IL TRIBUNALE Ha pronunziato le seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 1512 dell'anno 1990 del ruolo generale degli affari contenziosi, passata in decisione alla pubblica udienza collegiale del giorno 25 giugno 1991, vertente tra Palermo Francesco, elettivamente domiciliato in Reggio Calabria, via De Nava n. 13 presso lo studio del dottore procuratore Rosamaria Lascala che lo rappresenta e difende per procura a margine dell'atto di citazione, attore, contro il Ministero delle poste e telecomunicazioni, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, distrettuale dello Stato di Reggio Calabria presso i cui uffici ha domicilio legale, convenuto; Esaminati gli atti; Premesso in fatto Con atto di citazione notificato il 26 aprile 1990, Palermo Francesco conveniva in giudizio dinanzi a questo tribunale il Ministero delle poste e telecomunicazioni, in persona del Ministro pro-tempore, e, premesso che, avendo appreso da un quotidiano economico della indizione di un pubblico concorso per amministratori presso la Corte di giustizia della comunita' economica europea, aveva richiesto all'ufficio stampa della sede di Roma della Commissione di tale comunita', con lettera raccomandata-espresso del 13 gennaio 1990, l'invio di ogni utile informazione e dei modelli necessari per la presentazione della domanda di partecipazione; che, impossibilitato a causa di malattia a recarsi personalmente a Roma a ritirarli, ne aveva sollecitato telefonicamente piu' volte l'invio, avendo costante assicurazione della loro avvenuta spedizione a mezzo posta con recapito per espresso; che, invece, tali modelli erano pervenuti, con plico raccomandato, soltanto il 22 febbraio 1990, quando ormai era scaduto il termine ultimo di presentazione della domanda di partecipazione, fissato nel giorno 16 febbraio precedente; che dalla impossibilita' di partecipazione al concorso era a lui derivato un gravissimo danno sia perche' egli aveva tutti i requisiti per superare la prova sia perche' aveva gia' sopportato notevoli spese per prendere lezioni private di lingua spagnola; Tanto premesso, chiedeva che il Ministero convenuto fosse ritenuto responsabile dei danni da lui subiti e, conseguentemente, condannato al loro risarcimento. Si costituiva in giudizio il Ministero delle poste e telecomunicazioni, in persona del Ministro pro-tempore, il quale contestava la fondatezza della domanda, di cui chiedeva il rigetto, rilevando che per legge nessuna responsabilita' poteva su di esso gravare per il solo ritardo nel recapito della corrispondenza, e che comunque l'attore non era titolare di alcuna posizione soggettiva risarcibile. Cosi' instauratosi il contraddittorio, all'udienza del 17 aprile 1991 le parti precisavano le conclusioni riportandosi a quelle gia' rassegnate nei rispettivi primi atti difensivi; ed infine all'udienza collegiale del 25 giugno 1991 la causa veniva assegnata a sentenza. O s s e r v a La questione sottoposta all'esame del Collegio riguarda la risarcibilita' da parte dell'Amministrazione convenuta del danno subito dall'attore per la mancata partecipazione ad un concorso bandito dalla CEE; ed in particolare per l'impossibilita' di presentare tempestivamente la domanda di partecipazione a seguito del ritardo nel recapito dell'"espresso" contenente il bando ed il modulo per la presentazione della propria candidatura. Contrariamente all'assunto difensivo dell'Amministrazione convenuta, la giurisprudenza di legittimita', ormai da diversi anni, afferma la risarcibilita' del danno costituito dalla "privazione della possibilita' di vincere un concorso (cosiddetta chance)", anche ove sia "in concreto difficile o impossibile" la prova che l'aspirante ne sarebbe risultato vincitore, dal momento che "il concetto di perdita e di guadagno di cui all'art. 1223 c.c. si riferisce a qualsiasi utilita' economicamente valutabile" e quindi anche alla "perdita di una chance (..) idonea a produrre anche solo probabilmente e non con assoluta certezza un determinato reddito" (Cass. 12 ottobre 1988 n. 5494 e Cass. 19 novembre 1983 n. 6906; cfr., anche, Cass. 19 dicembre 1986 n. 6506). Nel caso di specie, tuttavia, la domanda risarcitoria troverebbe un insormontabile ostacolo nella norma di cui all'art. 6 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, secondo cui l'Amministrazione postale "non incontra alcuna responsabilita' per i servizi postali, di bancoposta e delle telecomunicazioni fuori dei casi e dei limiti espressamente stabiliti dalla legge": non essendo prevista, infatti, alcuna responsabilita' per il ritardo nel recapito della corrispondenza, dovrebbe affermarsi l'infondatezza della richiesta del Palermo. A tale conclusione indurrebbe anche giurisprudenza, in verita' non proprio recente, della Corte di cassazione, la quale ha avuto modo di sostenere che "la responsabilita' dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni per i danni arrecati agli utenti nell'espletamento dei suoi servizi ha natura contrattuale e, ai sensi dell'art. 6 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, puo' essere affermata soltanto nei casi (e nei limiti) espressamente stabiliti dalla legge, e, pertanto, non sussiste per il ritardo nel recapito della corrispondenza; la norma citata - che ha lo scopo di garantire all'amministrazione, in considerazione della complessita' del servizio pubblico affidatole, la piu' ampia discrezionalita' nell'organizzazione del medesimo - non e' in contrasto ne' con l'art. 28 ne' con l'art. 97, primo comma, Cost." (Cass. 24 settembre 1981 n. 5176; cfr., anche, Cass. 5 febbraio 1980 n. 801). L'art. 6 in esame, pero', e gli artt. 28, 48 e 93 dello stesso d.P.R. n. 156/1973, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, "nella parte, in cui dispongono che l'amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni non e' tenuta al risarcimento dei danni, oltre all'indennita' di cui all'art. 28, in caso di perdita o manomissione di raccomandate con le quali siano spediti vaglia cambiari emessi in commutazione di debiti dello Stato". Ha osservato in motivazione la Corte costituzionale: "Secondo una formula tralaticia (...) l'esenzione dell'amministrazione delle poste, da responsabilita' per danni verso l'utenza si giustificherebbe per la necessita' jdi garantire all'amministrazione la piu' ampia discrezionalita' nell'organizzazione del pubblico servizio"", ponendola al riparo da sanzioni risarcitorie per inconvenienti e imperfezioni nell'adempimento delle prestazioni, inseparabili dalle scelte organizzative da essa fatte, le quali possono tradursi nel mancato rispetto di regole di servizio da parte del dipendente, delle quali, per le complessita' dell'organizzazione e la difficolta' dei controlli, non e' possibile garantire l'assoluta e costante osservanza". Ma una simile costante giustificazione, improntata a una concezione del servizio postale come servizio puramente amministrativo, non regge di fronte all'art. 43 Cost., che ha istituito uno stretto collegamento tra la nozione di servizio pubblico essenziale e la nozione di impresa. Se ne deduce che tutti i servizi pubblici essenziali devono essere organizzati e gestiti in forma di impresa, ossia, come dispone l'art. 2 legge 17 maggio 1985 n. 210 per il servizio ferroviario, "jcon criteri di economicita'", i quali comportano la conformazione dei rapporti con gli utenti come rapporti contrattuali, fondamentalmente soggetti al regime del diritto privato. (..) L'eccezione confermata dal d.P.R. n. 156 del 1973 in favore dell'amministrazione delle poste, la cui discrezionalita' organizzativa non e' correlata col principio di responsabilita', si spiega solo come retaggio storico di un privilegio risalente alle origini del servizio postale. (..) La sua conservazione non ha alcuna giustificazione nell'ordinamento attuale, dove il servizio postale non puo' piu' essere considerato un bene patrimoniale dell'erario e si configura invece, secondo il criterio organizzativo impartito dall'art. 43 Cost., come un'impresa gestita dallo Stato in regime di monopolio, ossia come una forma di partecipazione dello Stato all'attivita' economica" (Corte costituzionale, 17 marzo 1988 n. 303). Tali argomentazioni inducono il Tribunale a ritenere d'ufficio non manifestamente infondata la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. n. 156/1973, nella parte in cui, esclude la tenutezza dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni al risarcimento dei danni cagionati agli utenti per l'ingiustificato ritardo nel recapito della corrispondenza, in relazione agli artt. 3, 28, 43, 97 e 113 Cost. Sembra evidente, infatti, che la citata giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale esclude la responsabilita' dell'amministrazione postale per il ritardo nel recapito della corrispondenza richiamando l'esigenza "di garantire all'amministrazione, in considerazione della complessita' del servizio affidatole, la piu' ampia discrezionalita' nell'organizzazione del medesimo", risulta travolta dalle considerazioni del giudice delle leggi, che ritiene appunto l'irresponsabilita' un inammissibile privilegio per un'Amministrazione pur sempre tenuta ad informare la propria attivita' ai principi di economicita' e di buon andamento del servizio. Risulterebbe pertanto ingiustificabile ormai, negare all'utente la tutela giusdizionale delle proprie posizioni giuridiche lese da una condotta non conforme a tali principi; e cio', potrebbe anche contrastare, irragionevolmente, con l'opposto principio di responsabilita' affermato per altre imprese esercenti servizi pubblici essenziali, come, ad esempio, l'amministrazione ferroviaria. La questione, oltre che non manifestamente infondata, e' anche rilevante per il caso in esame. La documentazione acquisita al fascicolo, dell'attore evidenzia infatti che, ad evasione, della richiesta formulata dal Palermo con lettera raccomandata-espresso il 13 gennaio 1990, l'Ufficio per l'Italia della CEE invio' per espresso il bollettino C 324 del 28 dicembre 1989, che comprendeva, sia il bando sia l'atto di presentazione della candidatura relativi al concorso n. CJ 96/1989 per Amministratori. Tale "espresso" fu spedito il 19 gennaio 1990 e pervenne a Reggio Calabria, per essere recapitato al Palermo, solo il 21 febbraio successivo. Sulle date fanno fede, infatti, rispettivamente la c.d. impronta della macchina affrancatrice e il bollo apposto sul retro della corrispondenza. Quanto alla prima, va ricordato che, ai sensi dell'art. 249 secondo comma del d.P.R. 29 maggio 1982 n. 655, "la data del bollo deve essere quella del giorno in cui gli oggetti sono consegnati all'ufficio postale designato o, se trattasi di corrispondenza in corso particolare, alla persona incaricata del trasporto o recapito": cosicche' non puo' essere posto in dubbio che proprio il 19 gennaio 1990, data risultante dal bollo, l'espresso venne consegnato per la spedizione. Il secondo, poi, con ogni evidenza non puo' essere stato apposto se non anteriormente alla consegna dell'espresso stesso al Palermo, il quale dunque ne venne in possesso in data successiva alla scadenza del termine ultimo per la presentazione dell'atto di candidatura, fissato dal bando nel 16 febbraio 1990. Consegue, quindi, che la partecipazione dell'attore, al concorso fu irrimediabilmente compromessa dal ritardo nel recapito dell'espresso. E non sembra al Collegio di dover argomentare, attesa la assoluta evidenza della circostanza, sul perche' una corrispondenza, per la quale sia richiesto il recapito per espresso, con il regolare, pagamento dell'importo della relativa francatura, debba considerarsi in ritardo se pervenga al destinatario dopo oltre un mese dalla data di spedizione. Cosi' stando le cose, l'applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, in materia di risarcibilita' della chance, comporta - una volta dichiarato costituzionalmente illegittimo, con sentenza n. 15/1991 della Corte costituzionale, l'art. 20 di tale d.P.R., che subordinava la proposizione dell'azione giudiziaria al preventivo reclamo in via amministrativa - che la deliberazione della richiesta risarcitoria non puo' prescindere dal giudizio sulla legittimita' costituzionale, nei termini sopra indicati, del ripetuto art. 6 d.P.R. n. 156/1973. A tale scopo gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale, fino alla cui pronunzia deve essere sospeso il presente giudizio.