IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella  causa  iscritta  al  n.
 3427/89  r.g.,  passata  in  decisione  all'udienza collegiale del 21
 novembre 1995, avente ad  oggetto:  risarcimento  danni,  tra  Nicola
 Ambrosone,  rappresentato  e  difeso,  per  mandato  a  margine della
 citazione,  dal  dott.   proc.   Carmelo   Sandomenico,   col   quale
 elettivamente  domicilia  in  Benevento,  alla  Via  Pepicelli n. 24,
 presso lo studio dell'avv.   Biondi, attore,  e  l'Istituto  Autonomo
 Case  Popolari  della  provincia  di  Benevento, IACP, in persona del
 presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in Benevento,  alla
 via  24  maggio  n. 9, presso lo studio dell'avv. Luigi Beatrice, dal
 quale e' rappresentato e difeso giusta  procura  ad  lites  per  not.
 Barricelli,  convenuto,  nonche' con l'intervento volontario di Mario
 Pagnozzi,  rappresentato  e  difeso  dal  dott.  proc.     Costantino
 Ambrosone,  con il quale elettivamente domicilia in Benevento, presso
 la Cancelleria del Tribunale, terzo inventore.
                       Svolgimento del processo
   Con atto di citazione notificato in data 9  novembre  1989,  Nicola
 Ambrosone,  premesso  di  essere  proprietario,  in  Pannarano, di un
 appezzamento di terreno sito alla  provinciale  Irpina,  indicato  in
 catasto  al foglio 6, part. 57, per averlo ricevuto in successione da
 Achille  Sbordone,  esponeva  che  lo  IACP  di  Benevento, in data 1
 settembre 1986, aveva occupato mq. 5700 circa del  suddetto  terreno,
 per  la  costruzione  di  quattro  fabbricati,  con  sedici alloggi e
 ottanta vani, in virtu' di decreto emesso dal sindaco di Pannarano il
 9  luglio  1986,  lamentando  che  tale  occupazione   era   divenuta
 illegittima e che le opere erano state, ormai realizzate.
   Alla  stregua  di  quanto  esposto,  l'attore  chiedeva  che l'ente
 convenuto fosse  condannato:  al  risarcimento  dei  danni  scaturiti
 dall'occupazione  illegittima,  e al pagamento dell'indennita' per il
 periodo di occupazione legittima, nella misura determinata a  seguito
 dell'istruzione  della  causa;  all'apposizione  della  recinzione al
 confine della zona occupata.
   Depositava  comparsa   di   risposta,   nell'interesse   dell'IACP,
 l'avvocato  Beatrice  il  quale,  pero',  non produceva la procura ad
 lites, per notar Barricelli,  indicata  nella  stessa  comparsa.  Con
 comparsa,   notificata   al  convenuto  in  data  18  dicembre  1989,
 interveniva nel giudizio Mario Pagnozzi, il quale, rilevato di essere
 l'affittuario del fondo occupato dall'IACP, chiedeva la  condanna  di
 quest'ultimo al risarcimento dei danni subiti.
   Nel  corso  dell'istruzione, il g.i. nominava un c.t.u. al fine di:
 accertare la quantita' di suolo occupato  dall'IACP;  determinare  il
 valore   venale   di  detto  suolo,  con  riferimento  alla  data  di
 irreversibile   destinazione   ad   opera    pubblica;    determinare
 l'indennita'  per il periodo di occupazione legittima ed illegittima;
 indicare il mezzo piu' idoneo  di  recinzione  della  zona  occupata;
 determinare il danno prodotto all'affittuario.
   Esibita  la  consulenza,  il g.i. su istanza dell'attore, disponeva
 che il C.T.U. fornisse chiarimenti  circa,  tra  l'altro,  i  criteri
 adottati  per  la  determinazione  del  valore  venale  dell'immobile
 occupato; chiarimenti che  venivano  resi,  altresi',  attraverso  il
 deposito  di  un supplemento di consulenza, e ulteriormente precisati
 all'udienza del 10 maggio 1991.
   Precisate le conclusioni, la causa veniva rimessa al collegio  che,
 all' udienza del 21 novembre 1995, su richiesta dei procuratori delle
 parti, si riservava la decisione.
   Successivamente,  e' entrata in vigore la legge n. 549/1995, che ha
 modificato l'art. 5-bis del decreto-legge n. 333/1992  prevedendo  un
 nuovo  criterio  di  risarcimento  per  le "occupazioni di fatto"; la
 decisione deve, dunque, adeguarsi allo ius superveniens.
                        Motivi della decisione
   Rileva il tribunale che nelle more del presente giudizio, in virtu'
 della modifica apportata  dall'art.  1,  comma  65,  della  legge  28
 dicembre  1995,  n.  549  ("Misure di razionalizzazione della finanza
 pubblica") entrata  in  vigore  dal  1  gennaio  1996  come  previsto
 dall'art.  244, e' stata estesa l'applicazione del criterio legale di
 determinazione delle indennita' espropiative di  cui  all'art.  5-bis
 del  decreto-legge  n. 333/92 conv. con modd. nella legge n. 359/1992
 anche  alla  misura  dei  risarcimenti  dovuti  in   conseguenza   di
 illegiittime occupazioni acquisitive.
   Come  e'  noto,  l'art. 5-bis citato nel testo previgente disponeva
 tra l'altro (comma n. 1) che, fino all'approvazione di una  "organica
 disciplina    per   tutte   le   espropriazioni"   preordinate   alla
 realizzazione  di  opere  di  pubblica  utilita',  la  misura   delle
 indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di
 cui all'art. 13/III della legge n. 2892 del 1985, sostituendo in ogni
 caso  ai  fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale
 rivalutato di cui all'art.  24 e segg. del testo  unico  22  dicembre
 1986  n.  917  (in pratica operando la media aritmetica tra il valore
 venale del suolo e la rendita catastale rivalutata degli ultimi dieci
 anni), riducendo poi l'importo ottenuto del  40%  (salvi  i  casi  di
 cessione  volontaria  e  quelli  equiparati,  a seguito della set. n.
 283/1993 della Corte costituzionale).
   Il sesto comma dell'articolo citato escludeva dall'applicazione dei
 criteri indennitari sopra indicati solo i casi  in  cui  l'indennita'
 fosse  stata  accettata  dalle parti o fosse divenuta non impugnabile
 con sentenza passata in giudicato alla  data  di  entrata  in  vigore
 della  legge di conversione del decreto-legge n. 333/1992 (in pratica
 all'8 agosto 1992).
   L'art. 1/c. 65 della legge n. 549/1995 ha sostituito  integralmente
 tale ultimo comma, nei termini testuali seguenti: "Le disposizioni di
 cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono
 stati  ancora  determinati  in  via  definitiva  il prezzo, l'entita'
 dell'indennizzo  e/o  del  risarcimento  del  danno,  alla  data   di
 conversione del presente decreto".
   Che  il  risarcimento  dei danni di cui al nuovo disposto normativo
 sia quello relativo  alla  perdita  della  proprieta',  nei  casi  di
 "occupazione acquisitiva" o "accessione invertita", non e' seriamente
 contestabile,  tenuto  conto  dell'operato abbinamento, disgiuntivo e
 congiuntivo,  nella   previsione   legislativa,   all'indennita'   di
 espropriazione e considerato che, nella materia de qua, il solo altro
 risarcimento   ipotizzabile   e'  quello  da  occupazione  temporanea
 illegittima,  per  la  determinazione  del   quale   e'   del   tutto
 inconcepibile  il  ricorso  ai criteri determinativi sopra menzionati
 (in cui uno dei valori da mediare e' dato dal valore del cd.  "pieno"
 del  suolo).  Evidente  e',  dunque,  l'intenzione del legislatore il
 quale, per palesi esigenze di contenimento della spesa  pubblica,  ha
 ritenuto   di  equipare  del  tutto,  sul  piano  patrimoniale,  alle
 conseguenze  derivanti   dalle   espropriazioni   legittime,   quelle
 derivanti  dalle  illegittime  ablazioni  di  "fatto" poste in essere
 dalla p.a. o dai soggetti per conto della  stessa  operanti,  facendo
 salve  solo  (come gia' avvenuto nel 1992) le determinazioni divenute
 inoppugnabili in sede amministrativa o per effetto di giudicato.
   Prescindendo  da   ogni   considerazione,   non   rilevante   nella
 fattispecie, in ordine ai dubbi di applicabilita' intertemporale (nel
 periodo compreso tra l'8 agosto 1992 e il 1 gennaio 1996) dell'ultima
 disposizione,  e'  certo che nella vertenza in esame, essendo ancora,
 tra  l'altro,   controverso   l'importo   del   risarcimento   dovuto
 all'attrice in conseguenza della subita "occupazione acquisitiva" (la
 cui  verificazione,  peraltro,  e' pacifica, controvertendosi solo in
 ordine alla risalenza della stessa, se alla scadenza del  quinquennio
 o   del   successivo   biennio   di   una   assunta   proroga  legale
 dell'occupazione di urgenza), non si e' ancora formato un "giudicato"
 in ordine  all'"entita'"  di  tale  spettanza  e,  pertanto,  occorre
 applicare  necessariamente  il ius superveniens alla principale delle
 questioni di carattere sostanziale, dibattuta tra le parti.
   Da  quanto  sopra  considerato  discende  la  rilevanza ai fini del
 presente giudizio, come richiesto dall'art. 23 comma  secondo,  della
 legge  11  marzo  1953  n.  87,  della questione di costituzionalita'
 dell'art.  1, comma 65, della legge n. 549/1995 attesa la  natura  di
 area edificabile del fondo dell'atto, come emerso dalla C.T.U.
   Tanto   premesso,  osserva  il  tribunale  che  tale  questione  si
 configura, in relazione agli artt. 3 e 42 e 97 della Costituzione non
 palesemente infondata.
   L'operata  parificazione  tra  le  conseguenze  patrimoniali  delle
 ablazioni  lecite  e  di  quelle  illecite si risolve, infatti in una
 irrazionale e non adeguatamente  giustificata  attenuazione,  se  non
 elusione,  del  principio  di legalita' delle espropriazioni, posto a
 garanzia del diritto di proprieta'  privata  che  come  ripetutamente
 affermato  dalla  giurisprudenza  della suprema Corte di cassazione e
 della  Corte  costituzionale,  puo'  essere  si'  sacrificato  previo
 indennizzo   in  vista  delle  esigenze  della  collettivita'  ed  in
 considerazione della sua funzione sociale, ma nei casi previsti dalla
 legge  e  nel  rispetto  delle  rigorose   forme   dei   procedimenti
 amministrativi  finalizzati  alla  espropriazione.    I seri dubbi di
 legittimita' costituzionale, in relazione al principio di uguaglianza
 di cui all'art. 3, si pongono sotto un duplice profilo:
     1)  per  l'ingiustificata  discriminazione,  rispetto  ad   altre
 categorie  di  soggetti  passivi  di  atti  illeciti dei titolari dei
 diritti di proprieta' immobiliare  illegittimamente  acquisiti  dalla
 pubblica   amministrazione  o  da  chi,  per  essa,  si  sia  avvalso
 dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, in quanto  nei  confronti
 ed  a  discapito  dei predetti la norma introdotta dall'art. 1, comma
 65, della legge n. 549/1995 introduce una vistosa deroga ad  uno  dei
 principi  basilari  dell'ordinamento civilistico, a termini del quale
 chi abbia, per effetto della violazione della fondamentale regola  di
 convivenza  sociale  del  neminem laedere, subito un danno, ossia una
 decurtazione  del  proprio  patrimonio,  ha   diritto   all'integrale
 ricostituzione  dello  stesso  a  carico  dell'autore  dell'illecito,
 soggetto pubblico o privato che sia (art. 2043 c.c.);
     2) per l'irrazionale, ingiustificata e totale parificazione, agli
 effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi
 nel rispetto delle regole ad  esse  preordinate  e  di  quelle  delle
 ablazioni  "di  fatto"  verificatesi  in  conseguenza  della  mancata
 osservanza delle regole medesime.
   Tale parificazione non puo' trovare adeguata giustificazione  nelle
 palesi  esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica, che hanno
 indotto  il  legislatore  ad  introdurre  la  censurata  disposizione
 essendo  altri  i  mezzi e le regole preordinate al corretto prelievo
 finanziario (v. art. 23 e 53  Cost.),  e  non  anche  il  sostanziale
 avallo dell'illecito posto in essere dalla p.a., nel quale si risolve
 l'operata  eliminazione  di ogni conseguenza patrimoniale sfavorevole
 per  la  stessa,  in  dipendenza   della   mancata   osservanza   del
 procedimento  espropriativo,  con  il  conseguente venir meno di atti
 illegittimi.
   Ne', considerando le due diverse situazioni, di ablazioni lecite ed
 illecite, dal punto di vista dei soggetti passivi,  puo'  ritenersene
 la sostanziale equivalenza.
   Se  e'  vero,  infatti,  che  i  sacrifici,  in  termini di diritti
 dominicali, sono materialmente analoghi, deve  pero'  osservarsi  che
 non  uguali  ne sono le rispettive situazioni, considerate sotto vari
 diversi aspetti, tra i quali vanno, particolarmente, segnalati:
     a)     la     possibilita',     solo    ove    il    procedimento
 occupativo-espopriativo si svolga secondo le regole  di  controllarne
 l'iter  e,  se del caso, di intervenire nel corso dello stesso, quali
 portatori di interessi legittimi correlati  al  compimento  dei  vari
 atti   procedimentali,   nelle   competenti   sedi  amministrative  e
 giurisdizionali;
     b) il regime della prescrizione estintiva, che e' piu' favorevole
 per detti soggetti, nelle ipotesi  di  legittima  espropriazione,  in
 quanto  il  diritto alle indennita' si estingue nel termine ordinario
 decennale di cui all'art. 2946 c.c., mentre nel caso  di  "accessione
 invertita"   conseguente   ad   illecita   occupazione   il   termine
 prescrizionale applicabile al diritto al risarcimento  dei  danni  e'
 quello  quinquennale  di  cui  all'art. 2947 cit. cod. Conseguenziali
 alle  suesposte  considerazioni  si  pongono   i   forti   dubbi   di
 legittimita'  in  relatione  all'art.  42/III  Cost., considerato che
 l'operata parificazione agli effetti patrimoniali vanifica del  tutto
 o in gran parte il principio di legalita' delle espropriazioni, posto
 a  presidio  della proprieta' privata, se e' vero che, anche nel caso
 "patologico" di violazione della legge, la  pubblica  amministrazione
 puo'  acquisire  il diritto anzidetto, contraendo nei confronti degli
 ex titolari dello stesso obbligazioni quantitativamente  identiche  a
 quelle,  nella  previgente  disciplina  piu'  contenute,  che avrebbe
 contratto  nell'ipotesi  "fisiologica"  di  osservanza  della   legge
 stessa.
   Ne'  si puo' ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre il
 nuovo istituto della "espropriazione di fatto", da porsi accanto alla
 procedura  espropriativa  rituale  e  legittima;  invero,  l'espresso
 riferimento  al  risarcimento  del  danno,  contenuto  nella norma in
 questione, esclude chiaramente tale ipotesi  ed  anzi,  si  configura
 come  una  chiara  conferma  del carattere illecito dell'"occupazione
 acquisitiva".
   L'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995  appare,  altresi',  in
 contrasto  con  il  disposto dell'art. 97, primo comma, Costituzione,
 secondo cui i pubblici uffici sono organizzati  secondo  disposizioni
 di   legge,  in  modo  che  siano  assicurati  il  buon  andamento  e
 l'imparzialita'  dell'amministrazione.  Tale  norma  postula  che  la
 realizzazione  dei  compiti  assegnati  all'amministrazione  non deve
 andar disgiunta dal rispetto  della  giustizia  sostanziale,  che  si
 impone  sia  nel  confrontare  gli  interessi  dei singoli con quelli
 dell'amministrazione, sia nel confrontare tra loro gli interessi  dei
 vari  soggetti  estranei  all'amministrazione inseriti nell'azione di
 questa.
   Ora, il detto art. 1,  nel  prevedere  che  enti  pubblici  debbono
 procedere  al  risarcimento  dei danni, applicando i criteri relativi
 alla  determinazione  dell'indennita'  espropriativa,  per  le   aree
 edificabili,  ha introdotto una regola dell'azione amministrativa che
 non garantisce, certo, il principio  d'eguaglianza  tra  i  "soggetti
 passivi"  delle  "espropriazioni di fatto", e i "soggetti passivi" di
 qualunque altro illecito aquiliano posto  in  essere  dalla  pubblica
 amministrazione,  tra  i  quali,  come detto, emerge una chiara e non
 razionale diversita' di trattamento.
   Giova,  a  questo  punto,  precisare che il collegio non ignora che
 l'istituto  dell'occupazione  acquisitiva  ha  recentemente  superato
 indenne il vaglio di legittimita' da parte della Corte costituzionale
 (v.  sentenza  n. 188 del 17/23 maggio 1995). Ma la questione oggi si
 pone in termini diversi, rispetto a quelli  a  suo  tempo  rimessi  a
 detta  corte  (che  pur  ebbe  a  puntualizzare le piu' significative
 differenze,  caratterizzate   e   giustificate,   sul   piano   della
 legittimita'   costituzionale,  anche  e  soprattutto  dalle  diverse
 conseguenze patrimoniali delle due forme di  ablazione),  considerato
 che,  all'epoca  mancava  un riconoscimento legislativo espresso, sia
 pure in  forma  indiretta,  dell'occupazione  acquisitiva  e  che  le
 conseguenze  patrimoniali  dei  due istituti erano nettamente diverse
 (ristoro parziale, in considerazione  della  funzione  sociale  della
 proprieta'  e  delle  garanzie  di  legge,  nel  caso dell'indennizzo
 espropriativo, e reintegrazione piena della decurtazione patrimoniale
 subita dal soggetto passivo, nel caso di risarcimento da  illegittima
 acquisizione).
   Il  processo  va,  pertanto ed ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo
 1953 n. 87, sospeso e gli atti rimessi, previ adempimenti di rito  in
 dispositivo  indicati,  alla Corte costituzionale, per il giudizio di
 sua competenza, a termini degli art. 134 e segg. Costituzione.