IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale (art. 53 legge 11 marzo 1953, n. 87) nel processo penale a carico di Agostinelli Luca, nato a Monza il 9 febbraio 1968, imputato del reato di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 4, seconda, c.p. ipotesi, attualmente sottoposto alla misura cautelare degli arresti domicialiari; Premesso: che l'Agostinelli veniva arrestato in data 3 marzo 1996 nell'asserita flagranza di reato di cui furto pluriaggravato; che in data 4 marzo 1996 si procedeva al giudizio di convalida di arresto, a conclusione del quale questo pretore convalidava l'arresto e disponeva - su richiesta del p.m. di custodia cautelare in carcere - l'applicazione della meno restrittiva misura degli arresti domiciliari; che, dopo la pronuncia della suddetta ordinanza, aveva inizio il giudizio direttissimo, in apertura del quale il legale dell'imputato chiedeva ed otteneva termine a difesa, sicche' il processo veniva rinviato al giorno successivo; che in tale seconda udienza lo stesso difensore eccepiva l'incostituzionalita' dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non ricomprende fra le ipotesi d'incompatibilita' a giudicare - e dunque fra quelle di ricusazione - quella del pretore che abbia convalidato l'arresto ed applicato la misura cautelare; che tale eccezione veniva respinta solo perche' si riteneva intempestiva la richiesta di ricusazione e dunque, sotto tale profilo, irrilevante l'eventuale incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 34, 36 e 37 c.p.p.; che l'imputato presentava ugualmente istanza di ricusazione, a motivo dell'asserita suddetta incompatibilita' del giudicante, al tribunale di Ancona che con ordinanza del 7 marzo 1996 la dichiarava inammissibile, confermando la tardivita' della stessa; che alla successiva udienza del 14 marzo 1996, su istanza del difensore che insisteva nella suddetta eccezione affinche' venisse valutata dal giudice ai sensi dell'art. 36 c.p.p., il pretore - rilevato che nessun termine e' previsto dal codice di procedura penale per l'eventuale dichiarazione di astensione - si riservava di pronunciare ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale; O s s e r v a Sotto il profilo dell'ammissibilita' della questione di costituzionalita' si rileva che, sebbene non possa essere proposta nello stesso grado di giudizio una seconda eccezione, cosi' come si desume dall'art. 24 legge 11 marzo 1953, n. 87, deve ritenersi consentito al giudice di sollevarla di ufficio - ex art. 23, terzo comma, cit. legge - anche dopo che quella su istanza di parte non sia stata accolta per difetto di rilevanza. Nel processo penale, infatti l'incompatibilita' del Giudice puo' essere fatta valere in due modi: da una delle parti a mezzo di apposita ricusazione o dallo stesso giudicante tramite l'istituto dell'astensione. Pertanto, se l'asserita incostituzionalita' dell'art. 34 c.p.p. deve ritenersi irrilevante ai fini della ricusazione, allorche' quest'ultima istanza venga presentata fuori termine, non altrettanto puo' dirsi sotto il profilo della facolta' di astensione, per la quale invece l'art. 36 c.p.p. non prevede un termine di decadenza. Anche dopo la prima verifica della costituzione in giudizio delle parti rimane dunque rilevante per il giudice poter valutare la propria terzieta' alla stegua delle norme dell'ordinamento processual-penalistico, fra cui l'art. 34 c.p.p., che prevede le incompatibilita' derivanti dal pregresso esercizio nell'ambito dello stesso procedimento penale di una diversa funzione giudiziaria o comunque di un diverso ufficio. Tale articolo non ricomprende, tuttavia, fra tali casi d'incompatibilita', quella del Pretore che abbia proceduto alla convalida dell'arresto e che si veda poi investire del conseguente giudizio direttissimo. Anzi, altra norma del codice di rito, l'art. 566, sesto comma c.p.p. prevede espressamente - almeno secondo la corrente ed indiscussa interpretazione - che il pretore che ha proceduto alla convalida dell'arresto, in generale ove il relativo giudizio abbia avuto esito positivo, proceda immediatamente al giudizio direttissimo. Ne consegue che, non solo l'ipotesi in esame non e' contemplata fra quelle d'incompatibilita', quanto anche che il sistema processual-penalistico vigente sembra imporre l'identita' della persona fisica del magistrato che ha proceduto alla convalida e di quello incaricato del giudizio direttissimo, sicche' tale coincidenza non potrebbe essere neppure evitata tramite una diversa ripartizione tabellare del carico di lavoro dei magistrati addetti alla stessa pretura circondariale. Si tratta dunque di stabilire se la rilevata identita' fisica del giudicante non possa essere di pregiudizio all'imputato e se dunque la stessa, al di la' dell'attuale previsione normativa, non possa essere considerata lesiva dei valori costituzionali. Questo pretore ritiene di dover dare risposta affermativa al quesito, ghiacche' l'originaria previsione dell'art. 34 c.p.p. si e' venuta arricchendo, per effetto degli interventi della Corte costituzionale, di tante e tali ipotesi d'incompatibilita' da fare del principio della terzieta' del giudice un valore di stretta osservanza e di analogica estensibilita' (per effetto di future pronuncie d'incostituzionalita'), al di la' delle ipotesi espressamente previste dal legislatore. In particolare, con riguardo al caso di specie, si osserva che la Corte costituzionale con sentenza del 6 settembre 1995 n. 432 ha dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 34, secondo comma c.p.p., "nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato". Dalla lettura della sentenza si rileva che la Corte ha ritenuto che - anche per effetto del mutamento legislativo derivato dall'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995 n. 332 - il giudizio sull'applicabilita' della misura cautelare sia divenuto cosi' penetrante da non poter essere piu' considerato "di mera legittimita' ma di merito" sulla colpevolezza dell'imputato. Questo pretore concorda con le opinioni espresse in proposito dalla Consulta, come esaurientemente espresse nella suindicata sentenza, alla quale pertanto si riporta, facendole proprie. Si sottolinea qui soltanto come fra l'altro - per effetto della suindicata novella - l'art. 275, comma secondo-bis c.p.p., prevedendo che non possa essere disposta la misura della custodia cautelare nel caso in cui sia concedibile la sospensione condizionale della pena, imponga ora al giudice della misura cautelare di anticipare quello stesso giudizio prognostico che in precedenza veniva normalmente effettuato solo a conclusione del processo per la verifica della possibilita' di concedere il beneficio di cui all'art. 163 c.p. Pertanto, sia sotto questo profilo, che sotto quello ancor piu' pregnate della verifica dei gravi indizi di colpevolezza, gia' ampiamente esaminata dalla Corte, si viene a richiedere sempre piu' al giudice chiamato a decidere sulla misura cautelare un'anticipazione di giudizio sulla sussistenza del reato e la concedibilita' della sospensione condizionale della pena dell'imputato. La Corte ha dunque ravvisato in cio' il determinarsi di una "forza di prevenzione" che mina l'imparzialita' di giudizio del giudice. Tali argomentazioni sembrano valere anche per l'arrestato nel giudizio pretorile che si vede giudicare col rito direttissimo proprio dallo stesso magistrato che ne ha convalidato l'arresto, giacche' la stessa "forza di prevenzione" si viene a determinare in questi per effetto della pronuncia sulla misura cautelare. Tale condizione soggettivadel giudice, del resto, potrebbe anche essere favorevole all'imputato ed invisa alla pubblica accusa (si pensi al caso in cui l'arresto venga convalidato, ma non venga applicata la custodia cautelare proprio per effetto di una anticipatoria prognosi favorevole di futura astensione da altri reati formulata dal Pretore e non condivisa dal p.m.) e si dovrebbe comunque considerare incostituzionale, giacche' la terzieta' del giudice deve considerarsi valore stabilito non nell'interesse del solo imputato, ma anche della corretta amministrazione della giustizia (cosi' si spiega fra l'altro come mai l'art. 34, terzo comma c.p.p. preveda fra le ipotesi d'incompatibilita' anche quella di colui che abbia prestato ufficio di difensore). Nell'attuale mancata previsione dell'ipotesi d'incompatibilita' qui ravvisata si palesa dunque una violazione dell'art. 24, secondo comma c.p.p., che assicura viceversa la difesa "effettiva" di ciascuno in ogni stato e grado del procedimento. A tale profilo d'illegittimita' si aggiunge poi che - per effetto della surrichiamata sentenza della Corte costituzionale n. 432/95 - il caso d'incompatibilita' ivi previsto si e' venuto ad aggiungere alle ipotesi gia' previste dall'art. 34 c.p.p., ragion per cui, ove l'incompatibilita' stessa non si venisse ad estendere ai casi analoghi, si verrebbe a creare una palese disparita' di trattamento tra imputati che si trovano sostanzialmente nella stessa situazione processuale. In particolare, si ravvisa una disparita' di trattamento fra l'arrestato nei confronti del quale non si e' proceduto a giudizio direttissimo e quello per il quale tale scelta sia stata o fatta dal p.m. (come nel rito dinanzi al tribunale) o imposta dalla procedura penale (come nel rito di pretura). Il primo, infatti, si vede riconoscere - allo stato attuale della legislazione - un giudice sicuramente imparziale, giacche' non si e' mai pronunciato nei suoi confronti neppure su di una misura cautelare, mentre il secondo si vede costretto a subire il giudizio di un magistrato che ha convalidato il suo arresto e che magari (come nel caso di specie) gli ha applicato anche una misura cautelare, cosi' manifestando il proprio convincimento di colpevolezza del medesimo e - ove si tratti di custodia cautelare - anche di non concedibilita' della sospensione condizionale della pena. Tale ultimo argomento basta - a parere di questo pretore - per ritenere l'incostituzionalita' dell'art. 34, secondo comma c.p.p., per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del Pretore e piu' in generale del giudice che ha convalidato l'arresto ed eventualmente che ha applicato la misura cautelare a giudicare, nel successivo processo direttissimo, il medesimo soggetto. Per gli stessi motivi si deve ritenere anche l'incostituzionalita' dell'art. 566, sesto comma, c.p.p. nella parte in cui, senza ulteriori specificazioni e disponendo che si proceda immediatamente al giudizio, indica nello stesso magistrato che ha proceduto alla convalida quello automaticamente designato alla trattazione del processo direttissimo. Ne', infine, si potrebbe sostenere che le particolarita' del rito direttissimo e le esigenze di speditezza ed esemplarita' che ne caratterizzano l'esistenza giustifichino la suddetta disparita' di trattamento, giacche' da un lato non pare che il valore processuale della terzieta' del giudice sia sacrificabile in nome della praticita' del rito e dall'altra le suddette esigenze appaiono pienamente compatibili con una completa affermazione di tale terzieta', attraverso l'assegnazione del processo direttissimo a magistrato diverso da quello che ha convalidato l'arresto. Riconoscere l'incompatibilita' qui affermata non significa infatti far venire meno il giudizio direttissimo di Pretura, bensi' garantire all'imputato ed anche al p.m. che a giudicare sia persona diversa da colui che gia' si e' espresso sulla convalida di arresto e la misura cautelare.