IL PRETORE
 O s s e r v a
   A  seguito  dell'esaurimento dell'istruttoria dibattimentale, si e'
 appurato  che  la  societa'  di  cui  l'imputato  e'  presidente  del
 consiglio  di  amministrazione,  svolgeva  attivita'  di  acquisto  e
 vendita di semilavorati di rottami di metallo destinati alla fusione.
 Si trattava, in tale ultimo caso, degli scarti di  lavorazione  delle
 industrie  che  producevano  il  prodotto  finito, nonche' di rottami
 ferrosi  acquistati   da   soggetti   che   svolgono   attivita'   di
 commercializzazione sul territorio nazionale (teste Galasi introdotto
 dalla difesa).
   Sulla  base di tali risultanze, la difesa di Tonon ha sostenuto, in
 sede di memoria, che l'attivita' commerciale svolta dall'impresa  non
 solo  esula dal campo di applicazione del d.P.R. n. 915/1982, ma che,
 trattandosi di attivita' tesa  all'acquisto  e  alla  raccolta  della
 materia   prima   destinata   alla   fusione,   risultava   parimenti
 inapplicabile la causa di non punibilita' di cui al decreto-legge  n.
 463/1995  oggi  art.  12,  quarto  comma,  decreto-legge  n.  8/1996.
 Cosicche' potevasi giungere ad una assoluzione  del  prevenuto  senza
 affrontare  la  questione  di  costituzionalita' del decreto-legge in
 materia di rifiuti.
   Non condivide tale impostazione il giudicante.
   Il punto di partenza dell'indagine e' indubbiamente la sentenza  23
 marzo  1990  Corte  C.E.E.  in  causa  n. 369/1988 - Zanetti - ove si
 definisce il rifiuto come sostanza od oggetto di cui il detentore  si
 disfi "in qualsiasi maniera detta operazione sia compiuta e qualsiasi
 sia l'intenzione che presiede ad un'operazione del genere".
   Pertanto  si  e'  ritenuto,  nell'impossibilita' di individuare una
 differenza ontologica tra cio' che e' rifiuto e cio' che non  lo  e',
 di statuire che tutti i residui sono rifiuti soggetti o al recupero o
 allo   smaltimento.   Cosicche'   anche   i  rifiuti  destinati  alla
 riutilizzazione restano soggeti alla disciplina del d.P.R. n.  915  a
 cui potranno sottrarsi a determinate condizioni.
   La direttiva C.E.E. n. 91/156 parrebbe individuare una categoria di
 rifiuto,  tipizzandola  e  astraendola dalla volonta' del produttore.
 Si  fa'  infatti  riferimento  a  qualsiasi  sostanza   che   rientri
 nell'allegato  1.  In  realta'  si  aggiunge  "di cui il detentore si
 disfi, abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi" cosi' introducendo
 nuovamente la destinazione piu' o meno obbligata impressa  dall'uomo.
 Ma  a  ben  vedere,  l'allegato  1 si chiude con una enunciazione che
 rappresenta  una  clasuola  aperta  "qualunque  sostanza,  materia  o
 prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate".
   Pertanto  nuovamente  si  e'  nella  necessita'  di distinguere dal
 concetto onnicomprensivo di rifiuto cio' che rifiuto non  e'  e  come
 tale non puo' essere assoggettato alla relativa disciplina.
   L'art.  2  d.P.R. n. 915/1982, disciplina positiva non in contrasto
 con la normativa comunitaria, definisce il rifiuto  come  sostanza  o
 oggetto  derivante  da  attivita'  umana  o  da  cicli  naturali.  Si
 tralascia in questa sede l'approfondimento sulla  seconda  parte  del
 comma  ove si pone l'accento sulla destinazione del rifiuto, che apre
 le problematiche relative all'introduzione  del  criterio  soggettivo
 della  volonta'  di  disfarsi  piuttosto  che  quello oggettivo della
 destinazione   naturale   della   res   all'abbandono   ovvero   piu'
 correttamente  della  necessaria compresenza dei due requisiti (Cass.
 pen. sez. III, 16 aprile 1994 n. 4431).
   E' evidente che  tornando  alla  fattispecie  concreta,  i  rottami
 ferrosi  null'altro  sono  che  le  sostanze che derivano e residuano
 dall'attivita'  umana  di  produzione  non  rimanendo  impiegati  nel
 prodotto finito.
   Il  produttore  non  li  riutilizza,  ma  li  cede  ad altri dietro
 pagamento del corrispettivo.
   In primis abbiamo  quindi  delle  sostanze  residuali  rispetto  al
 prodotto,   che   il   detentore  cede  (concetto  di  rifiuto),  non
 trattenendole  per  una  autonoma  utilizzazione  nel  proprio  ciclo
 produttivo.
   Seguendo   l'impostazione   dei  vari  decreti-legge  che  si  sono
 succeduti nel tempo e da ultimo il  decreto-legge  n.  8/1996  devesi
 verificare  se  tali  sostanze rientrano in quelle riutilizzate in un
 ciclo di produzione e pertanto la loro  utilizzazione  a  determinate
 condizioni  risulta  disciplinata da causa di non punibilita', ovvero
 se trattasi di sostanze che comunque per le loro caratteristiche  non
 sono soggette al campo di applicazione del decreto in quanto non sono
 residui-rifiuti.
   Tale  e'  l'ipotesi  dei  materiali quotati in borsa o in listini e
 mercuriali (art. 3, terzo comma, decreto-legge citato).
   Premesso  pertanto  che  gli  scarti  ferrosi  o  rottami   ferrosi
 astrattamente  potrebbero  classificarsi come rifiuti (ai sensi e per
 gli effetti dell'art. 2 d.P.R. n. 915/1982) devesi rilevare  che  non
 pare  si  possa  farli  rientrare nei residui destinati al riutilizzo
 nello stesso ciclo di produzione.
   Cio' indubbiamente per quei rottami acquistati da  imprese  che  ne
 svolgono commercio sul territorio nazionale - mancando l'unicita' del
 ciclo  di  produzione  - ma anche per quelli acquistati dalla imprese
 che realizzano il prodotto finito e che li cedono all'impresa di  cui
 il prevenuto e' presidente.
   Tali   scarti   a  seguito  di  fusione  verranno  poi  indirizzati
 nuovamente alle imprese produttrici. Cio' astrattamente potrebbe  far
 ritenere  che  tutte queste fasi facciano parte di un medesimo ciclo.
 In  realta',  cosi'  non  e',  in  quanto  l'unicita'  del  ciclo  di
 produzione   devesi  ritenere  interrotta  laddove  lo  scarto  viene
 commercializzato  a  soggetti  terzi.  La  commercializzazione   come
 cessione  a  titolo  oneroso  ad  altri soggetti e' attivita' diversa
 dalla produzione e comporta  una  destinazione  diversa  rispetto  al
 riutilizzo.  Trattasi  infatti  di  cessione dietro corrispettivo. Il
 soggetto ricevente poi, stante l'omegenieta' dei materiali  ottenuti,
 potrebbe,  a  seguito di fusione, utilizzare il prodotto ottenuto per
 inviarlo ad altra impresa che impieghi nel proprio sistema lo  stesso
 tipo di lavorati; come a dire che con l'originaria cessione di quello
 scarto,  esso  non  e'  destinato  ad essere reimpiegato nello stesso
 processo produttivo, sia perche' si  e'  operata  una  cesura  logica
 attraverso   la  commercializzazione,  sia  perche'  il  semilavorato
 ottenuto a seguito  di  fusione  rappresentata  un  componente  della
 produzione   non   destinato   necessariamente  alla  stessa  impresa
 produttrice.
   Piu'  correttamente,  ad  avviso  dello  scrivente,   i   materiali
 rappresentano  quelle  merci  che  ai sensi dell'art. 3, terzo comma,
 decreto-legge n. 8/1996 sono esclusi dal campo  di  applicazione  del
 decreto.  Infatti sono quotati negli estimi delle camere di commercio
 e hanno le caratteristiche  di  lunghezza,  larghezza,  composizione,
 etc. tali da consentire la quotazione.
   L'esclusione  operata dall'art. 3 citato comporta che tali sostanze
 non  possano  essere  considerati  rifiuti  o  residui  destinati  al
 riutilizzo.   Il valore economico delle stesse parrebbe assoggettarle
 a merce di scambio.
   Infatti, dall'ambito di applicazione  della  normativa  di  cui  il
 decreto-legge n. 8/1996 sono esclusi "i materiali quotati con precise
 specifiche  merceologiche  in  borse  merci o in listini e mercuriali
 ufficiali istituiti presso  le  C.C.I.A.A.  sotto  la  vigilanza  del
 Ministero dell'industria, del commercio, dell'artigianato individuati
 nell'elenco di cui all'allegato 1 al d.m. 5 settembre 1994...".
   Una  disposizione  analoga  a quella sopra indicata si rinviene nel
 decreto del Ministero dell'ambiente 26 gennaio  1990  dove,  all'art.
 1,  quarto  comma,  gia'  si prevedeva l'esclusione delle merci dalla
 sfera di applicazione della normativa sui rifiuti.
   Con tale decreto si e' provveduto a seguito di ricognizione fra  le
 amministrazioni  concertanti,  alla formazione di un elenco nazionale
 dei materiali quotati presso le camere di commercio dei capoluoghi di
 regione che continueranno ad essere esclusi dal campo di applicazione
 del decreto-legge nonche' di quelli  ai  quali  l'esclusione  non  si
 applica.
   In effetti l'allegato 1 del d.m. 5 settembre 1994 prevede i rottami
 ferrosi.   L'articolo  in  questione  prevede  poi  che  con  decreto
 ministeriale possano essere apportate  modifiche  ed  integrazioni  a
 tale  allegato  previa  comunicazione da parte delle C.C.I.A.A. entro
 ogni 31 dicembre di nuovi materiali quotati.
   Il problema non puo'  certo  dirsi  risolto  con  l'emanazione  del
 predetto  decreto  che  non  provvede ad altro se non ad una nuova ed
 arbitraria classificazione dei materiali  gia'  "identificati"  dalle
 camere di commercio e, poiche' non risulta specificato alcun criterio
 di  selezione  che  i  ministeri  competenti  devono rispettare nella
 formazione degli elenchi, potra' verificarsi l'ipotesi che la  stessa
 sostanza  per  un  periodo  circoli  come  "merce", senza i controlli
 previsti per i residui, in quanto quotata in  borsa  od  inserita  in
 listini  e  mercuriali  (e non soggetta ad alcuna normativa) e poi, a
 seguito di ricognizione ministeriale, qualora come residuo e, perche'
 no, magari tossico e nocivo e pertanto,  improvvisamente,  sottoposta
 alla prescritta normativa amministrativa e penale.
   La  classificazione a "strati successivi" dei vari prodotti previsa
 dal meccanismo sopra indicato si appalesa in evidente  contrasto  con
 il principio di riserva di legge in quanto l'applicazione della norma
 penale  dipende  dalle  eventuali modifiche di atti amministrativi in
 particolare  dalle  variazioni  di  cui e' successibile, in qualunque
 momento, il decreto ministeriale  in  relazione  all'attivita'  delle
 Camere  di  commercio  nonche'  dalle discrezionali determinazioni di
 questi enti in ordine all'inserimento delle merci nelle quotazioni in
 borsa o in listini e mercuriali.
   L'art. 12, quarto comma, del decreto-legge n.  8/1996  prevede  una
 causa  di  estinzione  dei  reati  commessi  in passato in materia di
 rifiuti e precisamente nell'esercizio di attivita'  qualificate  come
 operazioni  di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento, recupero
 o riutilizzo dei residui qualora  i  soggetti  interessati  si  siano
 uniformati  alle  disposizioni  del  d.m. 26 gennaio 1990 ovvero alle
 norme regionali.
   Ora con il decreto-legge in esame si "rivitalizza" un provvedimento
 ministeriale ritenuto costantemente inapplicabile nella parte in  cui
 non    era    gia'    stato    caducato    in   sede   di   pronuncia
 d'incostituzionalita'.
   Nel caso di specie trova applicazione la gia' richiamata esclusione
 dell'ambito della disciplina dei  residui/rifiuti  dei  materiali  in
 borsa-merci  o  listini  prevista dall'art. 1, quarto comma, del d.m.
 del 1990, con la conseguenza di  eliminare  la  rilevanza  penale  di
 condotte  omissive degli obblighi sanciti dalla normativa sui rifiuti
 in presenza di un atto amministrativo che inserisca il  bene  fra  le
 "merci".
   La  Corte  costituzionale ha annullato gli artt. 4, primo comma, 6,
 primo comma, del decreto del Ministero dell'ambiente 26 gennaio  1990
 "Individuazione delle materie prime secondarie e determinazione delle
 norme  tecniche  generali  relative  alle  attivita'  di  stoccaggio,
 trasporto, trattamento e riutilizzo delle materie prime  secondarie",
 limitatamente alle disposizioni relative alle procedure autorizzative
 ivi  considerate  (artt.  8,  9,  10,  11,  12 e 13) sotto un duplice
 profilo:   sia in quanto impongono  statuizioni  che  esorbitano  dai
 limiti  propri  del potere ministeriale di adottare le norme tecniche
 generali, sia in quanto  impongono  adempimenti  in  materie  che  la
 Costituzione sottopone a riserva di legge o al principio di legalita'
 sostanziale (cfr.  C. cost., 30 ottobre 1990, n. 512).
   Pertanto l'emanazione mediante decreto ministeriale della anzidetta
 normativa  e'  illegittima  in  quanto  adottata,  conclude la Corte,
 "senza  la  dovuta  copertura  legale  e   con   un   atto   (decreto
 ministeriale)  inidoneo  a  validamente porre norme diverse da quelle
 tecniche generali" (cfr.  sent. cit.).
   Le disposizioni del  decreto-legge  in  oggetto  fanno  addirittura
 dipendere l'obbligatorieta' dell'adempimento di determinate attivita'
 imposte  agli  operatori  del settore e penalmente sanzionate nonche'
 l'operativita'  della  causa  di  estinzione  del   reato   da   atti
 amministrativi delle Camere di commercio e del ministero competente.
   Pertanto,  nel  caso di specie, sono illegittimi per violazione del
 principio di riserva di legge penale, sia l'art. 3, quarto  e  quinto
 comma,  e  12, quarto comma, del decreto-legge in quanto rimettono al
 potere discrezionale delle Camere  di  commercio  e/o  del  Ministero
 dell'ambiente  la  facolta'  di  togliere  rilevanza  penale  a certi
 comportamenti mediante l'inserimento in borse merci o  in  listini  e
 mercuriali  di  determinati  prodotti  nonche' mediante la formazione
 degli  elenchi  dei  materiali  da  escludere  dall'applicazione  del
 decreto  e di quelli ai quali l'esclusione stessa non si applica, sia
 agli artt. 1 e 2 del d.m. 5 settembre 1994  in  quanto  costituiscono
 l'esercizio del potere illegittimo anzidetto.
   Il  legislatore, con la decretazione d'urgenza, ha inteso sottrarre
 dall'ambito  della  discliplina  prevista  per   le   materie   prime
 secondarie  e per i rifiuti una serie non ben definita di materiali e
 cio' in contrasto con quanto previsto dall'art. 2 lett. A) e )K)  del
 Regolamento C.E.E. n. 259/1993, entrato in vigore il 10 maggio 1994 e
 direttamente  applicabile  nel  territorio nazionale, che richiama le
 nozioni di rifiuto destinato al recupero di cui all'art. 1  lett.  A)
 ed  )F)  di cui alla direttiva n. 75/442/C.E.E. cosi' come modificata
 dalla successiva n. 91/156/C.E.E. e che non contempla sostanze,  come
 quella   indicate   nel   decreto  ministeriale,  escluse  dalla  sua
 applicazione.
   Anzi, nell'allegato  II  al  citato  regolamento  (lista  verde  di
 rifiuti)  i  rottami  ferrosi  di  cui  al presente procedimento sono
 qualificati espressamente come  "rifiuti"  e  che  quindi  ricompresi
 nella relativa disciplina.
   Il   decreto-legge  in  esame  deve  quindi  ritenersi  emanato  in
 violazione dell'art. 10 della Costituzione, per mancata conformazione
 alle citate norme del diritto internazionale.
   La  giurisprudenza  italiana  ha  costantemente  affermato  che  le
 "materie  prime  secondarie,  proprio perche' si tratta pur sempre di
 sostanze di cui il detentore si disfa o ha l'intenzione di  disfarsi,
 lungi  dal  rappresentare  una  categoria  autonoma ed altenativa dei
 rifiuti veri e propri, ne costituiscono solo  una  specie,  sia  pure
 particolare,  attesa  la  loro  provenienza  e  la loro attitudine ad
 essere utilizzate come materie prime in  altri  processi  produttivi"
 (cfr. Cass. Sez.  Un.; 27 maggio 1992, imp. Viezzoli).
   Le  notizie  di rifiuto deve riferirsi quindi a qualunque "sostanza
 od oggetto ormai inservibile alla sua funzione originaria, dismesso o
 destinato ad essere dismesso da colui che lo detiene, anche  mediante
 un  negozio  giuridico  (cfr. Cass., Sez. III, 26 febbraio 1991, imp.
 Lunardi).
   Appare palese il  contrasto  delle  sopra  richiamate  definizioni,
 conformi  alla  normativa  comunitaria  ed  alla giurisprudenza della
 Corte europea di giustizia,  con  la  previsione  di  sottrarre  alla
 normativa  sui  rifiuti  dei  materiali  solo  perche' inseriti nelle
 quotazioni delle borse merci o in listini e mercuriali  e/o  dopo  la
 "ricognizione positiva" del Ministero dell'ambiente.
   Si  ritiene  ancora  che  l'ormai  indeterminabile reiterazione dei
 decreti-legge (il primo risale al 9 novembre 1993), che ha comportato
 di fatto l'esautoramento delle Assemblee parlamentali  della  propria
 ed  esclusiva  competenza  a  disporre  in  materia  penale, si ponga
 anch'essa in conflitto con il principio di riserva  di  legge  penale
 con il dettato dell'art. 77 della Costituzione.
   In  proposito  la  "rituale"  mancata  conversione  dei  decreti ha
 determinato l'estromissione del Parlamento, al quale la  Costituzione
 riserva  il  potere  esclusivo  in  tema di politica criminale, dalle
 scelte di politica legislativa nella materia dell'inquinamento con la
 conseguenza che il sistema sanzionatorio e' il risultato  della  mera
 volonta'  del  potere  esecutivo  e  cio' in contrasto con i principi
 della Carta costituzionale.
   Pertanto il modus operandis anzidetto risulta in contraddizione con
 l'art.  25  della  Costituzione  e con i principi di cui all'art.  77
 della Costituzione.
   Come sopra esposto il sistema creato da' luogo ad una situazione di
 effettiva incertezza  del  diritto  con  conseguente  difficolta',  o
 meglio  impossibilita',  di  applicazione  della  tutela  penale  con
 l'inevitabile conseguenza di favorire l'inquinamento  ed  il  degrado
 dell'ambiente naturale in senso lato.
   Sotto  questo  aspetto  si puo' ravvisare la violazione degli artt.
 9, secondo comma, e 32 della Costituzione.
   Infatti l'esclusione di qualsiasi tipo di controllo per determinati
 materiali comporta il pericolo che gli stessi  vengano  smaltiti  con
 sistemi  non  idonei se non addirittura abbandonati nell'ambiente con
 conseguente  grave  pregiudizio  per  la  tutela  del  paesaggio,  da
 intendersi   non   solo   nel   suo  aspetto  estetico-panoramico  ma
 comprensivo della  valorizzazione  delle  peculiarita'  naturali  del
 territorio e del mantenimento degli ecosistemi.
   Di  conseguenza  essendo  la  tutela  del  paesaggio funzionalmente
 collegata alla tutela del diritto alla  salute  inteso  come  diritto
 alla  salubrita'  dell'ambiente  in  cui  l'uomo  abita  o lavora, la
 normativa in esame, contemplando una vera e propria  depenalizzazione
 rispetto   a   condotte   volte   a   pregiudicare  la  preservazione
 dell'integrita' delle condizioni oggettive  del  suolo,  dell'aria  e
 dell'acqua   a   fronte   dell'inquinamento,   si   pone   in  palese
 contraddizione rispetto all'art. 32 della  Costituzione  (cfr.  Corte
 costituzionale 31 dicembre 1987 n. 641; Corte costituzionale 16 marzo
 1990  n. 127; Cass. Sez. Un. 6 ottobre 1979 n. 517; Cass.  Sez. Un. 3
 luglio 1991 n. 7318).
   La questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 12  del
 decreto-legge  n. 8/1986 appare pertanto non manifestamente infondata
 in relazione agli artt. 9, 10, 25 e 32 della Costituzione e rilevante
 ai fini della decisione del giudizio perche' dall'applicazione  delle
 anzidette   regole,   come   sopra   esposto,   dipende   l'immediato
 proscioglimento dell'imputato.