ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  39,  primo
 comma,   della   legge   23   dicembre   1994,   n.  724  (Misure  di
 razionalizzazione della finanza  pubblica),  promosso  con  ordinanza
 emessa il 7 luglio 1995 dal Pretore di Palermo, sezione distaccata di
 Carini,  nel procedimento penale a carico di Rappa Giuseppe, iscritta
 al n. 684 del registro ordinanze 1995  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  43, prima serie speciale, dell'anno
 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  26  marzo 1996 il giudice
 relatore Riccardo Chieppa;
   Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale nei confronti  di
 Giuseppe  Rappa,  imputato  del  reato di cui all'art. 20, lettera b)
 della legge 28 febbraio 1985,  n.  47,  per  avere  edificato  alcuni
 pilastri  in  cemento  armato in assenza della prescritta concessione
 edilizia, il Pretore di Palermo, sezione  distaccata  di  Carini,  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 24 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 39,  primo  comma,
 della  legge  23  dicembre  1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica), nella parte in cui non prevede che "non sono
 perseguibili, in  qualunque  sede,  coloro  che  abbiano  demolito  o
 eliminato  le opere abusive, entro la data di entrata in vigore della
 stessa legge n.  724 del 1994";
     che il giudice a quo - premesso che l'imputato ha provveduto alla
 demolizione dell'opera abusiva - si duole del fatto che  l'art.    39
 della  legge  n.  724  del 1994 non contenga una previsione analoga a
 quella di cui all'art. 8-quater del d.-l. 23  aprile  1985,  n.  146,
 convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 1985, n. 298, il
 quale  ha  espressamente  previsto quale causa di improcedibilita' la
 spontanea demolizione dell'opera abusiva;
     che    il   riferimento   alle   "successive   modificazioni   ed
 integrazioni" dei Capi IV e V della legge n. 47 del  1985,  contenuto
 nell'art.  39,  primo  comma, della citata legge n. 724 del 1994, non
 sarebbe da ritenere, secondo il rimettente, comprensivo del  disposto
 di cui all'art. 8-quater del decreto-legge n. 146 del 1985, anzitutto
 perche' non potrebbe considerarsi "integrazione" un articolo di legge
 autonomo e giustamente tenuto distinto dal corpus della legge stessa,
 quale  sarebbe l'art.  8-quater del d.-l. n. 146 del 1985; in secondo
 luogo, perche' detto art. 8-quater "fa riferimento ad un termine  ben
 specifico  ...  in nessun modo riferibile alla legge n. 47 del 1985",
 tenuto  conto,  altresi',  che,  ove  il  legislatore  avesse  voluto
 attribuire  valenza  generale  alla  causa di improcedibilita' di cui
 all'art. 8-quater, essa sarebbe stata inserita nel testo  legislativo
 principale  in  materia  di  sanatoria, e cioe' nella legge n. 47 del
 1985;
     che la conclusione del giudice a  quo  e'  nel  senso  che,  alla
 stregua della vigente normativa in materia di condono, non esiste una
 causa   di  improcedibilita'  del  reato,  nel  caso  di  demolizione
 spontanea dell'opera abusiva,  giacche'  ove  il  legislatore  avesse
 voluto  applicarla  alle  opere  suscettibili  di  sanatoria, avrebbe
 dovuto richiamarla espressamente con la legge n. 724 del  1994,  cio'
 che, per contro, non e' avvenuto;
     che    la    mancata   previsione   della   predetta   causa   di
 improcedibilita'  nel  caso   di   demolizione   dell'opera   abusiva
 violerebbe:  a)  il  principio  di  uguaglianza dei cittadini, di cui
 all'art.  3  della  Costituzione,   in   quanto   farebbe   dipendere
 l'estinzione  del  reato "unicamente" dalle disponibilita' economiche
 dei  soggetti,  il  che  sarebbe  "tanto  piu'  inaccettabile"  avuto
 riguardo  alla  "natura  clemenziale" del condono; b) il principio di
 difesa di cui all'art. 24 della Costituzione, in  quanto,  una  volta
 intervenuta  la  spontanea  demolizione  del  bene,  non sarebbe piu'
 possibile  "accertare  se  lo  stesso  possedesse  i  requisiti   per
 rientrare  in sanatoria, ne' l'autore di esso potrebbe quantizzare la
 somma da versare per estinguere comunque, con  oblazione,  l'illecito
 penale.   Secondo  il  giudice  a  quo  infine,  sarebbe  violato  un
 elementare principio di uguaglianza", posto che  risulterebbe  punito
 chi abbia demolito, uniformandosi al relativo ordine, l'opera abusiva
 (tra  l'altro, per il rimettente questa e' una ipotesi di demolizione
 spontanea), il quale resterebbe privo dell'opera e assoggettato  alla
 sanzione  penale,  mentre  per  il  soggetto  che  non abbia demolito
 l'opera abusiva, con  il  pagamento  dell'oblazione,  scatterebbe  la
 estinzione   del  reato,  il  tutto  senza  che  egli  venga  privato
 dell'opera stessa;
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, il quale  ha  concluso  per  la  infondatezza  della  proposta
 questione,  sostenendo  che  l'ordinanza di rimessione si basa su una
 errata interpretazione della normativa censurata e,  in  particolare,
 che,  nella  specie,  il giudice rimettente omette di considerare una
 circostanza  addirittura  decisiva,  che,  sola,  potrebbe  valere  a
 stabilire  l'identita'  tra  le  due  situazioni poste a raffronto, e
 cioe' il pagamento della oblazione;
     che se, infatti, l'imputato si e' avvalso della oblazione, non vi
 sarebbe diverso trattamento  tra  chi  abbia  demolito  e  chi  abbia
 conservato   l'opera   abusiva;  in  caso  contrario,  le  situazioni
 sarebbero  diverse  e  giustificato  apparirebbe  il   loro   diverso
 trattamento;
     che   l'art.   8-quater   del  d.-l.  23  aprile  1985,  n.  146,
 indipendentemente  da  sanatoria  e  oblazione,  introdurrebbe   "una
 eccezionale ipotesi di non punibilita'", costituente una integrazione
 della legge n.  47 del 1985;
     che,  cosi'  interpretata la citata norma, non vi sarebbe affatto
 incertezza in ordine all'ambito di operativita' della  stessa,  posto
 che  l'art.  39  della  legge  n. 724 del 1994 avrebbe eliminato ogni
 dubbio  al  riguardo,  disponendo  che  i  termini,  previsti   dalle
 disposizioni  della  legge  n.  47 del 1985 e da quelle di successiva
 modificazione o integrazione, sono da considerarsi come riferiti alla
 data di entrata in vigore della stessa legge n. 724 del 1994;
     che, inteso l'art. 8-quater piu' volte citato  come  disposizione
 integrativa  della legge n. 47 del 1985, la "non punibilita'" in esso
 prevista dovrebbe intendersi riferita alle demolizioni avvenute prima
 della entrata in vigore della legge n. 724 del 1994, ovvero entro  il
 31 dicembre 1994;
     che  la  questione  sarebbe comunque infondata - anche ove non si
 accedesse alla tesi del carattere integrativo della  disposizione  di
 cui all'art. 8-quater del decreto-legge n. 146 del 1985 rispetto alla
 legge  n.  47  del  1985  -  in  quanto  il  predetto  art.  8-quater
 introdurrebbe una "eccezionale causa di non punibilita'",  del  tutto
 indipendente  dalla  oblazione  e  dalla  domanda  di  concessione in
 sanatoria. Inoltre, proprio la eccezionalita' e  la  limitazione  nel
 tempo  della  operativita'  della  predetta  causa di non punibilita'
 escluderebbe "nel modo piu'  assoluto"  che  la  relativa  previsione
 possa  costituire norma di raffronto per giudicare della legittimita'
 costituzionale delle successive norme che si discostino da essa;
   Considerato che questa Corte, con ordinanza n.  137  del  1996,  ha
 avuto  occasione  di  riaffermare che la demolizione di opera abusiva
 non preclude al responsabile dell'abuso  edilizio  di  presentare  la
 domanda  di  condonosanatoria (v. anche le precedenti sentenze n. 167
 del 1989 e n. 369 del 1988);
     che tale interpretazione opera anche con riferimento  ad  ipotesi
 disciplinate  dall'art.  39  della  legge  23  dicembre  1994 n. 724,
 caratterizzata sostanzialmente  da  riapertura  dei  termini  per  la
 presentazione   delle   domande,   con   spostamento  della  data  di
 ultimazione delle opere  abusive,  ai  fini  della  applicazione  del
 condono  edilizio  di  cui alla legge n. 47 del 1985, accompagnata da
 taluni nuovi obblighi e restrizioni soggettive ed oggettive;
     che  nessuna  innovazione  e'  stata   introdotta   nella   nuova
 disciplina  del  condono  edilizio  del  1994 per quanto attiene agli
 effetti  della  presentazione   della   domanda   e   del   pagamento
 dell'oblazione  (ritenuto dal legislatore elemento necessario per gli
 effetti  estintivi),  ne'  vi  e'  alcuna  disposizione  specifica  o
 innovativa  (rispetto al precedente condono-sanatoria del 1985) sulla
 intervenuta demolizione o eliminazione delle opere abusive;
     che, pertanto, anche in base al  condono  edilizio  riaperto  con
 l'art.  39  citato,  non  esiste  alcuna  disparita'  di  trattamento
 rispetto a chi non abbia  tempestivamente  demolito,  continuando  la
 demolizione  a  non  essere  un  elemento  discriminativo  e ostativo
 rispetto alla domanda di condono con pagamento della  oblazione,  cui
 conseguono  i  normali  effetti  previsti dall'immutato art. 38 della
 legge n. 47 del 1985;
     che  nessuna violazione del diritto di difesa di cui all'art.  24
 della Costituzione puo' essere configurata in quanto, a seguito della
 intervenuta demolizione  (spontanea),  nessun  impedimento  giuridico
 sussiste  ne'  per  la  quantificazione  dell'oblazione,  ne'  per la
 relativa  verifica  delle   condizioni,   dei   presupposti   nonche'
 dell'entita' della somma da versare;
     che  per  un  verso, infatti, "l'autore" ha certamente conoscenza
 degli elementi dell'opera abusiva necessari per la domanda di condono
 e puo' fornire ogni indicazione, anche attraverso autocertificazione,
 accompagnata da ogni altro eventuale elemento  di  prova,  in  ordine
 alla  costruzione abusiva e alla demolizione; per l'altro, il giudice
 puo' certamente compiere  tutte  le  verifiche  in  ordine  alla  non
 attuale  esistenza  dell'opera  abusiva,  che  aveva  dato causa alla
 imputazione penale, e agli elementi costitutivi del reato  nonostante
 la demolizione avvenuta;
     che  alle  anzidette  conclusioni  si perviene sia accogliendo la
 interpretazione (certamente plausibile e  non  in  contrasto  con  la
 Costituzione)  della  difesa del Presidente del Consiglio, secondo la
 quale l'art. 8-quater del d.-l. 23 aprile 1985,  n.  146  costituisce
 una  integrazione  della  legge  n. 47 del 1985; sia accedendo ad una
 interpretazione restrittiva sull'ampiezza del rinvio,  contenuto  nel
 combinato  disposto  dell'articolo  39,  commi 1 e 18, della legge n.
 724 del 1994, alle disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge  28
 febbraio  1985,  n.  47  e successive modificazioni e integrazioni in
 riferimento all'art. 8-quater del d.-l. n. 146  del  1985  (soluzione
 egualmente  plausibile e non in contrasto con la Costituzione e, come
 tale, rimessa alla competenza del giudice del merito);
     che in entrambe le ipotesi deve essere  riaffermato  che  rientra
 nella  discrezionalita'  del legislatore stabilire limiti temporali a
 taluni effetti di  "non  perseguibilita'"  come  conseguenza  di  non
 punibilita'  per  ragioni  di  politica  criminale,  e non certo come
 effetto  della  caduta  di  antigiuridicita'  per  cause  intrinseche
 attinenti al nucleo sostanziale dell'illecito, che permane anche dopo
 la demolizione (ordinanza n. 137 del 1996; sentenza n. 167 del 1989);
     che,   pertanto,   la   sollevata   questione   di   legittimita'
 costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata  sotto
 ciascuno dei profili denunciati;
   Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.