IL PRETORE
   A  scioglimento  della  riserva  formulata all'udienza del 15 marzo
 1996 nella causa r.g.l. 14170/1995 promossa da Levorato Maria  contro
 INPS, premesso guanto segue: la parte ricorrenete, gia' dipendente di
 un'azienda  in  crisi  ai  sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223 e
 beneficiario  dall'11  febbraio  1992  all'11  febbraio  1995   della
 mobilita'  corta  ex  art.  7, primo comma, legge cit., chiede che il
 pretore voglia riconoscergli il diritto alla pensione di vecchiaia al
 compimento del  cinquantacinquesimo  anno  di  eta'  e  cioe'  dal  1
 dicembre  1994,  anziche'  dal  cinquantasettesimo anno di eta', come
 viceversa sostenuto dall'I.N.P.S.
   Al fine di fondare la propria domanda osserva:
     che  il  trattamento  di  mobilita'  le  e'  stato  concesso  sul
 presupposto  e  dandole la certezza che, prima della fine del periodo
 di mobilita', e precisamente in data 1  dicembre  1994,  come  emerge
 dalla  comunicazione  I.N.P.S:  in  atti  (cfr.  doc.  3  prod. parte
 attrice), gli sarebbe stata corrisposta  la  pensione  di  vecchiaia,
 compiendosi l'eta' pensionabile il 25 novembre 1994;
     che durante il periodo di mobilita' e' pero' intervenuto dapprima
 l'art.  1  (e  relativa  tabella  A) del d.-lgs. 30 dicembre 1992, n.
 503,  che  ha  elevato  l'eta'  pensionabile,   per   le   donne   al
 cinquantaseiesimo  anno  di  eta'  e per gli uomini al sessantunesimo
 anno  di  eta',  quanto al periodo 1 gennaio 1994-31 dicembre 1995, e
 rispettivamente al  cinquantasettesimo  e  al  sessantaduesimo  anno,
 relativamente  all'arco  temporale 1 gennaio 1996-31 dicembre 1997, e
 poi l'art. 11 (e relativa tabella A) della legge 23 dicembre 1994, n.
 724,  che   ha   modificato   i   citati   periodi   di   riferimento
 rispettivamente  in  1  gennaio  1994-30  giugno 1995 (sessantunesimo
 anno) e in 1 luglio 1995-31 dicembre 1996 (sessantaduesimo anno);
     che parte ricorrente non puo' peraltro esser assoggettato a  tale
 normativa    peggiorativa,   dovendosi   fare   riferimento,   quanto
 all'individuazione dei requisiti di eta' per il  pensionamento,  alla
 data di inizio della mobilita';
     che  ragionare  diversamente,  seguendo  la  tesi  dell'I.N.P.S.,
 significa privare il lavoratore, quanto al periodo intercorrente  tra
 la  fine  della  mobilita'  e  la  nuova data di pensionamento (nella
 fattispecie, dal 12 febbraio 1995 al 1 dicembre 1996), di ogni  fonte
 di reddito:  della retribuzione, giacche' escluso per ragioni di eta'
 dal  mercato  del  lavoro;  della mobilita', perche' non prorogabile;
 della  pensione,  per  essere  nel  frattempo  stato  modificato   il
 requisito di eta';
     che,  per evitare un simile esito ed effetto, si rende necessario
 e doveroso interpretare estensivamente il disposto  di  cui  all'art.
 6,  comma  10-bis, del d.-l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito nella
 legge 19 luglio 1994, n. 451, riferendolo  non  solo  alla  mobilita'
 lunga  (art.  7,  comma sesto e settimo, della legge n. 223/1991), ma
 anche a quella corta (art. 7, primo comma, stessa legge), secondo  la
 ratio di tale enunciato.
   Prospetta  in subordine un'eccezione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1 del d.lgs. n. 503/1992, come innovato dall'art. 11  della
 legge   n.   724/1994,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione, nella parte di cui  non  fa  salva  l'applicazione  dei
 limiti  di  eta'  previsti  dalla  previgente  normativa  (art. 9 dei
 r.d.-l. 14 aprile 1993, n. 636, convertito nella legge 6 luglio 1939,
 n. 1272, e successive modificazioni), quanto  ai  soggetti  posti  in
 mobilita'  corta  anteriormente al d.lgs. n. 503/1992 e relativamente
 ai quali il diritto alla pensione di vecchiaia sarebbe maturato entro
 lo scadere del triennio dell'indennita' di mobilita' (gia'  sollevata
 in  identica  controversia in ordinanza Pretore di Torino 19 dicembre
 1995).
   Prospetta  inoltre  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.    6, comma 10-bis, del d.-l. n. 148/1993, convertito nella
 legge n.  236/1993, come interpretato dall'art. 5, settimo comma, del
 d.-l.  n. 299/1994, convertito nella legge n.  451/1994,  sempre  con
 riferimento  agli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui
 non estende la deroga ivi contemplata ai soggetti  che  hanno  fruito
 della  mobilita'  corta, con avvio di essa anteriormente al d.lgs. n.
 503/1992, per  i  quali  il  diritto  al  pensionamento,  secondo  la
 normativa   anteriore,  sarebbe  maturato  entro  il  triennio  della
 mobilita' corta.
                                Osserva
   Sulla rilevanza: la questione e' rilevante.
   L'art. 6, comma 10-bis, del  d.-l.  n.  148/1993  convertito  nella
 legge  n.  236/1993 introducendo una limitata deroga all'operativita'
 della disciplina  sopravvenuta  di  cui  all'art.  1  del  d.lgs.  n.
 503/1992,  rappresenta  un  sicuro  ostacolo  all'accoglimento  della
 domanda.  Data la precisa formulazione della norma, il richiamo della
 sola ipotesi della c.d. mobilita' lunga  di  cui  all'art.  7,  comma
 sesto e settimo, legge n. 223/1991, impedisce un'estensione analogica
 pura e semplice della disposizione.
   Solo la previa declaratoria della incostituzionalita' dell'art.  6,
 comma   10-/bis,  legge  n.  236/1993  nella  parte  in  cui  non  fa
 riferimento anche all'ipotesi di cui all'art. 7 primo comma, legge n.
 223/1991, consentirebbe di riconoscere il diritto di parte ricorrente
 alla pensione di vecchiaia.
   Sulla non manifesta infondatezza: il dubbio sul  contrasto  tra  il
 precetto  costituzionale  ed  il  dettato  dell'art. 6, comma 10-bis,
 della legge n. 236/1993 si pone con riferimento all'art 3 della Carta
 costituzionale, nella sua globalita', ma con particolare  riferimento
 al secondo comma della norma fondamentale che esprime il principio di
 eguaglianza sostanziale fra i cittadini.
   Ed  infatti,  la disposizione di cui all'art. 6, comma 10-bis, cit.
 laddove prevede che "la determinazione dei requisiti di eta'  di  cui
 all'art.  7  commi  sei e sette, della legge 23 luglio 1991 n. 223 e'
 effettuata con riferimento alle disposizioni legislative  in  materia
 di  pensione di vecchiaia in vigore al 31 dicembre 1992" limitando il
 campo della deroga ai soli casi  di  mobilita'  lunga  introduce  una
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento  fra  lavoratori posti in
 mobilita' c. d. lunga e lavoratori posti in mobilita' c. d. corta.
   Per comprendere in che cosa consista la discriminazione,  va  fatta
 una  brevissima premessa sull'istituto della mobilita' introdotto con
 la legge n. 223/1991. La ratio di  siffatta  nuova  figura  (con  cui
 viene  riconosciuto ai lavoratori posti in C.I.G.S., che non possano,
 al termine della cassa integrazione, rientrare nel ciclo  produttivo,
 il  diritto  ad  ottenere  uno  speciale  trattamento  consistente in
 un'indennita'  pari  all'intera  o   a   una   frazione   dell'intera
 integrazione  salariale)  emerge  dalla complessiva lettura della sua
 disciplina e va ricercata nella volonta' di predisporre uno strumento
 che  permetta  al  lavoratore  interessato  di  reperire  una   nuova
 occupazione  o,  in  relazione al raggiungimento dei limiti di eta' e
 dei requisiti contributivi, di accedere al trattamento pensionistico.
   A seconda delle ragioni che inducono  al  ricorso  alla  mobilita',
 inoltre,  l'ordinamento distingue fra la semplice "crisi aziendale" e
 la "crisi dell'area in cui l'azienda si trova".
   Cosi' per il primo caso prevede  un  intervento  piu'  breve  (c.d.
 mobilita'  corta)  e con il primo comma dell'art. 7 legge n. 223/1991
 accorda ai lavoratori con un'anzianita' aziendale  non  inferiore  ai
 dodici  mesi (di cui almeno sei effettivamente lavorati) l'indennita'
 di mobilita' da un minimo  di  dodici  mesi  per  i  lavoratori  piu'
 giovani  (fino a quaranta anni) ad un massimo di trentasei mesi per i
 piu' anziani (sopra i cinquant'anni).
   La lettura della disciplina  dimostra  come  il  legislatore  abbia
 avuto,  per  coloro che si trovano gia' oltre un certo limite di eta'
 (cinquant'anni), un occhio di  riguardo,  in  relazione  alla  sicura
 difficolta'   per   costoro  di  ricollocarsi  presso  altra  realta'
 produttiva.
   E' certo, nondimeno, che, per chi si trovi a meno di tre  anni  dal
 raggiungimento  del  requisito  per il pensionamento di vecchiaia, la
 mobilita' corta costituira' lo strumento per accedere direttamente al
 trattamento previdenziale.
   Si tratta di una conseguenza logica della norma.
   Per  il  secondo caso, quello relativo al ricorso alla mobilita' in
 un'area di crisi ( d.P.R. n. 63/1978 n. 218, espressamente richiamato
 dal secondo comma dell'art. 7, legge  n.  223/1991)  il  legislatore,
 nella  consapevolezza  della situazione di sofferenza del mercato del
 lavoro nella regione in cui si trova l'azienda che  procede,  allunga
 il  periodo  di collocamento in mobilita' e, in particolare, porta da
 trentasei a quarantotto mesi il diritto all'indennita'  di  mobilita'
 per coloro che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di eta'.
   Per evitare, infine, che lavoratori assai prossimi al pensionamento
 di  vecchiaia  si  trovino  nella grave situazione di chi non ha piu'
 occupazione e non ha ancora maturato il diritto alla pensione, in  un
 sistema  occupazionale compromesso, la norma aumenta a cinque anni (o
 addirittura a dieci in presenza di ventotto anni di contribuzione) il
 diritto all'indennita' di mobilita', prevedendo in  questo  modo  una
 sorta di "accompagnamento alla pensione".
   Ma, si badi, i lavoratori che si trovano nella situazione di cui ai
 commi  6  e  7  non  sono  gli  unici  che accederanno al trattamento
 pensionistico dal collocamento in mobilita' lunga.
   Potranno, infatti, accedervi anche coloro che si  trovino,  secondo
 quanto  disposto dal primo capoverso dell'art. 7, legge n. 223/1991 a
 meno di quarantotto mesi dal  raggiungimento  dei  requisiti  per  il
 trattamento pensionistico.
   Ecco,  dunque,  che  la  collocazione in mobilita' appare nella sua
 natura sostanziale come lo strumento individuato dal legislatore  per
 favorire la soluzione di una crisi produttiva - aziendale o dell'area
 -  con una disciplina uniforme che assicura ai lavoratori la medesima
 tutela, con lo scopo di dar loro la possibilita' di trovare una nuova
 occupazione o di accedere al pensionamento. Solo i tempi, nel caso di
 crisi piu' grave (dell'area), si allungano, ma non muta di per se' il
 mezzo di tutela utilizzato.
   E qui, con l'art. 6, comma 10-bis, legge n. 236/1993  si  inserisce
 invece,  una  disparita'  di  trattamento fra coloro che, prima della
 riforma dei limiti di eta' pensionabile (d.lgs.  30  dicembre  1992),
 siano  stati  collocati  in  mobilita' lunga e coloro che siano stati
 collocati in mobilita' corta.
   Per i primi, infatti,  l'art.  6,  comma  10-bis,  della  legge  n.
 236/1993 stabilisce la deroga alla nuova disciplina di cui all'art. 1
 d.lgs.   30 dicembre 1992 n. 503, mantenendo ferme le disposizioni di
 cui all'art. 9 del r.-d. 14 aprile 1939 n. 636. sui  limiti  di  eta'
 per  il pensionamento di vecchiaia (60 anni per gli uomini, 55 per le
 donne); mentre per i lavoratori posti in mobilita' corta sarebbero da
 applicare le nuove disposizioni con relativa modifica  del  requisito
 dell'eta'  minima  per  il pensionamento (61 anni per gli uomini e 56
 per le donne, per  coloro  che  maturano  i  requisiti  entro  il  31
 dicembre 1995).
   Non  puo'  non  cogliersi,  a  questo  punto,  come  due situazioni
 analoghe - lavoratori collocati in  mobilita'  corta,  a  seguito  di
 accordi   sindacali  autorizzati  ex  art.  5  legge  n.  223/1991  e
 lavoratori posti in mobilita' lunga, a seguito del medesimo  tipo  di
 accordi  -  vengano  trattate  dal legislatore in modo assai diverso.
 Cio' con il risultato di consentire ai  secondi  l'accesso  a  quello
 stesso  trattamento  pensionistico che avrebbero raggiunto in assenza
 del d.lgs n. 503/1993 e di interdire ai primi il raggiungimento dello
 stesso risultato, nel corso del periodo di mobilita'.
   Fatte  queste  premesse  non  resta  che  rimettere la questione al
 giudice delle leggi.