IL TRIBUNALE
   Il  giudice  istruttore,  sciogliendo  la  riserva  che  precede in
 relazione al procecimento civile n. 1290/95;
                           Premesso in fatto
   Che l'attore con atto di citazione del 24  luglio  1995,  assumendo
 che  il  comune convenuto aveva illegittimamente occupato un fondo di
 sua  proprieta'  per  la  realizzazione  di  un'opera  pubblica,   lo
 conveniva  in  giudizio  per  conseguire  il  risarcimento  del danno
 derivante dalla perdita della proprieta' medesima;
   Che l'ente  convenuto,  costituendosi  in  giudizio,  chiedeva  che
 l'indennizzo  dovuto all'attore venisse determinato secondo i criteri
 stabiliti dall'art. 65 della legge 28  dicembre  1995,  n.  549,  che
 estende  l'applicazione  dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n.
 333 (convertito con legge dell'8 agosto 1992, n. 359) a "tutti i casi
 in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo,
 l'indennizzo e/o il risarcimento del danno, alla data di  entrata  in
 vigore della legge di conversione del presente decreto";
   Che   all'udienza  del  29  marzo  1996  questo  giudice  sollevava
 d'ufficio questione di   costituzionalita' della predetta  norma  per
 violazione degli artt. 42, terzo comma, 97 e 28 della Costituzione.
                          Premesso in diritto
   Che   l'istituto   dell'espropriazione   formale   e  quello  della
 occupazione appropriativa si fondano su presupposti diversi;
   Che,  in  particolare, l'occupazione appropriativa si atteggia come
 una   fattispecie   unitaria,   comprensiva    dei    due    elementi
 dell'occupazione  abusiva  e  della  costruzione dell'opera pubblica,
 interamente qualificata dall'illecito della p.a.  (Cass.  1993/9826).
 L'apprensione illegittima del suolo del privato e la realizzazione su
 di  esso  di  un'opera da parte della p.a. determinano un danno nella
 sfera giuridica del privato, il  quale  non  puo'  piu'  ottenere  la
 restituzione  del  bene  illegittimamente  occupato per effetto della
 costruzione  dell'opera  pubblica,  la  quale  attribuisce  al   bene
 originariamente  di  proprieta'  del  privato  natura  pubblica,  cui
 consegue necessariamente l'effetto dell'acquisto  dell'immobile  alla
 mano   pubblica.   A   fronte  del  danno  subito  per  l'impossibile
 restituzione del bene, il privato puo' agire in via risarcitoria  per
 il  conseguimento  del  valore del bene perduto.   Il punto di arrivo
 dell'elaborazione giurisprudenziale dell'istituto  della  occupazione
 appropriativa  e' rappresentato dalla decisione della suprema Corte a
 sezioni unite del  25  novembre  1992,  n.  12546  che  (concentrando
 nell'area    della   illiceita'   tutto   lo   sviluppo   dell'azione
 amministrativa, da cui sorge il diritto del privato  al  risarcimento
 del   danno)   individua   il   punto   saliente   della  fattispecie
 dell'occupazione   appropriativa   "nella   natura    illecita    del
 comportamento  della  p.a.    che  occupi  illegittimamente  un fondo
 privato e vi costruisca un'opera pubblica modificando radicalmente la
 struttura del bene ed impedendo  al  proprietario  l'esercizio  delle
 facolta' di godimento, con la precisazione che l'illiceita' di questo
 comportamento,  comprendente  entrambi  i  momenti  della fattispecie
 (ossia quello dell'occupazione e  quello  della  costruzione)  deriva
 dalla  violazione certamente consapevole delle norme che stabiliscono
 in quali casi e con quali procedimenti la proprieta' di  un  immobile
 privato  puo'  essere  autoritativamente  sacrificata per esigenze di
 pubblico interesse ex art. 42, terzo comma, della Costituzione".   Al
 contrario,   l'espropriazione  formale  e'  un  istituto  di  diritto
 pubblico in base al quale un soggetto viene privato, in  tutto  o  in
 parte,  di  un  bene  di  sua  proprieta'  per  una causa di pubblico
 interesse   legalmente   dichiarata.   Esso   pertanto    rappresenta
 l'esplicazione  di  un  potere  autoritativo ablatorio conferito alla
 p.a. dalla  legge  e  si  caratterizza  per  essere  espressione  del
 principio   di   legalita',   di  procedimentalizzazione  dell'azione
 amministrativa,  della  tipicita'  degli  atti   amministrativi   nel
 rispetto  della riserva di legge sancita in materia di espropriazione
 (art. 42, terzo comma, della Costituzione).
   Tutto cio' premesso, appare evidente la sostanziale differenza  tra
 i  due istituti quanto ai presupposti: seppure entrambi conseguano lo
 stesso  risultato  espropriativo,  l'uno  (l'espropriazione  formale)
 costituisce    un'attivita'   lecita   ancorche'   dannosa,   l'altro
 (l'occupazione  appropriativa)  attivita'  dannosa  illecita,   l'una
 attivita' di imperio, l'altra attivita' materiale contra legem.
   Del resto, la Corte costituzionale gia' nella pronunzia 16 dicembre
 1993,  n.  442 ha evidenziato testualmente - rispondendo alla censura
 di illegittimita' mossa dalla corte di appello di Roma al primo comma
 dell'art. 5-bis, sotto il profilo della disparita' di trattamento tra
 proprietari  (art.  3  Cost.)  derivante  dalla  applicazione   della
 fattispecie  dell'espropriazione  di  aree  edificabili  e  di quella
 dell'accessione invertita, poiche' la prima assicura al  proprietario
 espropriato  solo  una  parte  del valore venale del suo bene, mentre
 l'altra  pur  mancando  un  legittimo  decreto di esproprio, assicura
 invece il risarcimento del danno in misura pari al valore venale  del
 bene  - che "le fattispecie a confronto sono assolutamente divaricate
 e non comparabili. Nella prima  c'e'  un  procedimento  espropriativo
 secundum   legem  (ossia  nel  rispetto  dei  presupposti  formali  e
 sostanziali   che   rappresentano   altrettante   garanzie   per   il
 proprietario  espropriato)  e  quindi  vengono  in rilievo le opzioni
 discrezionali del  legislatore  in  ordine  al  criterio  di  calcolo
 dell'indennita'  di  espropriazione;  la  seconda  ipotesi si colloca
 fuori dai canoni di legalita' (perche'  e'  la  stessa  realizzazione
 dell'opera  pubblica  sull'area  occupata,  ma  non  espropriata,  ad
 impedire  di  fatto  la  retrocessione  ed  a  comportare   l'effetto
 traslativo  della  proprieta'  del  suolo  per  accessione  all'opera
 stessa) e quindi ben puo' operare il diverso  principio  secondo  cui
 chi  ha  subito  un  danno  per  effetto di una attivita' illecita ha
 diritto ad un pieno ristoro. Per  altro  verso  e'  giustificato  che
 l'ente  espropriante,  il  quale  non  faccia ricorso ad un legittimo
 procedimento espropriativo per acquisire l'area edificabile,  subisca
 conseguenze piu' gravose di quelle previste ove invece sia rispettoso
 dei  presupposti formali e sostanziali prescritti dalla legge perche'
 si  determini  l'effetto  di  ablazione   dell'area".      Nel   caso
 dell'espropriazione formale, l'art. 42 della Costituzione nella parte
 in  cui  assicura a conclusione del procedimento espropriativo svolto
 nei presupposti  sostanziali  e  formali,  il  giusto  indennizzo  al
 privato,  conferisce  al  legislatore il potere di determinare in via
 discrezionale la misura dell'indennita' di espropriazione,  la  quale
 per  costante  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale se per un
 verso, non deve essere commisurata esattamente al valore  venale  del
 bene,   d'altro   canto,  non  puo'  essere  meramente  simbolica  od
 irrisoria, ma deve essere congrua, seria ed adeguata. E cio'  perche'
 l'integrale  ristoro  del  sacrificio negherebbe ogni incidenza sotto
 tale  profilo  agli  scopi  di  pubblica  utilita'  che  persegue  il
 procedimento  espropriativo;  per altro verso, pero', l'interesse del
 privato non puo' essere chiamato ad  un  sacrificio  che  azzeri  del
 tutto   il  suo  diritto,  atteso  il  rilievo  costituzionale  della
 proprieta' privata, riconosciuta ancorche' con il limite  connaturale
 della realizzazione di una "funzione sociale".
   Se questa e' la ratio che sottende alla garanzia costituzionale del
 serio  ristoro  di una posizione soggettiva oramai degradata a fronte
 del potere autoritativo legittimamente esercitato, appare evidente la
 non riconducibilita' alla predetta norma del diritto al  risarcimento
 del   danno   spettante   al   privato   a   seguito  di  occupazione
 appropriativa, posto che in questa ipotesi la situazione  di  diritto
 soggettivo  perfetto  vantata  dal  privato  sul bene rimane integra,
 anche se, essendo oramai giuridicamente impossibile  la  restituzione
 del   bene   irreversibilmente  trasformato  per  effetto  dell'opera
 pubblica, si proietta  non  piu'  sul  bene  originario  ma  sul  suo
 equivalente   monetario,  significando  tutto  cio'  che  l'attivita'
 materiale illecita della p.a. non essendo espressione  di  un  potere
 autoritativo  lascia  sussitere  nella  sua  pienezza  il diritto del
 privato al risarcimento integrale del danno subito.
   Per cui appare illegittimo ricomprendere sotto la stessa previsione
 normativa  (art.42  della  Costituzione)  fattispecie   completamente
 diverse, equiparando in sostanza comportamenti leciti ed illeciti, in
 dispregio   della  riserva  di  legge  prevista  dalla  stessa  norma
 costituzionale  a  garanzia  del  proprietario espropriato.   Fondati
 dubbi di illegittimita'  costituzionale  si  ravvisano,  inoltre,  in
 relazione  alla violazione dell'art. 3 sotto il profilo del principio
 di   ragionevolezza   per   il   rilievo   che   la    determinazione
 dell'indennita'  di cui all'art. 5-bis citato presupppone la perfetta
 regolarita'  del  procedimento  espropriativo;  l'estensione  operata
 dall'art.   65   censurato,   della   norma  dettata  in  materia  di
 espropriazione  formale   alla   diversa   ipotesi   di   occupazione
 appropriativa  non  appare sorretta da alcun fondamento logico, posta
 la evidenziata  sostanziale  diversita'  tra  i  due  istituti.    In
 definitiva  l'aver  ricondotto ad unita' normativa, quanto meno sotto
 il profilo delle conseguenze, l'attivita' lecita  ed  illecita  della
 p.a.  in  campo  ablatorio,  a  fronte  di situazioni sostanzialmente
 diverse  che  non  presentano   alcun   carattere   di   omogeneita',
 costituisce   violazione   dell'art.  3  della  Costituzione  perche'
 equipara due fattispecie differenziate, l'una essendo disciplinata da
 una norma  costituzionale  che  attribuisce  alla  p.a.  la  funzione
 ablatoria,  l'altra invece che si concreta in una attivita' materiale
 non soltanto non prevista da alcuna norma, ma addirittura vietata  ed
 espletata  "in consapevole violazione delle norme che stabiliscono in
 quali casi e con quale procedimento  la  proprieta'  di  un  immobile
 privato  puo'  essere  autoritativamente  sacrificata per esigenze di
 pubblico  interesse",  con  conseguenze  di  carattere  sanzionatorio
 (tanto  da  essere  ricondotta  dalla  giurisprudenza  nell'alveo del
 generale principio del neminem laedere).
   Altro profilo di illegittimita' costituzionale va  ravvisato  nella
 violazione   degli  artt.  97  e  28  della  Costituzione  in  quanto
 l'equiparazione sopra detta evidenzia che il  legislatore  ha  inteso
 premiare   l'inefficienza   della  amministrazione  privilegiando,  o
 comunque parificando sotto  il  profilo  della  legalita',  attivita'
 atipica ed attivita' tipizzata con conseguente vanificazione di tutte
 le  garanzie  che  all'istituto  del procedimento amministrativo sono
 sottese (in particolare la trasparenza, il diritto alla  informazione
 ed   alla   partecipazione   del   privato  al  procedimento  stesso,
 l'interesse legittimo alla legittimita'  dell'azione  amministrativa)
 in   contrasto   con   il   principio  del  buon  andamento  e  della
 imparzialita' della p.a.
   L'indicata questione  di  costituzionalita'  si  appalesa,  infine,
 rilevante,    attesa   la   diversa   determinazione   della   misura
 dell'indennizzo  spettante  al  privato  che  il   tribunale   dovra'
 effettuare   in   caso   di   pronuncia  di  infondatezza  ovvero  di
 accoglimento della questione costituzionale sollevata.
   Sussistono, pertanto, le  condizioni  per  sospendere  il  presente
 giudizio  in  attesa  della  pronuncia della Corte costituzionale cui
 vanno rimessi gli atti ai sensi dell'art. 23 della legge  n.  87  del
 1953.