da  chi,  per  essa,   si   sia   avvalso      dell'istituto
 dell'occupazione  acquisitiva, in quanto nei confronti ed a discapito
 dei   predetti   la   norma    introdotta    dall'art.    1,    comma
 sessantacinquesimo,  della  legge  n.  549/1995 introduce una vistosa
 deroga ad uno dei principi basilari dell'ordinamento  civilistico,  a
 termini  del  quale  chi  abbia,  per  effetto della violazione della
 fondamentale regola di convivenza sociale del neminem laedere, subito
 un danno, ossia una decurtazione del proprio patrimonio,  ha  diritto
 all'integrale   ricostituzione  dello  stesso  a  carico  dell'autore
 dell'illecito, soggetto pubblico o privato che sia (art. 2043 c.c.);
     2) per l'irrazionale, ingiustificato e totale parificazione, agli
 effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi
 nel rispetto delle regole ad  esse  preordinate  e  di  quelle  delle
 ablazioni  "di  fatto",  verificatesi  in  conseguenza  della mancata
 osservanza delle regole medesime.
   Tale parificazione non puo' trovare adeguata giustificazione  nelle
 palesi  esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica, che hanno
 indotto il  legislatore  ad  introdurre  la  censurata  disposizione,
 essendo  altri  i  mezzi e le regole preordinate al corretto prelievo
 finanziario (v. art. 23 e 53  Cost.),  e  non  anche  il  sostanziale
 avallo dell'illecito posto in essere dalla p.a., nel quale si risolve
 l'operata  eliminazione  di ogni conseguenza patrimoniale sfavorevole
 per  la  stessa,  in  dipendenza   della   mancata   osservanza   del
 procedimento  espropriativo,  con  il  conseguente  venir  meno della
 principale remora al compimento di atti illegittimi.
   Ne', considerando le due diverse situazioni, di ablazioni lecite ed
 illecite, dal punto di vista dei soggetti passivi,  puo'  ritenersene
 la sostanziale equivalenza.
   Se  e'  vero,  infatti,  che  i  sacrifici,  in  termini di diritti
 dominicali, sono materialmente analoghi, deve pero'   osservarsi  che
 non  uguali  ne sono le rispettive situazioni, considerate sotto vari
 diversi aspetti, tra i quali vanno, particolarmente, segnalati:
     a)    la    possibilita',    solo     ove     il     procedimento
 occupativo-espropriativo si svolga secondo le regole, di controllarne
 l'iter  e,  se del caso, di intervenire nel corso dello stesso, quali
 portatori di interessi legittimi correlati  al  compimento  dei  vari
 atti   procedimentali,   nelle   competenti   sedi  amministrative  e
 giurisdizionali;
     b) il regime della prescrizione estintiva, che e' piu' favorevole
 per  detti  soggetti,  nelle  ipotesi di legittima espropriazione, in
 quanto il diritto alle indennita' si estingue nel  termine  ordinario
 decennale  di  cui all'art. 2946 c.c., mentre nel caso di "accessione
 invertita"   conseguente   ad   illecita   occupazione   il   termine
 prescrizionale  applicabile  al  diritto al risarcimento dei danni e'
 quello quinquennale di cui all'art. 2947 cit. cod.
   Conseguenziali alle suesposte considerazioni  si  pongono  i  forti
 dubbi di legittimita' in relazione  all'art. 42/III Cost.,considerato
 che  l'operata  parificazione  agli effetti patrimoniali vanifica del
 tutto o in gran parte il principio di legalita' delle espropriazioni,
 posto a presidio della proprieta', se e' vero  che,  anche  nel  caso
 "patologico"  di  violazione  della  legge, la p.a. puo' acquisire il
 diritto anzidetto, contraendo nei confronti degli ex  titolari  dello
 stesso  obbligazioni  quantitativamente  identiche  a  quelle,  nella
 previgente  disciplina  piu'   contenute,   che   avrebbe   contratto
 nell'ipotesi "fisiologica" di osservanza della legge stessa.
   Ne'  si puo' ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre il
 nuovo istituto della "espropriazione di fatto", da porsi accanto alla
 procedure  espropriativa  rituale  e  legittima;  invero,  l'espresso
 riferimento  al  risarcimento  del  danno,  contenuto  nella norma in
 questione, esclude chiaramente tale ipotesi, ed, anzi,  si  configura
 come  una  chiara  conferma  del carattere illecito dell'"occupazione
 acquisitiva".
   L'art. 1, comma sessantacinquesimo, della legge n. 549/1995 appare,
 altresi', in contrasto con il  disposto  dell'art.  97,  primo  comma
 della  costituzione,  secondo  cui i pubblici uffici sono organizzati
 secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati  il  buon
 andamento  e l'imparzialita' dell'amministrazione. Tale norma postula
 che la realizzazione dei compiti  assegnati  all'amministrazione  non
 deve  andar  disgiunta  dal rispetto della giustizia sostanziale, che
 s'impone sia nel confrontare gli interessi  dei  singoli  con  quelli
 dell'amministrazione,  sia nel confrontare tra loro gli interessi dei
 vari soggetti estranei all'amministrazione  inseriti  nell'azione  di
 questa.
   Ora,  il  detto  art.  1,  nel  prevedere che enti pubblici debbono
 procedere al risarcimento dei danni, applicando  i  criteri  relativi
 alla   determinazione  dell'indennita'  espropriativa,  per  le  aree
 edificabili, ha introdotto una regola dell'azione amministrativa  che
 non  garantisce,  certo,  il  principio d'eguaglianza tra i "soggetti
 passivi" delle "espropriazioni di fatto", e i "soggetti  passivi"  di
 qualunque  altro illecito aquiliano posto in essere dalla p.a., tra i
 quali, come detto, emerge una chiara e non  razionale  diversita'  di
 trattamento.
   Giova,  a  questo  punto,  precisare che il collegio non ignora che
 l'istituto  dell'occupazione  acquisitiva  ha  recentemente  superato
 indenne il vaglio di legittimita' da parte della Corte costituzionale
 (v. sent. n. 188 del 17/23 maggio 1995). Ma la questione oggi si pone
 in  termini  diversi,  rispetto  a quelli a suo tempo rimessi a detta
 Corte (che pur ebbe a puntualizzare le piu' significative differenze,
 caratterizzate  e  giustificate,   sul   piano   della   legittimita'
 costituzionale,   anche   e  soprattutto  dalle  diverse  conseguenze
 patrimoniali  delle  due  forme  di  ablazione),   considerato   che,
 all'epoca mancava un riconoscimento legislativo espresso, sia pure in
 forma  indiretta,  dell'occupazione  acquisitiva e che le conseguenze
 patrimoniali dei  due  istituti  erano  nettamente  diverse  (ristoro
 parziale, in considerazione della funzione sociale della proprieta' e
 delle  garanzie  di  legge, nel caso dell'indennizzo espropriativo, e
 reintegrazione  piena  della  decurtazione  patrimoniale  subita  dal
 soggetto   passivo,   nel   caso   di   risarcimento  da  illegittima
 acquisizione).
   Il processo va, pertanto ed ai sensi dell'art. 23  legge  11  marzo
 1953, n. 87, sospeso e gli atti rimessi, previ adempimenti di rito in
 dispositivo  indicati,  alla Corte costituzionale, per il giudizio di
 sua competenza, a termini degli art. 134 e segg. Cost.