Ricorre  la regione Piemonte in persona del presidente della giunta
 regionale, on.le Enzo Ghigo, autotizzato con  delibera  della  giunta
 regionale  n.  303-7793 del 3 aprile 1996, rappresentato e difeso (in
 virtu' di procura autenticata dal notaio Viscusi  di  Torino  del  18
 aprile  1996,  rep.  265727)  dall'avv. Enrico Romanelli, e presso lo
 studio del medesimo elettivamente domiciliato in Roma, via  Cosseria,
 n.  5,  contro  la  Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona
 dell'on. presidente del Consiglio  pro-tempore,  domiciliato  per  la
 carica  in  Roma, Palazzo Chigi, nonche' presso l'Avvocatura generale
 dello Stato, via  dei  Portoghesi  n.  12,  per  la  declaratoria  di
 illegittimita' costituzionale del decreto-legge 25 marzo 1996, n. 154
 (pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale - serie generale - parte I, n.
 72, del 26 marzo 1996),  recante  "Misure  urgenti  per  il  rilancio
 economico  ed  occupazionale  dei  lavori  pubblici  e  dell'edilizia
 privata".
                           Premesso in fatto
   Sulle competenze normative regionali ex art. 117 della Costituzione
 in  materia  di  urbanistica  e  di  lavori  pubblici  di   interesse
 regionale, e sulle correlate funzioni amministrative regionali di cui
 all'art.    118  della  Costituzione  e'  venuto  ad illegittimamente
 incidere, senza prendere in alcuna considerazione la posizione, delle
 regioni, il d.-l. 25 marzo 1996,  n.  154  (emanato  in  assenza  dei
 necessari  presupposti di cui all'art. 77 della Costituzione), meglio
 specificato in epigrafe.
   Il decreto oggetto  del  presente  ricorso  si  compone  di  dodici
 articoli,   di  contenuto  non  omogeneo  che,  nel  loro  complesso,
 ripropongono il contenuto dei precedenti decreti, sia pure con alcuni
 adattamenti che, tuttavia, non ne fanno venir meno i gravi aspetti di
 illegittimita' costituzionale.
   In particolare, con l'art. 3, viene prevista la  facolta',  per  il
 Ministro,  di  sostituire  al  sindaco  un  commissario  ad  acta per
 omissioni  nell'adozione  di  provvedimenti  sanzionatori;  l'art.  5
 prevede    l'introduzione    di    un'ipotesi   di   silenzio-assenso
 nell'adozione, da parte  della  regione,  degli  strumenti  urbanisti
 predisposti  dai  comuni  e  l'art.  8  incide  sulla  disciplina del
 controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia.6
                               In diritto
   1. - Il d.-l. 25 marzo 1996, n. 154  costituisce  l'ultimo  di  una
 ormai  lunga  serie  di decreti-legge, non arrivati alla conversione,
 principiata  con  il  d.-l.  23  settembre   1994,   n.   551.   Tale
 decreto-legge  n.  551  del  1994  fu  a  suo  tempo  impugnato dalla
 ricorrente  regione,  con  ricorso  all'ecc.ma  Corte,  con  cui   fu
 denunziata  l'illegittima  compressione delle competenze normative ed
 amministrative regionali e la violazione dei principi  dettati  dagli
 artt.  3,  9  e  97 della Costituzione della Repubblica. Tali censure
 sono da riproporsi nei confronti  delle  norme  riprodotte  nel  loro
 contenuto  (con  identita'  del nucleo precettivo essenziale e spesso
 con la stessa formulazione letterale) nei  decreti-legge  successivi;
 quanto  meno  nei limiti in cui restino salvi gli effetti della norma
 decaduta prodottisi nel periodo della sua vigenza  precaria,  secondo
 quanto  codesta  Corte ha affermato con la recente decisione 21 marzo
 1996, n. 84.
   E'  da  aggiungere  che  vari   comuni   piemontesi   hanno   fatto
 applicazione  dell'istituto  del  silenzio-assenso, previsto dai vari
 decreti-legge che, pur non convertiti, si sono succeduti  nel  tempo,
 considerando  in  base ad essi approvati piani regolatori, in assenza
 di  un  deliberato  regionale con gravissimo pregiudizio dei connessi
 interessi urbanistici.
   2. - La ricorrenza degli estremi della  necessita'  e  dell'urgenza
 del  decreto  impugnato e' esclusa ictu oculi, se si considera che il
 decreto  oggi  impugnato  fa  parte  di  quella   stessa   serie   di
 decreti-legge,  di  contenuto  analogo,  che  ormai  da un biennio si
 stanno  sussegnendo  l'uno  all'altro,   tutti   sull'onda   di   una
 dichiarata,   ma   indimostrata   (ed   anzi,   con  tutta  evidenza,
 inesistente)  urgenza.  Nel  contempo  tutti  esprimono  la  medesima
 accentuata,  ed  illegittima,  tendenza  a  comprimere  le  autonomie
 regionali.
    3. - Un invero degli aspetti piu' gravi di  violazione,  da  parte
 del  decreto-legge  oggetto  del  presente  ricorso, delle competenze
 regionali, di cui agli artt. 117 e  118  della  Costituzione  risiede
 nella  previsione di un silenzio-assenso per l'approvazione, da parte
 della Regione, degli strumenti urbanistici e delle relative varianti,
 a seguito del decorso di centottanta giorni dalla  trasmissione  alla
 Regione  da parte dell'ente che ha adottato tali strumenti e connesse
 varianti.
    E'  appena  il  caso   di   rilevare   che   la   previsione   del
 silenzio-assenso,  a  prescindere  dai suoi aspetti di eccezionalita'
 nell'ambito del  nostro  ordinamento  amministrativo,  e'  tale,  per
 pacifica  giurisprudenza  di codesta ecc.ma Corte Costituzionale, che
 "puo'   ritenersi   ammissibile   in   riferimento    ad    attivita'
 amministrative  nelle  quali  sia  pressoche'  assente  il  tasso  di
 discrezionalita',  mentre  la  trasposizione  di  tale  modello   nei
 procedimenti  ad  alta discrezionalita', primi fra tutti quelli della
 pianificazione territoriale, finisce per incidere sull'essenza stessa
 della competenza regionale" (cosi' Corte costituzionale, 12  febbraio
 1996,  n.  26; in termini analoghi, cfr. Corte costituzionale, n. 393
 del 1992 e n. 408 del 1995).
   Nel caso di specie, si  verte  appunto  in  tema  di  strumenti  di
 pianificazione  territoriale  che,  in  quanto  comportano  scelte di
 carattere largamente discrezionale, costituiscono appunto  un  ambito
 assolutamente   incompatibile   per   l'adozione   legislativa  dello
 strumento del silenzio-assenso.
   Quand'anche  potesse  eventualmente  considerarsi  giustificata  la
 valutazione   delle   esigenze   di   speditezza   del   procedimento
 amministrativo, non puo' non tenersi  conto  del  primario  interesse
 pubblico  alla  tutela  degli  interessi urbanistici ed ambientali. E
 deve rilevarsi che la previsione  di  un  automatismo,  quale  quello
 disegnato  dalla  norma  in  esame,  non  ricerca  una  soluzione  di
 equilibrio tra esigenze di speditezza ed una persistente, necessaria,
 imprescindibile  tutela  dei  valori  urbanistici;  ma   accetta   la
 soluzione  estrema  del  silenzio-assenso,  che  espone  a  rilevanti
 pericoli ed accetta il gravissimo sacrificio dei  valori  urbanistici
 ed  anche  paesaggistici,  ed  ambientali,  questi  ultimi  anch'essi
 oggetto di esplicita tutela  nella  Carta  costituzionale,  collocata
 anzi, con l'art. 9, comma 2, nell'ambito dei "Principi fondamentali".
   4.  -  Inoltre, le competenze regionali di cui agli artt. 117 e 118
 della Costituzione appaiono violate  dal  decreto  impugnato  con  la
 previsione  (contenuta nel comma 1 dell'art. 3) della sostituzione al
 sindaco di un commissario ad acta per omissioni, di cui  fra  l'altro
 non  vengono  chiariti  i  confini  in  maniera  chiara  ed  univoca.
 L'indeterminatezza dei presupposti di applicazione  della  previsione
 si  accompagna peraltro all'attribuzione in via esclusiva al Ministro
 competente ("anche d'ufficio") del relativo potere sostitutivo, senza
 alcuna previsione di una partecipazione della  Regione  all'esercizio
 di una cosi' incisiva forma di controllo.
   Si  tratta  di  una  deroga (priva di giustificazione) al principio
 generale e costituzionalmente  garantito  dell'autonomia  degli  enti
 locali.   Nel   contempo,  l'attribuzione  del  potere  di  controllo
 sostitutivo al Ministro dei lavori pubblici  si  manifesta  come  una
 violazione    dell'art.   130   della   Costituzione,   che   postula
 l'attribuzione di tali poteri ad un organo regionale.
   Ne' l'attribuzione di tale potere ad un organo  dello  Stato  trova
 una  giustificazione nella decisione 12 maggio 1977, n. 75 di codesta
 ecc.ma Corte, che rigetto' il conflitto di attribuzione  proposto  da
 altra Regione a statuto ordinario avverso la nomina prefettizia di un
 commissario  ad  acta presso un comune per eseguire una decisione del
 Consiglio di Stato (Corte costituzionale, 12 maggio 1977,  n.    75),
 sul  presupposto  che  il  pregiudizio  subito  dalla  regione era da
 ricollegarsi alla pronunzia dell'organo giurisdizionale, e  non  alla
 decisione  del prefetto. Da tale decisione si ricava anzi la conferma
 implicita che (al di  fuori  delle  ipotesi  in  cui  esso  sia  mera
 attuazione  di  pronunzie  giurisdizionali) il controllo sostitutivo,
 come in genere tutti i controlli amministrativi sui  comuni,  rientra
 nelle   competenze   regionali,   ai   sensi   dell'art.   130  della
 Costituzione.
    5. - Il decreto-legge impugnato, all'art.  7,  viene  ad  incidere
 illegittimamente  anche  sulle competenze normative ed amministrative
 regionali in materia di lavori pubblici di interesse regionale.
   Infatti,  l'art.  7  detta  disposizioni  per  la  definizione  del
 contenzioso  in  materia  di  opere pubbliche. In particolare, con il
 comma  9  di  tale   articolo,   si   prevede   che   "le   pubbliche
 amministrazioni  di  cui  all'art.  1, comma 2, del d.lgs. 3 febbraio
 1993, n. 29 ... possono chiedere  al  Ministro  dei  lavori  pubblici
 l'applicazione  delle  disposizioni  di  cui  al  presente  articolo"
 (relative alla ripresa dell'esecuzione di opere  "che  per  qualsiasi
 ragione risultino sospese").
   I relativi provvedimenti ministeriali sono condizionati dal comma 2
 dello  stesso  art.  7  alla  verifica  del  perdurare dell'interesse
 pubblico alla  realizzazione  dell'opera,  degli  aspetti  di  tutela
 ambientale e di sicurezza, dei riflessi derivanti all'amministrazione
 dai   provvedimenti   giurisdizionali   che   eventualmente   abbiano
 determinato la  sospensione  dell'opera,  e  della  congruita'  degli
 aspetti  economici  dell'affidamento.   Peraltro, in base allo stesso
 comma 2 dell'art. 7,  e' lo stesso Ministro dei  lavori  pubblici  ad
 essere  chiamato  a  dettare,  con  proprio  decreto,  i  criteri  di
 valutazione della ricorrenza dei suddetti presupposti.
   Si  rileva  che,  in  base  alla  menzionata  previsione,  ove   la
 valutazione  abbia  ad  oggetto  opere pubbliche la cui realizzazione
 rientra nelle competenze regionali, la Regione viene assoggettata  ad
 un  controllo  del  Ministro,  li'  dove dovrebbe essere affermata la
 competenza esclusiva della  Regione  in  proposito.  La  disposizione
 appare  illegittima,  quanto meno nei limiti in cui sulla valutazione
 in  questione  non  sia  riconosciuta  la  competenza regionale, e la
 commissione chiamata ad esprimersi su  di  essa  non  sia  di  nomina
 regionale  (sia  pure con una composizione, che si adegui nelle linee
 direttive ai criteri stabiliti dalla norma in questione).
   Va ancora aggiunto che la stessa rimessione al Ministro dei  lavori
 pubblici  della  determinazione  dei  criteri  sulla  base  dei quali
 valutare il perdurare dell'interesse pubblico e la  congruita'  degli
 aspetti  economici  trascende indubbiamente dall'ambito del potere di
 indirizzo e di coordinamento di cui all'art. 118 della  Costituzione,
 potere che, peraltro, non compete al singolo Ministro, dovendo essere
 esercitato,   ai   sensi  della  legge  n.  400  del  1988,  mediante
 deliberazioni del Consiglio  dei  Ministri.  Da  un  punto  di  vista
 contenutistico,  poi,  gli  atti  di indirizzo e di coordinamento non
 possono  estrinsecarsi  in  forme  espressive  tanto  "analitiche   e
 dettagliate"  da  non  lasciare  alle regioni un necessario spazio di
 autonomia entro il quale esercitare le proprie competenze.