IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello proposto nell'interesse di Bianco Anacleto, Cerino Mario e Baratto Raffaele con atti depositati in data 21 e 22 febbraio 1996 dai difensori di fiducia dei predetti, avverso l'ordinanza emessa in data 6 febbraio 1996 dal g.i.p. presso il tribunale di Napoli, con la quale veniva rigettata l'istanza di declaratoria di inefficacia della misura cautelare per omesso interrogatorio; Letti gli atti trasmessi dall'autorita' giudiziaria procedente, depositati presso la cancelleria di questo tribunale del riesame in data 4 marzo 1996; Sentiti i difensori degli istanti ed acquisiti gli atti esibiti all'udienza camerale, Osserva in fatto In data 27 settembre 1995 il p.m. avanzava richiesta di rinvio a giudizio e contestuale richiesta di adozione della misura cautelare nei confronti di Bianco Anacleto, Cerino Mario e Baratto Raffaele; il 22 gennaio 1996 il g.i.p. presso il tribunale di Napoli accoglieva tale ultima richiesta, emettendo misura cautelare in carcere nei confronti degli appellanti. Con istanze del 30 gennaio e 2 febbraio 1996 la difesa avanzava richiesta di declaratoria di inefficacia della misura cautelare per omesso interrogatorio nel termine di 5 giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia ai sensi dell'art. 302 c.p.p. Il g.i.p., rigettava l'istanza assumendo che il giudice e' tenuto a procedere all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare solo nel corso delle indagini preliminari, mentre "nel caso in esame il provvedimento restrittivo e' stato invocato dal p.m. con la richiesta di rinvio a giudizio ed emesso successivamente; che pertanto si e' in presenza di una custodia cautelare disposta dopo la chiusura delle indagini preliminari (art. 405 c.p.p.)". Hanno proposto gravame i difensori degli imputati affermando che l'interrogatorio di cui all'art. 294 c.p.p., quale strumento di difesa e sede di verifica delle condizioni di applicabilita' della misura, e' atto indefettibile nel contesto dell'applicazione delle misure cautelari. Nel corso della discussione orale la difesa accennava alla disparita' di trattamento che verrebbe a crearsi, ove cosi' non fosse, tra l'arrestato nella fase delle indagini preliminari e l'arrestato nelle altre fasi, senza peraltro sollevare formalmente questione di legittimita' costituzionale delle norme in esame (artt. 294 e 302 c.p.p.). In diritto La questione posta solleva consistenti dubbi di costituzionalita' delle norme interessate dalla vicenda in esame, sia pure in un'ottica diversa da quella prospettata dalla difesa ed in particolare avuto riguardo alla fase processuale che intercorre tra l'esercizio dell'azione penale ed il rinvio a giudizio dell'imputato. Innanzitutto giova ricordare che il richiamato art. 294 c.p.p. fa esplicito riferimento, quanto all'obbligo di interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare, alla sola fase delle indagini preliminari ("nel corso delle indagini preliminari"); dottrina e giurisprudenza hanno interpretato tale limitazione - cosi' salvandola da questioni di legittimita' assolutamente non peregrine - come diretta conseguenza di profili di ordine sistematico. In sintesi si e' sostenuto che tale obbligo e' previsto solo nella fase delle indagini, perche' e' in questa fase che l'indagato non si trova a stretto contatto con un giudice terzo in grado di valutare la sussistenza dei presupposti della misura cautelare, le ragioni delle parti, l'attualita' dell'esigenza di cautela. Al di fuori di questa fase, e cioe' negli atti preliminari al dibattimento, prima, e nel dibattimento poi, si spiega in pieno il potere giudicante e la possibilita' dell'imputato di attivarlo. In particolare e' stato affermato che nel giudizio "l'esercizio del diritto di difesa e' assicurato dalle spontanee dichiarazioni e dall'eventuale esame dell'imputato" (Cass. sez. II, 11 marzo 1994 n. 572), mentre nella fase intercorrente tra il rinvio a giudizio ed il giudizio ".... l'indagato (ormai divenuto imputato) ha gia' avuto occasione di far conoscere le prove a suo favore nel corso dell'udienza preliminare o, comunque, il giudice ha avuto modo di valutare le prove a carico e a favore di lui" (Cass. sez. I, 11 marzo 1994, n. 5253). Quindi, in sintesi, il sistema processuale consente di affermare che la possibilita' di non procedere all'interrogatorio tempestivo della persona ristretta in carcere poggia sul presupposto della cognizione piena del giudice, e che viceversa quando siffatta cognizione piena manchi, come nel corso delle indagini preliminari, l'intervento del giudice e' previsto e disciplinato dalla norma. Tanto premesso, resta da stabilire quando, ai fini dell'obbligo dell'interrogatorio ex art. 294 c.p.p., puo' affermarsi che il giudice ha una conoscenza piena degli atti di causa o, il che e' lo stesso, quando e' immesso in quella pienezza di poteri tale da costituire, per l'imputato, un referente reale al quale far capo, a partire dalle questioni attinenti ai presupposti della misura cautelare ed alla sua attualita'. L'identica questione, sia pure da un'ottica diametralmente opposta, e' stata sollevata in relazione alla individuazione del momento in cui possono ritenersi concluse le indagini preliminari, ponendosi nella fase immediatamente successiva a questa, ma antecedente alla definitiva giurisdizionalizzazione del procedimento, il problema della piena ed effettiva partecipazione del giudice e, per converso, della piu' ampia garanzia dei diritti di difesa. Non v'e' dubbio che nel giudizio, e tanto valga per la fase del dibattimento che per quella predibattimentale, il giudice e' nella pienezza di poteri che gli consenta di apprezzare i presupposti e l'attualita' della misura cautelare, mentre l'imputato "ha gia' avuto occasione di far conoscere le prove a suo favore nel corso dell'udienza preliminare o, comunque, il giudice ha avuto modo di valutare le prove a carico e a favore di lui" (Cass. sez. I, cit.). D'altronde, e' lecito aggiungere, con il decreto di fissazione del giudizio si cristallizza la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: l'affermazione si fonda sulla lettura del nuovo testo dell'art. 425 c.p.p. che non considera piu' sufficienti per il rinvio a giudizio la non evidenza della prova, ma richiede un accertamento positivo della colpevolezza dell'imputato. Puo' dunque affermarsi che il fondamento probatorio che e' alla base di un rinvio a giudizio e' oggi, all'esito delle modifiche apportate dalla legge 8 aprile 1993 n. 105 all'art. 425 c.p.p., piu' solido e completo rispetto a quello che viene utilizzato come condizione per l'applicazione di una misura cautelare personale. Quest'ultima si concreta con la presenza di elementi che, pur conducendo ad un'affermazione di estrema probabilita' circa la colpevolezza del soggetto, non sono sufficienti per la emanazione di una sentenza di condanna ovvero del decreto che dispone il giudizio. Cio' perche' i gravi indizi di cui all'art. 273 c.p.p. vanno tenuti distinti, per consolidato orientamento della S.C. (v. per tutte sez. I 18 marzo 1992, Russo), da quelli di cui all'art. 192 c.p.p. Quanto, viceversa, alla fase che precede il decreto di fissazione del giudizio e, potremmo aggiungere, per quanto sopra detto, la stessa udienza preliminare (le due cose, peraltro, coincidono sul piano temporale), da un lato il giudice non si trova nella pienezza dei poteri tanto di natura cognitiva che di natura dispositiva, null'altro essendogli demandato che la fissazione dell'udienza preliminare ne' essendo stata per tale fase prevista una norma dal contenuto simile a quella dettata dall'art. 467 c.p.p. (atti urgenti) per la fase predibattimentale: e' solo con l'udienza preliminare che il procedimento si giurisdizionalizza in concreto. E cio' vale anche dal punto di vista dell'imputato in stato di custodia cautelare, in particolare - tornando al tema di partenza - quanto al diritto di svolgere appieno le sue difese, non essendo prevista per tale fase l'obbligo dell'interrogatorio ne' la sanzione processuale della inefficacia sopravvenuta od estinzione della misura, che il combinato disposto degli artt. 294 e 302 c.p.p. limita alle sole persone in stato di custodia cautelare nel corso delle indagini preliminari. Siffatta anomalia non e' sfuggita ai giudici di merito, come a quelli di legittimita', benche' la loro attenzione si sia inizialmente focalizzata sulla correlazione tra obbligo dell'interrogatorio e scansione in generale delle fasi processuali, cosi' come normativamente affermato, alla quale ricondurre la affermata non indifettibilita' dell'interrogatorio nel procedimento cautelare. Un primo tentativo di soluzione sistematica della materia fondava sulla inclusione dell'udienza preliminare nella fase delle indagini preliminari: i sostenitori di tale tesi attingevano 1) al dato letterale che il libro V e' intitolato delle "indagini preliminari e udienza preliminare", non prevedendo una fase intermedia ne' una soluzione di continuita' tra le stesse, ma soprattutto 2) alla norma regolatrice dei termini di custodia cautelare (art. 303 c.p.p., che peraltro segue immediatamente quella relativa alla sanzione per omesso interrogatorio) che, a proposito delle indagini preliminari fissa come momento di scadenza dei termini l'emissione del provvedimento che dispone il giudizio (v. art. 303, comma primo, lett. a e b). Tale orientamento non e' rimasto pero' senza contrasti, atteso che, a livello sistematico, apparve in netto contrasto con la stessa struttura del codice, che distingue nettamente la chiusura delle indagini preliminari (titolo VIII) dall'udienza preliminare (titolo IX del libro V). Questa incertezza ermeneutica appare plasticamente espressa dal contrasto giurisprudenziale insorto sull'argomento e culminato nella sentenza 18 giugno 1993 delle s.u. della Cassazione, che davano ragione a quanti, come il g.i.p. dell'ordinanza impugnata, ritengono che l'esercizio dell'azione penale pone fine alla fase delle indagini preliminari, e che a partire da quel momento non corre obbligo di sottoporre ad interrogatorio la persona in stato di custodia cautelare, e cio' tanto nel caso che la misura, disposta precedentemente alla richiesta di rinvio a giudizio, abbia trovato esecuzione in un momento successivo, quanto in quella (non infrequente, peraltro) che sia stata adottata unitamente ed anzi in occasione della richiesta di rinvio a giudizio. Dopo soli pochi mesi dalla pronuncia delle sez. un., la S.C., sia pure a sezione semplice (sez. I 1 dicembre 1993 e successivamente 11 marzo 1994 n. 5253), si pronunciava nuovamente a favore della tesi opposta, assumendo che l'obbligo dell'interrogatorio ex art. 294 cit. cessa dal momento in cui sia intervenuto il decreto che dispone il giudizio e che quindi, implicitamente, le indagini preliminari cessano non con la richiesta di rinvio a giudizio bensi' con l'udienza preliminare. A sostegno di tale orientamento, oltre agli argomenti su svolti, non essendovi un termine positivamente espresso nel codice, altri ne possono essere suggeriti, quale 3) il dato letterale che la norma dell'art. 405 c.p.p., ove si contempla la formulazione del capo d'imputazione e la richiesta di rinvio a giudizio, titola "dell'inizio dell'azione penale" che e' cosa diversa dall'esercizio dell'azione penale, da intendersi quest'ultimo come fattispecie a formazione progressiva o successiva che si instaura con la richiesta di rinvio a giudizio (che avvia la chiusura delle indagini preliminari, la cui trattazione e' avviata dal titolo VIII del libro V ma che e' disciplinata dal successivo titolo IX unitamente all'udienza preliminare), e si esaurisce solo con l'udienza preliminare e con la formulazione del decreto di citazione a giudizio; ed ancora che 4) mentre le indagini integrative, quelle cioe' svolte dopo l'udienza preliminare ed il rinvio a giudizio, soffrono delle limitazioni previste ed introdotte dalla norma dell'art. 430 c.p.p., non altrettanto avviene per quelle effettuate dal p.m. nella fase intermedia tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'udienza preliminare (se non quelle tipiche delle indagini preliminari) per le quali a norma dell'art. 419 comma terzo c.p.p. detta solo disposizioni ai fini della trasmissione e del deposito in vista dell'udienza preliminare, senza qualificarle e facendo cosi' intendere che rientrano anch'esse tra le comuni indagini preliminari (solo la dottrina, con terminologia adottata al solo scopo di distinguerle da quelle integrative, le indica come indagini suppletive). Purtuttavia siffatta conclusione lascia dei tutto irrisolti contrasti di ordine letterale che, se nell'originaria stesura del codice di rito potevano essere imputati ad una non chiara visione del legislatore sugli sviluppi e contrasti che sarebbero insorti tra i concetti di imputato e di persona sottoposta alle indagini preliminari, per gli aspetti che quivi interessano, dopo la novella dell'agosto scorso si prospettano come una consapevole scelta di campo che non lascia spazio a dubbi interpretativi: la norma dell'art. 60 c.p.p. afferma testualmente che la qualita' di imputato si acquista, fra gli altri, con la formulazione del capo di imputazione nella richiesta di rinvio a giudizio; quella dell'art. 61 c.p.p. distingue nettamente la figura dell'imputato dalla persona sottoposta alle indagini preliminari, sancendo che alla seconda sono estesi i diritti e le garanzie del primo (e non viceversa). Gia' siffatto complesso normativo, se letto congiuntamente alla norma dell'art. 294 cit., che contempla l'interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale limitandolo alle sole indagini preliminari, porta ad escludere l'applicabilita' delle norme degli artt. 294 e 302 cit. alla persona che venga ristretta dopo la richiesta di rinvio a giudizio. La contrapposizione tra imputato ed indagato (o persona sottoposta ad indagini) appare pero' riprodotta, anzi rimarcata, dalla norma dell'art. 299 c.p.p., come novellata ed integrata dalla legge 8 agosto 1995 n. 332, che all'art. 3-ter, inserito dall'art. 13, comma primo della riforma, distingue la facolta' del giudice di interrogare la persona sottoposta alle indagini, ove ne ravvisi l'opportunita' "valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure", dall'obbligo del giudice di assumere l'interrogatorio dell'imputato che ne ha fatto richiesta "se l'istanza di revoca o di sostituzione e' basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli gia' valutati". E' chiara l'interpretazione di detta norma, e del tutto coerente con la disciplina generale dettata dalla norma dell'art. 294 cit., secondo l'interpretazione fattane dalle sez. un. della Cass., oltre che confermativa del differente regime che contrassegna la persona in stato di custodia cautelare prima e dopo la richiesta di rinvio a giudizio: mentre la prospettazione di elementi sui quali non si sia formato il giudicato cautelare comporta l'obbligo dell'interrogatorio, e cio' tanto per l'imputato che, per quanto affermato dall'art. 61 cit., per l'indagato (giacche' evidentemente si tratta di valutare elementi in relazione ai quali e' finora mancata una effettiva giurisdizionalizzazione), ogn'altra prospettazione che possa determinare una differente valutazione di elementi gia' portati a conoscenza del giudice "puo'" far ritenere l'opportunita' di sentire a chiarimenti la persona sottoposta ad indagine, non gia' l'imputato, per il quale vige ancora, nell'ottica del legislatore, la falsa prospettazione che la fase giurisdizionale ha gia' avuto corso, anche solo con la formulazione della richiesta di rinvio a giudizio ad opera del p.m. In sostanza appare riprodotto, nella novella del 95, l'identico schema normativo che ha caratterizzato la norma dell'art. 294 cit., senza tenere in alcun conto il (perdurante) contrasto giurisprudenziale, ne' in particolare le difficolta' interpretative in ordine alla applicazione della norma nella fase intermedia che corre tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'udienza preliminare. La quale fase, e tanto valga per i profili di costituzionalita' che quivi rilevano, puo' aver una durata del tutto imprevista, non essendo sancito dal nostro codice un termine perentorio per il g.i.p. di fissazione dell'udienza preliminare (l'art. 418 c.p.p. prevede bensi' un termine di due giorni per la fissazione dell'udienza ed un termine di trenta giorni perche' questa sia tenuta, ma si tratta di termini ordinatori la cui inosservanza e' priva di sanzione e che, come l'esperienza dimostra, sono ampiamente disattesi, per molteplici cause). Fissare come momento finale dell'obbligo di sottoporre ad interrogatorio la persona in stato di custodia cautelare la richiesta di rinvio a giudizio del p.m. vuol dire lasciare uno spazio temporale (di quantita' imprecisata) di sospensione del diritto di difesa del tutto irragionevole ed arbitrario, in contrasto con lo stesso sistema normativo, secondo l'interpretazione prevalente della S.C., che vede nell'effettiva giurisdizionalizzazione la ragione della differenziazione tra imputato ed indagato. E' per tale ragione che la giurisprudenza, di merito e di legittimita', ha cercato di attingere ad altri istituti per escludere il diritto dell'imputato all'interrogatorio nei termini funzionali al sistema delle garanzie, assumendo che vi sono strumenti equipollenti di difesa cui il predetto puo' fare alternativamente ricorso. Ne' puo' ritenersi che il diritto di difesa poteva essere garantito col riesame o avanzando istanza di interrogatorio in connessione con richiesta di revoca della misura, ai sensi del gia' citato art. 299, comma 3-ter, seconda parte. Non garantisce il diritto di difesa di cui e' espressione il diritto dell'indagato a rendere interrogatorio la procedura del riesame, cui pure la S.C. (sez. I 20 aprile 1995 n. 703) ha fatto riferimento per escludere un contrasto costituzionale tra la norma dell'art. 294 cit. e quello dell'art. 24 della Cost., in relazione alla facolta' dell'imputato di essere sentito, in tempi brevi, presenziando all'udienza camerale, ed a svolgere le proprie difese: ove anche all'istituto del riesame voglia attingersi quale momento di effettiva giurisdizionalizzazione, nel quale l'imputato possa far valere le proprie ragioni anche solo a mezzo del proprio difensore, cosi' come per l'udienza preliminare, non puo' non rilevarsi che la procedura ex art. 309 c.p.p. si inquadra nel sistema dei gravami in materia cautelare, in quanto tale non solo meramente eventuale ma altresi' accessorio rispetto al procedimento cautelare, laddove l'istituto dell'interrogatorio ex art. 294 cit. si inserisce geneticamente nel complesso sistema delle garanzie di difesa, cosi' come l'udienza preliminare costituisce una fase necessaria e funzionale del procedimento penale, finalizzato alla verifica dei presupposti dell'azione penale e, in tale contesto, altresi' delle condizioni di applicabilita' previste dall'art. 273 c.p.p. ovvero delle esigenze cautelari previste dall'art. 274 c.p.p., come espressamente sancito dalla norma dell'art. 299 comma terzo c.p.p. Altrettanto e' a dirsi, infine, per l'interrogatorio introdotto dall'art. 299 comma 3-ter cit., che viene assunto solo in presenza di un'istanza di revoca o di sostituzione della misura in corso, e sempreche' basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli gia' valutati (evidentemente in sede di adozione della misura cautelare), laddove l'interrogatorio ex art. 294 cit. e' specificamente finalizzato a contrastare o ad offrire spunti di valutazione, sia sul piano del merito che su quello cautelare, rispetto agli elementi originariamente assunti a sostegno della misura. Anche la procedura ex art. 299 comma 3-ter costituisce, come quella del riesame, una deroga, od una mera eventualita', rispetto al sistema delle garanzie riconducibile geneticamente alla norma dell'art. 294, alla quale, e solo alla quale, va quindi attinto onde rilevare se ricorrono contrasti con le norme costituzionali poste a salvaguardia del diritto di difesa (art. 24) e di quello di eguaglianza (art. 3). L'imputato, nella fase processuale che intercorre tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'udienza preliminare, come disegnata dal complesso sistema degli artt. 60, 61, 294, 302 e 405 c.p.p., si trova in una situazione processuale sostanzialmente identica, sul piano della legittima aspettativa ad un interrogatorio in tempi rapidi, a fini di difesa, a quella in cui versa la persona sottoposta ad indagini preliminari, in possibile contrasto con l'art. 3 Cost., qualora intervenga una misura cautelare o sia data esecuzione ad una misura precedentemente disposta. La mancanza di un termine perentorio che garantisca all'imputato la effettiva e tempestiva giurisdizionalizzazione della sua posizione processuale, ai sensi dell'art. 418 c.p.p., comporta un concreto ed ingiustificato restringimento delle garanzie di difesa, in possibile contrasto con l'art. 24 Cost. Diversamente sarebbe qualora le norme degli artt. 294 e 302 c.p.p. non limitassero l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare e la relativa sanzione della estinzione della custodia per omesso interrogatorio, alle sole indagini preliminari o, rispettivamente, alle sole misure disposte nel corso delle indagini preliminari. Un estremo tentativo di dare dignita' costituzionale al sistema delle norme in corso potrebbe farsi diversificando, in contrasto con tutta la giurisprudenza che finora si e' pronunciata sulla questione, la norma dell'art. 294 cit., che afferma l'obbligo dell'interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale "nel corso delle indagini preliminari", da quella dell'art. 302 cit., che sanziona di inefficacia la misura cautelare "disposta nel corso delle indagini preliminari ... se il giudice non procede all'interrogatorio entro il termine previsto dall'art. 294"; come dire: l'obbligo dell'interrogatorio vige, ai sensi dell'art. 294, nel corso delle indagini preliminari e, ai sensi dell'art. 302, anche dopo purche' la misura sia stata adottata nel corso delle indagini preliminari. Anche siffatta soluzione, a ben guardare, non soddisfa: a parte la considerazione che la irrazionalita' del sistema permarrebbe qualora la misura cautelare sia adottata contestualmente alla richiesta di rinvio a giudizio, o dopo, nelle more dell'udienza preliminare, e' la stessa norma dell'art. 302 a smentire siffatta interpretazione giacche', nella seconda parte, prevede pur sempre l'obbligo del previo interrogatorio al fine di valutare la permanenza delle condizioni per ripristinare la custodia cautelare dichiarata inefficace ai sensi della prima parte della norma, e quindi anche per le persone ristrette nel corso delle indagini preliminari che abbiano acquistato nel frattempo la qualita' di imputato, cosi' contraddicendo la lettura che si e' data della prima parte della norma, e cioe' che l'obbligo dell'interrogatorio e' pur sempre correlato alle indagini preliminari. D'altronde, se cosi' non fosse, si creerebbe un ingiustificato distinguo tra indagato latitante arrestato dopo la richiesta di rinvio a giudizio ed imputato arrestato a seguito della contestuale emissione della misura cautelare e della richiesta di rinvio a giudizio, cosi' come sembrerebbe discendere dall'ordinanza del tribunale di Napoli, VII sez. in data 19 febbraio 1996, che attestandosi sul riconosciuto limite temporale delle indagini preliminari al momento della formulazione della richiesta di rinvio a giudizio, introduce una differenziazione nel senso teste' indicato. La motivazione di siffatta ordinanza non appare condivisibile nella parte in cui assume che con la richiesta di rinvio a giudizio il giudice e' investito di tutti gli elementi utilizzabili ai fini di una piu' ampia valutazione delle ragioni dell'imputato, rispetto alla fase precedente alla richiesta, nella quale siffatta cognizione sarebbe meno piena: a parte la circostanza che la nuova formulazione dell'art. 291 c.p.p. impone la trasmissione al g.i.p. per l'emissione della misura cautelare anche di tutti gli elementi a favore dell'indagato, cio' che rivela la illogicita' di siffatta motivazione e' che una cosa sono le acquisizioni favorevoli all'indagato riconducibili alle indagini del p.m. o il complesso delle indagini al momento della richiesta di rinvio a giudizio, altro sono le difese che l'imputato/indagato puo' svolgere ove messo in condizione di farlo. La verita' e' che la norma dell'art. 302, cosi' come l'ha interpretata unanimemente la dottrina e la giurisprudenza, e' strettamente ancorata a quella dell'art. 294, costituendo nient'altro che la sanzione processuale alla inosservanza di un obbligo ivi sancito, il quale opera esclusivamente nel corso delle indagini preliminari. Il rinvio a giudizio, disposto dal giudice all'esito dell'udienza preliminare, rappresenta un momento di effettiva giurisdizionalizzazione del procedimento, tale da giustificare la differente disciplina del sistema delle garanzie del quale godono, con riferimento alla custodia cautelare, l'imputato e la persona sottoposta alle indagini preliminari. La richiesta di rinvio a giudizio, che e' atto del p.m., non giustifica quel restringimento delle garanzie di difesa denunciato con riferimento al sistema normativo dettato dagli artt. 294 e 302 c.p.p.