ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  81,  secondo
 comma,  del codice penale, promossi con ordinanze emesse il 27 maggio
 1995 dal pretore di Brescia  nel  procedimento  penale  a  carico  di
 Falardi  Gian  Pietro  ed  altro,  iscritta  al  n.  955 del registro
 ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1996 ed il 4 dicembre 1996 dal
 pretore di Milano sull'istanza proposta da Magnoni Santina,  iscritta
 al  n.    78  del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 10,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1997.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  21  maggio  1997  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
   Ritenuto  che  il  pretore  di Brescia, con ordinanza del 27 maggio
 1995, ha sollevato, in riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  dell'art.  81, secondo comma, del codice
 penale, "nei limiti in cui non consente l'applicazione del  beneficio
 della continuazione ai reati colposi";
     che  un'analoga questione ha sollevato pure il pretore di Milano,
 con ordinanza del 4 dicembre 1996, sempre denunciando, per violazione
 del principio di eguaglianza, l'art. 81, secondo  comma,  del  codice
 penale,  "nella  parte in cui non consente l'applicazione del vincolo
 continuativo anche a fattispecie colpose,  ove  riconducibili  ad  un
 unitario   atteggiamento   inerte  e  negligente,  sotto  il  profilo
 squisitamente psicologico";
     che in entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale dello Stato, chiedendo la dichiarazione di  inammissibilita'
 o di infondatezza della  questione.
   Considerato  che  le ordinanze di rimessione sollevano una identica
 questione e che, dunque, i giudizi devono essere riuniti;
     che  i  giudici  a   quibus   preso   atto   dell'interpretazione
 giurisprudenziale,  costante  nell'escludere  il ricorso all'istituto
 della continuazione fra reati colposi, richiedono a questa  Corte  un
 intervento  che, muovendo dalla asserita compatibilita' tra i delitti
 colposi e il detto  istituto,  pervenga  ad  una  pronuncia  di  tipo
 additivo che, in contrasto con l'interpretazione propria del "diritto
 vivente",  consenta  l'applicazione  del  regime del reato continuato
 pure nella materia dei reati colposi, cosi' da eliminare dal  sistema
 un'irragionevole   disparita'   di   trattamento   tra  chi  commetta
 intenzionalmente plurime violazioni della legge penale,  assoggettato
 al piu' mite regime del cumulo giuridico, e chi commetta, invece, non
 intenzionalmente  le stesse violazioni, assoggettato, invece, al piu'
 severo regime del cumulo materiale;
     che, pero', le situazioni poste a  confronto  sono  profondamente
 diverse  non  risultando  ipotizzabile  in  materia  di reati colposi
 l'identita'  del  disegno  criminoso   che   costituisce   l'elemento
 unificatore  delle  singole  violazioni  e  che,  quindi,  giustifica
 l'applicabilita' del cumulo giuridico anziche' del cumulo materiale;
     che la questione e',  quindi,  manifestamente  infondata  perche'
 l'inoperativita'  della disciplina della  continuazione in materia di
 reati colposi trova una  giustificazione  non  irragionevole  proprio
 nella   incompatibilita'   tra   reato  colposo  e  medesimo  disegno
 criminoso, quale dato unificante  le  singole  violazioni  nel  reato
 commesso con dolo.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.