IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza  nelle  cause  civili  riunite
 iscritte  ai  nn. 156 e 157 r.g.a.c., anno 1987, passate in decisione
 all'udienza  collegiale  del  23  gennaio  1996,  a  relazione   g.i.
 Genovese,  avente ad oggetto: risarcimento danni e vertente tra Zarro
 Filiberto, Capozzi Davide,  Capozzi  Luisa,  Capozzi  Adele,  Carrano
 Elisabetta  Ines, elettivamente domiciliati in Benevento, alla via F.
 Flora,  23,  presso  lo  studio  dell'avv.  Silvio  Ferrara,  che  li
 rappresenta e difende giusta mandato a margine dei rispettivi atti di
 citazione,  attori, e il comune di S. Angelo a Cupolo, in persona del
 sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in Benevento, alla via
 G.  Toma n.   8, presso lo studio dell'avv.  V.  La  Brocca,  che  lo
 rappresenta  e difende giusta mandato in virtu' di delibera di giunta
 municipale n. 6 del 9 aprile 1988, convenuto.
                              Conclusioni
    L'avv. Ferrara, per gli  attori,  cosi'  conclude:  condannare  il
 convenuto  comune  al  pagamento  della somma quantificata dal c.t.u.
 con rivalutazione monetaria, anche a titolo  di  risarcimento  danni,
 oltre  che  all'indennita' per il periodo di occupazione legittima da
 quantificarsi  dal  Collegio  secondo  legge,   oltre   rivalutazione
 monetaria  ed  interessi,  in  via  sub.ta  condannare il comune alle
 stesse somme a titolo di arricchimento senza giusta  causa.  In  ogni
 caso  con vittoria di spese diritti ed onorari di lite per gli attori
 con distrazione a favore  del  procuratore  in  quanto  antistatario.
 Sentenza  provvisoriamente  esecutiva per Zarro Filiberto: condannare
 il comune convenuto come da conclusioni da atto di  citazione,  anche
 in  via  di  equita',  con  rivalutazione  monetaria  interessi e con
 condanna  alle  spese,  diritti ed onorari di causa con distrazione a
 favore del  procuratore  antistatario,  oltre  IVA  e  Cap.  Sentenza
 provvisoriamente  esecutiva.  In  via  sub.ta  rimettere la causa sul
 ruolo la sola causa  Zarro  Filiberto  per  quantificare  dal  c.t.u.
 quanto  allo  Zarro  spettante  e  per raccogliere la prova per testi
 articolata all'udienza del 12 marzo 1992. L'avv. La  Brocca  conclude
 per  il  rigetto  della  domanda  con  vittoria  di spese, diritti ed
 onorari.
                       Svolgimento del processo
   Con atto di citazione notificato il 14 gennaio 1987 Zarro Filiberto
 esponeva di essere affittuario, da  oltre  25  anni,  di  terreni  di
 proprieta'  di  Capozzi,  rip. in catasto alla p.ta 417, fl. 9, p.lla
 116 occupati il 17 gennaio 1979 dal comune di  S.  Sngelo  a  Cupolo.
 Rilevava  l'attore  che,  avvenuta  l'occupazione,  non era stato poi
 perfezionato l'iter espropriativo, per cui il fittavolo aveva diritto
 alla indennita' di cui all'art.  17  della  legge  n.  865/71.  Tanto
 premesso  citava il Comune di S. Sngei'o a Cupolo a comparire davanti
 a questo Tribunale per sentirlo condannare al pagamento  della  somma
 dovuta  per  la causale in premessa, con la rivalutazione monetaria e
 gli interessi, oltre al pagamento delle spese di lite,  con  sentenza
 provvisoriamente esecutiva.
   Con  separato  atto  di  citazione  i germani Capozzi chiedevano il
 risarcimento danni loro dovuto per la perdita di proprieta' del fondo
 occupato dal comune.
   Instauratosi il contraddittorio, il convenuto contestava le attoree
 pretese chiedendone il rigetto. Veniva disposta la riunione  dei  due
 giudizi  e  si  procedeva ad accertamenti tecnici, espletati i quali,
 all'udienza del 23 gennaio 1996, la causa  veniva  riservata  per  la
 decisione.
                        Motivi della decisione
   Rileva il Tribunale che nelle more del presente giudizio, in virtu'
 della  modifica  apportata  dall'art.  1,  comma  65,  della legge 28
 dicembre 1995, n. 549, entrata in vigore dal 1 gennaio 1996, e' stata
 estesa l'applicazione dei criterio  legale  di  determinazione  delle
 indennita' espropriative di cui all'art. 5-bis del d.-l. n. 333/1992,
 convertito, con modifiche, nella legge n. 359/1992, anche alla misura
 dei  risarcimenti  dovuti  in  conseguenza di illegittime occupazioni
 acquisitive. Com'e' noto l'art. 5-bis  cit.,  nel  testo  previgente,
 disponeva,  tra  l'altro, che, fino all'approvazione di "una organica
 disciplina   per   tutte   le   espropriazioni"   preordinate    alla
 realizzazione   di  opere  di  pubblica  utilita',  la  misura  delle
 indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di
 cui all'art. 13/III della legge n.    2892  del  18  settembre  1985,
 sostituendo  in ogni caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il
 reddito dominicale rivalutato di cui all'art.  24 e segg. del t.u. 22
 dicembre 1986, n. 917 (in pratica operando la media aritmetica tra il
 valore venale del suolo  e  la  rendita  catastale  rivalutata  degli
 ultimi  10  anni),  riducendo poi l'importo ottenuto del 40% (salvi i
 casi di cessione volontaria e  quelli  equiparati,  a  seguito  della
 sentenza n. 283/1993 della Corte costituzionale).
   Il  sesto  comma  dell'art.  citato escludeva dall'applicazione dei
 criteri indennitari sopra indicati solo i casi  in  cui  l'indennita'
 fosse  stata  accettata  dalle parti o fosse divenuta non impugnabile
 con sentenza passata in giudicato alla  data  di  entrata  in  vigore
 della legge di conversione del d.-l. n. 333/1992.
   L'art.   1,   comma  65,  della  legg  n.  549/1995  ha  sostituito
 integralmente tale ultimo comma, nei termini testuali  seguenti:  "le
 disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi
 in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo,
 l'entita'  dell'indennizzo  e/o del risarcimento del danno, alla data
 di conversione del presente decreto".
   Che il risarcimento dei danni di cui al  nuovo  disposto  normativo
 sia  quello  relativo  alla  perita  della  proprieta',  nei  casi di
 "occupazione acquisitiva", non  e'  seriamente  contestabile,  tenuto
 conto  dell'operato  abbinamento,  disgiuntivo  e  congiuntivo, nella
 previsione   legislativa,   all'indennita'   di   espropriazione    e
 considerato  che,  nella  materia  de  qua il solo altro risarcimento
 ipotizzabile e' quello da occupazione temporanea illegittima, per  la
 determinazione  del  quale  e'  del tutto inconcepibile il ricorso ai
 criteri determinativi sopra menzionati.
   Evidente e', dunque, l'intenzione del legislatore,  il  quale,  per
 palesi  esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto di
 equiparare  del  tutto,  sul  piano  patrimoniale,  alle  conseguenze
 derivanti  dalle  espropriazioni  illegittime, quelle derivanti dalle
 illegittime ablazioni di fatto poste  in  essere  dalla  p.a.  o  dai
 soggetti  per  conto  della stessa operanti, facendo salve solo (come
 gia' avvenuto nel 1992) le determinazioni divenute  inoppugnabili  in
 sede amministrativa o per effetto di giudicato.
   Prescindendo   da   ogni   considerazione,   non   rilevante  nella
 fattispecie, in ordine ai dubbi di applicabilita' intertemporale (nel
 periodo compreso tra l'8 agosto 1992 e il 1 gennaio 1996) dell'ultima
 disposizione, e' certo che nella vertenza in  esame,  essendo  ancora
 controverso,  tra  l'altro,  l'importo  del  risarcimento dovuto agli
 attori in conseguenza della subita occupazione  acquisitiva  (la  cui
 verificazione  e'  peraltro  pacifica)  non  si  e' ancora formato un
 giudicato in ordine all'entita' di tale spettanza e pertanto  occorre
 applicare  necessariamente  l'jus  superveniens alla principale delle
 questioni, di carattere sostanziale, dibattuta tra le parti.
   Da quanto sopra considerato  discende  la  rilevanza  ai  fini  del
 presente  giudizio, come richiesto dall'art. 23, secondo comma, della
 legge 11 marzo 1953, n.  87,  della  questione  di  costituzionalita'
 dell'art.    1, comma 65 della legge n. 549/1995, attesa la natura di
 area edificabile del fondo degli attori, come emerso dalla c.t.u.
   Tanto  premesso,  osserva  il  Tribunale  che  tale  questione   si
 configura,  in  relazione  agli  artt.  3  e  42 e 97 della Cost. non
 palesemente infondata.
   L'operata  parificazione  tra  le  conseguenze  patrimoniali  delle
 ablazioni  lecite  e  di  quelle illecite si risolve, infatti, in una
 irrazionale e non adeguatamente  giustificata  attenuazione,  se  non
 esclusione,  del principio di legalita' delle espropriazioni, poste a
 garanzia del diritto di proprieta' privata  che,  come  ripetutamente
 affermato   dalla   giurisprudenza   della   S.C.,   e   della  Corte
 costituzionale, puo' essere sacrificato previo indennizzo,  in  vista
 delle  esigenze  della  collettivita'  ed in considerazione della sua
 funzione sociale, ma nei casi previsti dalla  legge  e  nel  rispetto
 delle  rigorose  forme  dei  procedimenti  amministrativi finalizzati
 all'espropriazione.
   I  seri  dubbi  di  legittimita'  costituzionale,  in  relazione al
 principio di uguaglianza di cui  all'art.  3,  si  pongono  sotto  un
 duplice profilo:
     1)   per  l'ingiustificata  discriminazione,  rispetto  ad  altri
 soggetti passivi di  atti  illeciti,  dei  titolari  dei  diritti  di
 proprieta'  immobiliare  illegittimamente  acquisiti  dalla p.a. o da
 chi,  per  essa,  si  sia  avvalso   dell'istituto   dell'occupazione
 acquisitiva,  in  quanto nei confronti ed a discapito dei predetti la
 norma introdotta dall'art.  1, comma 65 introduce una vistosa  deroga
 ad  uno  dei  principi basilari dei nostro ordinamento civilistico, a
 termini del quale chi  abbia,  per  effetto  della  violazione  della
 fondamentale  regola  del naeminem laedere subito un danno, ossia una
 decurtazione  del  proprio  patrimonio,  ha   diritto   all'integrale
 ricostituzione  dello  stesso  a  carico  dell'autore  dell'illecito,
 soggetto pubblico o privato che sia;
     2) per l'irrazionale, ingiustificata e totale parificazione, agli
 effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi
 nel rispetto delle regole  a  esse  preordinate  e  di  quelle  delle
 ablazioni   di  fatto,  verificatesi  in  conseguenza  della  mancata
 osservanza delle regole medesime.
   Tale parificazione non puo' trovare adeguata giustificazione  nelle
 palesi  esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica, che hanno
 indotto il  legislatore  ad  introdurre  la  censurata  disposizione,
 essendo  altri  i  mezzi e le regole preordinate al corretto prelievo
 finanziario e non anche il sostanziale avallo dell'illecito posto  in
 essere  dalla  p.a.,  nel  quale si risolve l'operata eliminazione di
 ogni  conseguenza  patrimoniale  sfavorevole  per   la   stessa,   in
 dipendenza  della  mancata osservanza del procedimento espropriativo,
 con il conseguente venir meno della principale remora  al  compimento
 di atti illegittimi.
   Ne', considerando le due diverse situazioni, di ablazioni lecite ed
 illecite,  puo'  ritenersene  la sostanziale equivalenza dal punto di
 vista dei soggetti passivi.
   Se  e'  vero  infatti,  che  i  sacrifici  in  termini  di  diritti
 dominicali sono materialmente analoghi, deve pero' osservarsi che non
 sono  uguali le rispettive situazioni, considerate sotto vari diversi
 aspetti, tra i quali vanno segnalati:
     a)    la    possibilita',    solo     ove     il     procedimento
 occupativo-espropriativo  si svolga secondo le regole, di intervenire
 nel corso  dello  stesso,  quali  portatori  di  interessi  legittimi
 correlati   al   compimento   dei  vari  atti  procedimentali,  nelle
 competenti sedi amministrative e giurisdlzionali;
     b) il regime della prescrizione estintiva, che e' piu' favorevole
 per detti soggetti nelle  ipotesi  dl  legittima  espropriazione,  in
 quanto  il  diritto alle indennita' si estingue nel termine ordinario
 decennale di cui all'art. 2946 c.c., mentre nel  caso  di  accessione
 invertita    conseguente   ad   illecita   occupazione   il   termine
 prescrizionale applicabile al diritto al risarcimento danni e' quello
 quinquennale di cui all'art. 2947 c.c.
   Conseguenziali alle suesposte considerazioni si pongono forti dubbi
 di    costituziona'lita'  in  relazione  all'art.   42,   III   Cost,
 considerato  che  l'operata  parificazione  agli effetti patrimoniali
 vanifica del tutto o in gran parte il principio  di  legalita'  delle
 espropriazioni, posto a presidio della proprieta' privata, se e' vero
 che anche nel caso patologico di violazione della legge, la p.a. puo'
 acquisire  il  diritto  anzidetto,  contraendo nei confronti degli ex
 titolari dello  stesso  obbligazioni  quantitativamente  identiche  a
 quelle,  nella  previgente  disciplina  piu'  contenute,  che avrebbe
 contratto nell'ipotesi fisiologica di osservanza della legge stessa.
   Ne' si puo' ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre  il
 nuovo  istituto  della  espropriazione di fatto da porsi accanto alla
 procedura  espropriativa  rituale  e  legittima;  invero,  l'espresso
 riferimento  al  risarcimento  del  danno,  contenuto  nella norma in
 questione, esclude chiaramente tale ipotesi ed,  anzi,  si  configura
 come  una  chiara  conferma  del carattere illecito della occupazione
 acquisitiva.
   L'art.1, comma 65, appare altresi' in  contrasto  con  il  disposto
 dell'art.  97  Cost,  secondo  cui i pubblici uffici sono organizzati
 secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati  il  buon
 andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione.
   Tale  norma  postula  che  la  realizzazione  dei compiti assegnati
 all'amministrazione non deve  andare  disgiunta  dal  rispetto  della
 giustizia   sostanziale,  che  si  impone  sia  nel  confrontare  gli
 interessi  dei  singoli  con  quelli  dell'amministrazione,  sia  nel
 confrontare  tra  loro  gli  interessi  dei  vari  soggetti  estranei
 all'amministrazione inseriti nell'azione di questa.
   Ora, il detto art. 1,  nel  prevedere  che  enti  pubblici  debbono
 procedere  al  risarcimento  dei danni, applicando i criteri relativi
 alla  determinazione  dell'indennita'  espropriativa,  per  le   aree
 edificabili,  ha introdotto una regola dell'azione amministrativa che
 non garantisce certo il  principio  di  uguaglianza  tra  i  soggetti
 passivi  delle  espropriazioni  di  fatto  e  i  soggetti  passivi di
 qualunque altro illecito aquiliano posto in essere dalla p.a., tra  i
 quali,  come  detto,  emerge una chiara e non razionale disparita' di
 trattamento. Giova a questo  punto  precisare  che  il  collegio  non
 ignora  che  l'istituto  dell'occupazione acquisitiva ha recentemente
 superato indenne il vaglio  di  legittimita'  da  parte  della  Corte
 costituzlonale (v. sentenza n. 188 del 17/23 maggio 1995).
   Ma la questione oggi si pone in termini diversi rispetto a quelli a
 suo  tempo  rimessi  a  detta Corte (che pure ebbe a puntualizzare le
 piu' significative differenze,  caratterizzate  e  giustificate,  sul
 piano  della  legittimita'  costituzionale,  anche e sopratutto dalle
 diverse conseguenze  patrimoniali  delle  due  forme  di  ablazioni),
 considerato  che  all'epoca  mancava  un  riconoscimento  legislativo
 espresso, sia pure in forma indiretta, dell'occupazione acquisitiva e
 che le conseguenze patrimoniali dei  due  istituti  erano  nettamente
 diverse.
   Il processo va pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87, sospeso e gli atti rimessi, previ adempimenti di rito in
 dispositivo  indicati, alla Corte costituzionale, per il giudicato di
 sua competenza a termini degli artt. 134 e segg. Cost.