IL PRETORE Letti gli atti, a scioglimento della riserva, osserva quanto segue. Con separati ricorsi depositati in data 12 maggio 1994, 23 giugno 1994, 24 giugno 1994, 25 ottobre 1994 Mazzali Alberto, Bergamaschi Corrado, Venco Sergio, Pedretti Carlo, Agostini Rodolfo, Rizzi Aladino, Guerra Giampaolo e Zivelonghi Francesco, medici-chirurghi, hanno proposto opposizione avverso le ordinanze-ingiunzioni n. 7/94/SI in data 8 aprile 1994, 9/94/SI in data 13 maggio 1994, 10/94/SI in data 13 maggio 1994, 11/94/SI in data 13 maggio 1994, 12/94/SI in data 13 maggio 1994, 16/94/SI in data 13 maggio 1994, 24/94/SI in data 3 ottobre 1994, 22/94/SI in data 3 ottobre 1994 del commissario straordinario dell'U.S.S.L. 47 di Mantova con le quali e' stato loro ingiunto il pagamento della somma di L. 2.009.400 (di cui L. 9.400 per spese) a titolo di sanzione amministrativa per la violazione dell'art. 3 della l.-r. 17 febbraio 1986 n. 5 - sanzionata dall'art. 17 della stessa legge - per avere attivato ambulatori medici senza la prescritta autorizzazione. Gli opponenti hanno sostenuto di non aver mai attivato una istituzione sanitaria privata per la quale, ai sensi della citata legge regionale, sia prevista la necessita' di autorizzazione e hanno chiesto l'annullamento delle ordinanze-ingiunzioni opposte. Ha resistito l'Amministrazione ingiungente. All'odierna udienza le cause sono state riunite. Il pretore osserva che uno dei ricorrenti ha chiesto, in via subordinata la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinche' sia dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, lett. a) della l.-r. Lombardia 17 febbraio 1986 n. 5 nella parte in cui equipara gli studi medici privati con dipendenti e targhe pubblicitarie esposte all'esterno agli ambulatori medico-chirurgici per violazione degli artt. 3, primo comma, 117, primo comma e secondo comma e 120, terzo comma, della Costituzione. La questione, sicuramente rilevante ai fini del decidere, appare altresi' non manifestamente infondata in relazione all'art. 3 della Costituzione. Recita l'art. 2, primo comma della citata legge regionale: "Sono istituzioni sanitarie private che svolgono attivita ambulatoriali di cui all'art. 1: a) gli ambulatori medici-chirurgici, caratterizzati da una propria individualita' e autonomia organizzativa o comunque aperti al pubblico, ad eccezione degli studi privati senza dipendenti e che non presentano affisse targhe di pubblicita' sanitaria in cui il singolo medico puo' esercitare prestazioni professionali". Seguendo l'interpretazione della norma sostenuta dalla Amministrazione ingiungente si perviene a una indiscriminata assimilazione di situazioni diverse. Infatti la norma in questione prevede, come unica eccezione alla definizione di istituzione sanitaria privata e quindi alla necessita' della autorizzazione, gli "studi privati senza dipendenti e che non presentino affisse targhe di pubblicita' sanitaria in cui il singolo medico puo' esercitare prestazioni professionali". Se non che, cosi' facendo, si equiparano situazioni assolutamente diverse quali quella degli istituti aventi individualita' e organizzazione propria e autonoma che presentano le stesse caratteristiche delle case e istituti di cura - e che possono essere autorizzati anche a favore di chi non sia medico purche' siano diretti da medici - (tale e' la definizione di ambulatorio contenuta nella tariffa delle tasse e concessioni regionali annessa al d.lgs. 22 giugno 1991 n. 230) e quella dello studio privato del singolo medico il quale abbia ad esempio un solo dipendente e abbia affissa la targa pubblicitaria. Tale assimilazione appare irragionevole atteso che, se scopo della norma e' quello di consentire un particolare controllo da parte della autorita' preposta sui servizi sanitari gestiti da privati, la definizione di ambulatorio deve essere circoscritta solo a quelle strutture che presentino una particolare struttura organizzativa e siano dotate di idonee attrezzature per accertamenti diagnostici e per interventi terapeutici. Considerato pertanto che appare leso il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e che appare necessario l'intervento del giudice delle leggi.